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28 Nov

Quid pro quo

not for fashion victim romanzo enrica alessi

 

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È

 

evidente che la dose di endorfine accumulate dopo la mia domenica sera con Luca — e rilasciata dal mio corpo lentamente — mi ha regalato una settimana senza nessun intoppo.
È il mio record.
Grazie ai turni del dottore in ospedale, Lolita è rimasta con noi per quattro giorni, evitandomi le passeggiate che avevo preventivato, e colta da questa improvvisa ventata di positività, ho deciso di investire settanta euro per ordinare il nuovo libro di Jerôme su Amazon — giusto per scoprire quel suo lato di Dior che ancora non conosco. E per finire in bellezza, la cena con Enrico è saltata: è partito all’improvviso per un viaggio di lavoro.
Nonostante sia consapevole che a rallegrarmi sia solo il prolungamento di un’agonia: sono felice di aver rimandato la data dell’incontro. Come avrei gestito Enrico e Luca insieme, nella stessa stanza?
Rabbrividisco al pensiero di sentirmi addosso i suoi occhi mentre parlo, mangio, bevo. Perché quando hai la sensazione che qualcuno ti stia guardando, poi sei tu che quella che inizia a fissare, e a quel punto, non si capisce più chi guarda chi.
Luca si sarebbe accorto del suo interesse, Cassandra e i suoi ormoni impazziti avrebbero accentuato la cosa e io mi sarei sentita in imbarazzo. Meglio così.
Credo che sfrutterò le mie sensazioni premonitorie per aggiustare il tiro e quando sarà il momento, sarò pronta ad affrontarlo serenamente. O almeno spero.

Oggi è il mio primo giorno di lavoro e sono fresca e riposata.
La clinica mi è mancata. Mi è mancato Giulio con i suoi pettegolezzi e anche Britney e la nostra guerra psicologica.
Un bel respiro — accompagnato da una rapida radiografia al mio look che si riflette sulle vetrate — e quando le porte scorrevoli si aprono, faccio il mio ingresso.
Visti i precedenti, non immaginavo nessuno ad aspettarmi, ma a quanto pare mi sbagliavo: tutti mi accolgono con un caldo benvenuto, anche Britney.
Baci, abbracci e domande di rito.
“Sto bene, le mie costole sono tornate come nuove e non vedo l’ora di rimettermi al lavoro.”
Dopo essermi tolta il cappotto per sostituirlo al camice bianco e aver raggiunto il mio ambulatorio, qualcuno bussa alla porta: Cristina.
“Posso entrare un momento?”
“Certo.”
So cosa vuole. E ammetto di provare un certo piacere, ora che la faccenda del dress code mi ha messo in condizione di dirigere il gioco. Se fosse stato per lei, ci avrebbe mandato in giro vestite da conigliette di Playboy: non potevo permetterlo.
Ora dipende tutto da me — e da Jerôme.
“Accomodati.” dico indicando la sedia che ha di fronte.
Si siede, sorride, è strana.
“Allora, te l’ha detto?” chiede eccitata.
“Sì mi ha scritto proprio stamattina.”
“E tu che ne pensi?”
Che si fa così e basta.
“Mi piace. Una scelta indubbiamente azzeccata per l’occasione.”
“Sicura?”
“Certo che sono sicura. Se lo ha detto Karl…”
Lascio la frase in sospeso, ma solo perché ho paura di pronunciare male il cognome, e questa insicurezza si trasferisce su tutta la frase, conferendole un ché di autorevole, ma lei scoppia a ridere.
“Tu stavi parlando del dress code?”
E di cosa altrimenti?
“No. Io stavo parlando di Cassandra…”
E non posso fare a meno di chiedermi: ma se sono io a dividere la casa con Cassandra, perché è sempre questa deficiente a mettermi al corrente delle novità?
“Cioè?” chiedo spazientita.
“Mio fratello e Cassandra hanno trovato una bellissima casa in centro…”
Ecco la guerra psicologia di cui parlo: nonostante le nostre conversazioni siano quasi sempre di natura formale, lei trova sempre il modo di mettersi al di sopra delle parti, facendomi sentire inadeguata.
Stiamo comunque parlando di una semplice confidenza immobiliare e non mi farò venire un’altra crisi di gelosia.
“Fantastico! Sono felice per loro.” dico entusiasta.
“Dovresti vederla…”
“La vedrò…”
Il mio tono rassicurante dovrebbe aver chiuso la questione, ma c’è qualcosa nel suo sguardo che mi dice che non è così.
“Senti Melissa, io vivo ancora con i miei genitori e pensavo che potrei prendere il posto di Cassandra, dividere la casa, le spese… sarebbe fantastico!”
Fantastico? Qui di fantastico non c’è proprio un bel niente. Non so se a sconvolgermi di più sia la sua proposta indecente, o aver realizzato solo ora che Cassandra sta per lasciarmi.
E non voglio certamente mettermi a discutere con lei del mio profondo disagio, tantomeno della possibilità di vivere con lei sotto lo stesso tetto.
“Cristina, stiamo lavorando, non mi sembra il luogo e nemmeno il momento di affrontare cose come questa. Ora, se non ti dispiace, vorrei dare un’occhiata ai pazienti.”
Mi alzo dalla sedia, quasi mi stessi già accingendo a farlo, scarto la scrivania, ma lei mi blocca.
“Aspetta, devi ancora dirmi del dress code…” dice bisbigliando in cerca di complicità.
Ma che diavolo le prende oggi?
“Più tardi ti mando un messaggio.”
Apro la porta mostrandole l’uscita e lì su una delle sedie della sala d’aspetto, vedo lei: la pazza logorroica, la moglie del mio ex fidanzato, con Benji tra le braccia.
La richiudo di colpo, Britney mi guarda basita.
“Che c’è? Sembra che tu abbia visto un fantasma…”
Magari. Questo significherebbe che quella donna è solo frutto della mia immaginazione, invece, esiste davvero e quando si metterà a parlare il mio incubo diventerà realtà.
“Devi aiutarmi.” dico disperata.
“Quid pro quo, dottore.”
Ecco chi è il vero agente Starling.
Socchiude gli occhi, sembra aver capito che il favore che sto per chiederle non è roba da poco ed è chiaro che voglia qualcosa in cambio.
“Non è questo il momento di giocare…”
“Quid pro quo, dottore.”
Lo ripete con la stessa enfasi: non ho via d’uscita.
“Senti, Il Silenzio degli innocenti è uno dei miei film preferiti, quindi, dimmi che vuoi e facciamola finita.”
“Tu mi dici il dress code e io ti aiuto…”
Okay, poteva andare peggio. Già mi vedevo a raccogliere i suoi collant in giro per casa.
“T-shirt bianca con scritto “something good is coming”, jeans usato senza cuciture in fondo, scarpe nere eleganti — da abbinare rigorosamente a un paio di calzini bianchi — e corona.”
“Una corona?”
Lo so. Anche io ho avuto qualche perplessità sulla corona.
“Così è stato deciso. Sua maestà vuole la corona.”
Maestà: la parola più azzeccata che potesse venirmi in mente. Britney cambia espressione, ridimensiona la sua sfacciataggine, china il capo in segno di sottomissione e dice:
“Se lo dice Karl Lagerfeld… dimmi che devo fare?”
Ora cominciamo a ragionare.
“Là fuori c’è una donna con un cane tra le braccia.”
“Forse anche più di una.”
“La riconoscerai perché il suo si chiama Benji.”
“La conosci?”
Tu che dici?
“Certo che la conosco e non voglio vederla.”
“Perché?”
“È la moglie del mio ex fidanzato.”
“E se dovesse chiedere di te?”
“Quid pro quo: io ti ho detto quale sarà il dress code e tu le dirai che non sono qui… mi pare ovvio…”
“E che le dico?”
“Inventati qualcosa: dille che ho avuto un brutto incidente…”
“Ma questa è la verità…”
Se mi interrompe di nuovo, la uccido.
“Cristina: dille che sono morta, che sono fuggita, che sono ricercata dalla polizia… dille ciò che vuoi, ma non voglio incontrarla, okay? È chiaro il concetto?”
“Okay…”
Faccio un passo indietro, mi nascondo dietro la porta e la faccio uscire.
Mi sento finalmente al sicuro, spero solo che venga ad avvisarmi non appena si sarà liberata di lei, o mi toccherà rimanere confinata qui per il resto della giornata.
Ma appena accendo il computer per mettermi al lavoro, Giulio apre la porta di colpo.
“Melissa, devi correre in sala operatoria, c’è un cane che è stato investito, il padrone lo sta portando qui e dobbiamo operarlo d’urgenza.”
“Maschio o femmina?” chiedo alzandomi di scatto dalla sedia.
“È una femmina.”
Perché ho un brutto presentimento?
“Razza?”
“Credo sia un meticcio… il padrone non lo ha specificato… perché me lo chiedi?”
Spero che Giulio abbia ragione, che non sia come penso. Mi sento morire al pensiero che Lolita possa aver rischiato la vita per correre da Max.
“È una lunga storia… Andiamo, te la racconto mentre andiamo in sala operatoria.”
Presa dall’eccitazione, dimentico della mia copertura, apro la porta e mi trovo di fronte alla coppia di cui speravo di essermi liberata.
“Allora ci sei…” dice sgranando gli occhi.
Perché non ricordo il suo nome?
“Cara… certo che ci sono.”
“La tua collega mi ha detto che eri ricercata dalla polizia…”
Britney mi guarda con un’espressione traducibile in: ‘l’hai detto tu di inventarmi qualcosa’. È evidente che mi abbia preso troppo alla lettera.
“Le piace scherzare…” interviene Giulio sorridendo, nel tentativo di smorzare la tensione.
“Cristina, occupati di Benji, io devo correre in sala operatoria.”

Il cane si chiama Tabata, è un meticcio e oggi le abbiamo salvato la vita.
Ha riportato una frattura all’anca, ma l’intervento è andato bene e tra qualche mese potrà riprendere a camminare.
Sono sollevata, orgogliosa, soddisfatta.
Anche Britney ha fatto il suo dovere: si è occupata di Benji e della sua padrona.
Il mio inconscio continua a rifiutare di ricordare il suo nome — forse per evitare coinvolgimenti emotivi — ma Cristina è stata brava: le ha suggerito di sterilizzarlo. Le risse, in cui sempre più spesso rimane coinvolto per amore, potrebbero mettere a repentaglio la sua vita e visto che non è più un giovanotto, credo che sia una proposta da valutare.
Io, invece, giunta alla fine della mia prima giornata, faccio i conti gli effetti prodotti da una decisione già presa: Cassandra sta per andarsene di casa.
Salgo in auto e per quanto mi sforzi di accettare che tutto stia cambiando, continuo a chiedermi cosa abbia preparato per cena.

Al mio rientro, Max è in salotto ad aspettarmi, ma Cassandra non è ancora tornata.
Mi assicuro di aver chiuso il cancello e mando Max in giardino a fare un giretto.
Chiudo la porta, butto la borsa sulla poltrona e mi lascio cadere sul divano senza nemmeno togliermi il cappotto.
La casa è vuota, triste. Sarà questa la mia vita senza di lei? E mentre sto per mettermi a piangere, sento Max abbaiare, le chiavi nella serratura e la sua voce:
“Sono tornata!”
La porta si apre, lei entra ed è come se la casa avesse ripreso a respirare.
“Melissa… che brutta faccia! Che ti succede?”
Dovrebbe saperlo.
“Cristina mi ha detto che avete trovato casa…” mormoro.
“Sì! Devi assolutamente vederla! Non è grandissima, ma è in pieno centro. Ha delle finiture deliziose, una Jacuzzi favolosa e un balcone grandissimo con il barbecue…”
Il suo entusiasmo è frenato dalla mia espressione triste: forse non sono ancora pronta per i dettagli.
“Quando…”
Non riesco nemmeno a finire la frase.
“Tra un paio di settimane.”
Cassandra abbassa lo sguardo, io faccio lo stesso, ma sento il rumore dei suoi passi che vengono verso di me.
“Guardami ti prego…” mormora.
Non posso, sto davvero per piangere, ci mancano solo i suoi occhi per mettere in funzione gli irrigatori dei miei. Ma devo dire qualcosa o finirò per sembrare una vittima ed è l’ultima cosa che voglio.
“Non voglio farti sentire in colpa, sì insomma, stai per sposarti, aspetti un bambino, sapevo che sarebbe successo.”
E se il discorso finisse qui, sarei l’amica perfetta, ma la perfezione non è mai stata il mio forte.
“È solo che non sono pronta, non riesco a capacitarmi di vivere qui senza di te.”
Sto piangendo. Non solo ho aggiunto ciò che non dovevo, ma sto addirittura piangendo: sono imperdonabile.
“Anche io ho paura…”
Ma sono io che resto qui da sola.
“La mia vita sta cambiando, il mio corpo sta cambiando e di questa bambina non so niente… non so se sarò una buona madre, se riuscirò a prendermi cura di lei e come farò quando tu non ci sarai?”
Credo che le lacrime facessero parte del pacchetto: anche lei sta piangendo. E improvvisamente mi sento una stupida.
Come ho fatto a non pensare a questa cosa della mamma? È ovvio che sia più spaventata di me e io sto qui a farmi consolare: doppiamente imperdonabile.
Mi alzo dal divano, la stringo a me e dico:
“Non voglio mai più che tu metta in dubbio il tuo ruolo di mamma, te la caverai benissimo, sarai la mamma migliore del mondo e sai perché? Perché io ci sarò sempre… anche in sala parto…”
“Davvero?” mi chiede sorridendo mentre si asciuga le lacrime.
“Be’ magari non proprio nel momento di espulsione del bambino, ma…”
Scoppiamo a ridere entrambe.
Forse ci sarebbero tante cose da aggiungere, ma non ne abbiamo bisogno. Ho sempre pensato a noi come a uno stampino. Una parte è concava, l’altra è convessa: insieme ci completiamo.
E a questo punto lei dovrebbe dire:
“Cosa mangiamo?”
Il finale perfetto.
La raggiungo in cucina per dare una mano, recupero il telefono per controllare se Luca ha chiamato, ma c’è solo un messaggio. Di Enrico. Il mio stomaco si contrae, è come se facesse una capriola. Guardo Cassandra che sta scegliendo la padella più adatta e ne approfitto per leggere.

“Ciao Melissa, mi è dispiaciuto partire all’improvviso, ma avevo una consegna urgente e non potevo rimandare.
Ho sentito Cassandra, mi ha invitato a cena mercoledì, ho accettato con piacere, ma siccome torno domani, mi piacerebbe vederti. Vorrei che mi aiutassi con la nuova campagna vendite. Vorrei parlarti del progetto nei dettagli, fammi sapere se domani sera alle 19 sei libera. Un abbraccio. Enrico.”

“Cassandra…”
“Faccio un piatto di pasta alla Norma… okay?”
Fa pure, tanto mi è passata la fame.
“Hai invitato Enrico a cena?”
“Sì, ma ho dimenticato di dirtelo…”
Il bonus degli ormoni non durerà per sempre.
“Perché?” chiedo accigliata.
“Una promessa è una promessa, aveva detto di fargli sapere quando sarei stata disponibile e l’unica serata libera è mercoledì, per te va bene, no?”
Come se a cose fatte potessi tirarmi indietro.
Ma prima che possa rispondere, lei continua: “Ho chiamato anche Tommaso, sai la mia copertura è saltata: sa che sono incinta, che sto per sposarmi, ma non nego di essermi chiesta se per te sia il caso di invitare Luca…”
“Cassandra! È il mio ragazzo…” dico con rimprovero.
“Lo so, ma è anche vero che la situazione potrebbe complicarsi. Come farai a gestirli entrambi nella stessa stanza? Lui non ti toglie gli occhi di dosso e Luca potrebbe accorgersi del suo interesse, potresti sentirti in imbarazzo e francamente… ma, un momento, tu come fai a sapere della cena?”
Grazie per avermelo chiesto.
“Mi ha chiesto di vederlo, da sola, domani.”
Cassandra lascia cadere sul tagliere la ricotta e mi guarda basita.
“Ma è fantastico!”
“No che non lo è…” mormoro.
“Melissa ascolta, questa è teoria del miele e delle api…”
“Cosa cosa?”
“Sì. Pensaci: come te lo spieghi che le ragazze single ci mettano anni per trovare un ragazzo? Poi, appena arriva il ragazzo numero uno, le donne diventano miele e gli uomini si trasformano in api: arrivano a sciami, è come se captassero l’odore… tu sei un veterinario, dovresti saperle certe cose…”
In effetti, ha ragione, prima di Luca mi ero quasi convinta che sarei stata single per sempre.
Dopo aver esposto la sua interessante teoria, Cassandra riprende a cucinare, affetta velocemente la cipolla, la mette in padella e mentre l’olio la avvolge sprigionando quel profumo irresistibile, invece di aggiungere il pomodoro, si ferma e mette sul piatto la scusa perfetta:
“Posso coprirti io… diremo che siamo andate al cinema…”
“Tu odi il cinema.”
“Perché si mangiano troppi pop-corn, ma adesso sono incinta e le donne incinte cambiano sempre i gusti alimentari, e poi Luca non sa che odio il cinema.”
“Perché sono solo io a preoccuparmi della reputazione dell’ape regina?”
“Ti ha fatto una proposta così compromettente? Leggimi il messaggio avanti…”
“Mi ha fatto una proposta di lavoro…”
“Non puoi farti degli scrupoli per una proposta di lavoro… leggi!” insiste.
Riprendo il telefono tra le mani, mi schiarisco la voce e leggo a voce alta:
“Vorrei che mi aiutassi con la nuova campagna vendite. Vorrei parlarti del progetto nei dettagli, fammi sapere se domani sera alle 19 sei libera.”
“Rispondi: liberissima, ci vediamo domani.” conclude lei.
“Io non sono diventata miele e non sono l’ape regina, sono un veterinario e i veterinari non curano le campagne vendite, specie quelle di uno stilista…”
“Tutti meritano una seconda occasione…” aggiunge in tono ironico.
“Stai parlando del mio stile discutibile?”
“Anche. Insomma questa non è solo un’opportunità, questo è un vero miracolo. Chi lo avrebbe detto che uno stilista avrebbe chiesto il tuo contributo per una collezione di moda?”
“L’acqua sta bollendo…” dico indicando la pentola che sta sul fornello dietro di lei.
È una scena che ho già visto: la sera che Max è fuggito. Questo dovrebbe suggerirmi di stare lontano dai guai, di non assecondare il suo corteggiamento, ma questa storia della moda mi tenta e se non accetto, sento che potrei pentirmene per sempre.
“Okay. Ci vado. Ma solo per sentire la sua proposta.”

VENTOTTESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova