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26 Mag

Una secchiata d’acqua gelida

enrica alessi l'amore ai tempi supplementari

enrica alessi l'amore ai tempi supplementari

 

 

 

È

una secchiata d’acqua gelida. Il cuore si è fermato, non riesco a parlare.
“Eva, tesoro, sei ancora lì?”
“Dimmi che la mamma sta bene, dimmi che non è grave. Dimmi solo questo.”
Il silenzio è passato dall’altra parte del telefono: perché non può accontentarmi?
“Papà, devi dirmi che cos’ha.” insisto.
“Stamattina si è svegliata, stava bene, è scesa in cucina a preparare il caffè e quando l’ho raggiunta, l’ho trovata sul pavimento priva di sensi. Ho chiamato l’ambulanza e…”
“Che significa?” lo interrompo atterrita.
Che domanda stupida: so bene cosa vuol dire, ma non è questo che voglio sapere.
“È svenuta? Perché?”
Lo sento sospirare, mi pare quasi di vederlo mentre prende coraggio per parlare. “La mamma ha avuto un’emorragia cerebrale, è stata operata d’urgenza.”
La gravità della situazione mi impone di reagire porgendogli la ‘vera’ domanda, che vorrei non ammettesse una risposta negativa. “I medici hanno detto che si risveglierà, vero?”
“Amore mio”, mormora. “Non lo so…”
Quelle parole hanno lo stesso effetto di una spinta: una spinta verso il baratro. Anche se mio padre sta tentando di offrirmi la sua mano per non cadere, sotto i piedi sento il vuoto della paura: sto precipitando.
“In quale ospedale si trova la mamma?”
Ecco un’altra domanda, pronunciata cercando di trattenere le lacrime.
“È al Maria Vittoria. Io sono qui, sto aspettando che i medici mi dicano…”
“Sto arrivando.”
“Eva, ti prego, sei per strada, non metterti in pericolo.”
Sulle sue raccomandazioni riattacco. Sebbene non possa fare a meno di tenerne conto, i singhiozzi hanno preso il sopravvento, non voglio che mi senta piangere.
Stacco il piede dall’acceleratore e a rallentare non è soltanto la velocità, anche l’attimo che sto vivendo di cui non riesco a capacitarmi. Il senso di colpa, invece, continua a crescere.
Mi asciugo il viso. La necessità di compiere qualcosa in un tempo minore di quanto in realtà ne occorrerebbe mi impone di riprendere lucidità, per arrivare a destinazione il prima possibile.
Dopo cinque minuti di assoluto silenzio, tenendo lo sguardo incollato alla strada priva di traffico, realizzo che, questa volta, è il ruolo di figlia a farsi da parte per lasciare spazio a quello di donna e a quello di mamma. Il senso del dovere mi impone di mettere in standby le emozioni e di occuparmi del ménage familiare.

Maria avrebbe dovuto cominciare oggi, ho chiamato per avvisarla di aver avuto un contrattempo al lavoro, mi ha tranquillizzata con la solita frase: ‘non c’è problema’ e ha aggiunto che inizierà lunedì. L’ho ringraziata e sono passata alla seconda telefonata, la più impegnativa.
“Pronto?”
“Ciao Clara, come va?”
“Noi bene e tu? Dal tuo tono di voce non si direbbe…”
La mia compostezza ha fallito miseramente. Sento un groppo in gola e non posso permettermelo — non adesso.
“Devo lasciarti Sofia un giorno in più. Spero che non sia un problema.”
“Nessun problema…”
“Posso parlare con lei un momento?” mi affretto ad aggiungere.
“Certo, te la passo.”
Clara soprassiede e chiama mia figlia con voce soave. Io ne approfitto per respirare sperando di riuscire a frenare la commozione.
“Mamma ciao, dove sei? Quando torni?”
“Amore mio, ciao…”
È più difficile del previsto.
“Allora, quando torni?”
Respira, respira.
“Ho avuto un’imprevisto al lavoro.”
Conosce il significato di questa parola, dovrei ringraziare il Monopoli. Ora devo solo sperare di pescare il cartoncino tra le probabilità di essere credibile.
“A Olivia non sono piaciute le tue scarpe da ginnastica?”
La sua domanda mi strappa un sorriso.
“No amore, per fortuna le sono piaciute e, siccome vogliamo farle uscire in fretta, dobbiamo lavorarci ancora un po’.”
“Torni domani?” chiede con una punta di delusione.
“Sì, ma ti prometto che andiamo al cinema, ti va?”
“Sì, sì! Andiamo a vedere Ralph spacca Internet?”
“Solo se mangiamo una porzione doppia di pop-corn.”
“Si può fare.” conferma divertita.
“Farai la brava, nel frattempo?”
“Sono sempre bravissima.” dice ridendo. “Ti passo la nonna, ti vuole…”
La sua vocina scompare e viene sostituita da quella di Clara che mi chiede un secondo, presumo per appartarsi.
“Eva, sai che detesto essere invadente, ma sono preoccupata, voglio solo sapere se stai bene.” sussurra.
Forse non è la mia compostezza ad aver fallito, è l’affetto che prova per me ad averla messa in allarme. Le sono bastate poche parole per farle intuire che ho un problema. E se con mia figlia è stato difficile, con lei è impossibile tacere la verità.
“Sei sola?” le chiedo.
“Sì, Sofia è nella stanza dei giochi. Ma voglio dirti che se sei in difficoltà a causa di mio figlio, anche questa volta, sono dalla tua parte.”
La sua anticipazione non può che farmi piacere, ma Dio solo sa quanto vorrei che fosse lui il mio vero problema.
“Eva…”
Sentirle pronunciare il mio nome è l’equivalente dello schiocco di dita alla fine di una seduta d’ipnosi.
“No Clara, Davide non c’entra.”
“Sei sicura?”
Le risparmierei volentieri la notizia, ma temo di non avere altra scelta.
“Mia madre è in ospedale, ha avuto un’emorragia cerebrale.” dico d’un fiato.
“Quando? Come?” chiede concitata.
“È successo stamattina, mio padre l’ha trovata sul pavimento priva di sensi.”
“Tu dove sei? Sei con lei?”
“No… stavo rientrando da Carpi quando mio padre mi ha chiamata.”
“I medici si sono pronunciati?”
“La stanno operando ora, mentre parliamo.”
“Tesoro… non so cosa dire…”
Anche se riuscisse a tirar fuori una delle sue frasi che mettono il buon umore, non servirebbe.
“Posso fare qualcosa?”
“Ti prego, non dirlo a Sofia.”

Neanche a Paolo ho detto nulla, nemmeno a Michele. E non capisco se ho preferito non farli preoccupare o se, piuttosto, ho evitato per paura di sentire le loro frasi di circostanza. Avrebbero cercato di farmi sentire meglio e sono così arrabbiata con me stessa per non aver detto a mia madre ciò che avrei voluto, da punirmi rifiutando qualsiasi tipo di aiuto. E se quell’attimo che avrei dovuto cogliere non si ripresentasse? Se non avessi l’opportunità di dire a mia madre che le voglio bene?
Mentre mi faccio quella domanda sull’orlo del pianto, entro in ospedale augurandomi che non sia troppo tardi.
Prendo il telefono e apro il messaggio di mio padre con le indicazioni facilitate per raggiungere il reparto e, quando finalmente ci arrivo, lo vedo seduto su una delle panchine della sala dell’aspetto.
Ha la testa china verso il basso, ma non è solo: Davide è accanto a lui e seppure me ne stupisca, sono felice di vederlo.

CINQUANTANOVESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova