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13 Mar

Miracoli dal cielo – e non è il film con Jennifer Garner

storie di ordinaria follia

storie di ordinaria follia

 

 

M

i succede in questo periodo dell’anno, come Boy annuso l’aria e, anche se sulla carta è ancora inverno, nella mia testa la primavera è già arrivata.

Dalla primavera all’estate è un attimo ed ecco che mi ritorna in mente – bella come era – la Visa rosso Valentino della Nonna Glitter: la macchina con cui negli anni Ottanta portava i suoi nipoti in vacanza al Lago di Garda.

Era un lavoro sporco, ma qualcuno doveva pur farlo.

Partivamo poco dopo la fine della scuola e tornavamo poco prima dell’inizio.

Era uno spasso: il bagno tutti i giorni, le risate a tavola, le partite a Forza 4, i giri in bicicletta, le patatine fritte due volte a settimana.

La squadra di mocciosi fortunati di cui la nonna si occuperà questa estate è composta da me, da mio fratello e da mio cugino Luca che ha undici anni: il più grande di tutti; poi vengo io che ne ho nove e mio fratello che ne ha cinque.

La crudeltà insita nell’essere umano spesso si manifesta in tenera età e noi cominciamo ad annientare la nonna proprio all’inizio di quello che, ai nostri occhi, è un lungo, noioso e interminabile viaggio.

In cerca di distrazione ridiamo senza motivo delle persone che intravediamo per strada, e le nostre risate, a loro volta, distraggono la nonna.

Dopo averci chiesto in tutte le lingue di smetterla, di fare silenzio, minacciando di fare inversione dopo soli otto minuti dalla partenza, alla fine impreca in siciliano: “Porco diavolo inchiuvato!”

Il suono assomiglia a una schioppettata.

Ci mettiamo buoni per un po’, ci sforziamo di non guardarci tra di noi per evitare di innescare la risata involontaria che la manda fuori di testa, e così lei finalmente si distende, si rilassa alla guida e ammira il panorama senza mai perdere di vista la strada.

A un certo punto, guarda verso un bosco che ci passa accanto e dice malinconica: “Quando il nonno era ancora vivo, andavamo sempre a fare i picchi nicchi…”

Nessuno di noi ha capito.

“Come nonna?” chiedo io.

“Ho detto…” dice alzando la voce e abbassando la radio. “Che quando c’era ancora il nonno andavamo spesso a fare i picchi nicchi.”

Solo alla quarta volta che ripete capiamo che sta storpiando la parola picnic.

Nonostante l’incipit commovente dedicato al nonno, noi bambini senza cuore scoppiamo a ridere. Lei ormai sbanda per il disappunto.

“Ah sì?!? È così che cominciamo? È così che mancate di rispetto a vostro nonno?”

Come sempre sono io a riscattare la reputazione del gruppo: l’avvocato mancato che volevo diventare dopo aver visto recitare Tom Cruise in Codice d’Onore.

“Nonna, non abbiamo riso per il nonno…”

Lei non ci rivolge più la parola e mette Claudio Villa a pallettoni. Ma presto avremo la nostra vendetta.

Facciamo passare giusto un paio di giorni: tempo di arrivare, di sistemarci, di fare la spesa e di ricomporre la banda di amici che abbiamo lasciato un anno fa.

Una piccola associazione a delinquere a discapito dei nonni che accompagnano i nipoti in vacanza — a loro volta compagni di Pinnacolo.

Dopo un primo incontro con la mia amica Ilaria di Milano — che vive in città e lei sa tutto — mi dice che si può andare a fare il bagno anche dopo aver mangiato: basta andarci subito, subito dopo aver finito. Prima che inizi la digestione.

Io e mio cugino, venuti a conoscenza di questa grande scoperta che può evitarci di aspettare un’eternità per fare il bagno, decidiamo di mettere al corrente la nonna, sfruttando il momento del pranzo.

È una calda giornata di fine giugno: l’ombrellone di quattro metri per tre è aperto sotto la tavola già apparecchiata.

Tira una piacevole brezza, ancora non immaginiamo che ci ritroveremo nel bel mezzo di una tempesta, e Luca si siede allegro vicino a me. Io sono di fronte a mio fratello che è già seduto e sta colorando.

La nonna ci raggiunge con la pasta fumante, la mette nei nostri piatti e si siede accanto a Ogi.

Inizia il pranzo e anche la discussione.

“Nonna, sai che oggi abbiamo scoperto che possiamo fare il bagno anche subito dopo aver mangiato?” esordisce Luca dopo aver dato il primo boccone.

“Eh no, caro mio, non esiste”, ribatte lei.

“Nonna, guarda che è vero”, intervengo io. “Lo ha detto Ilaria, lei vive a Milano: lei certe cose le sa.”

Le mie parole innocenti devono aver involontariamente sollevato una questione più importante, tipo la Guerra di Secessione tra nord e sud.

“Se a Milano si fa il bagno dopo mangiato, qui, con la sottoscritta”, dice puntando l’indice sul petto. “Si aspettano quattro ore. Ora basta, mangiamo.”

La nonna impugna la forchetta e inizia a mangiare, ma non possiamo lasciare perdere: la questione ci tocca troppo da vicino. Dobbiamo insistere e convincerla.

Al 74esimo ‘nonna ti prego, nonna ti supplico, nonna ti prego per favore fallo per noi, ti prego ti supplicò, la Nonna Glitter sclera di brutto.

Lei, che è anche campionessa di tiro dello zoccolo di legno — perché giudica l’infradito di gomma troppo volgare – se lo leva, e lo tira verso di noi come una palla da rugby.

Ma non tiene conto che noi schiviamo il colpo e lo zoccolo colpisce la roulotte alle nostre spalle.

Il tonfo attira l’attenzione di Ogi che smette di mangiare, Luca si mette a ridere, io non riesco a trattenermi e lo imito.

D’un tratto, davanti allo sguardo smarrito della nonna si apre la finestrella della roulotte che è appena stata ammaccata dallo zoccolo, ed esce la faccia di una signora preoccupata: “cosa sta succedendo… bambini?”

Fatico a descrivere il colorito della nonna: è un contrasto tra rosso vergogna e verde rabbia.

È come vedere un cielo che si annuvola.

“Li scusi, li stavo giusto sgridando…” mormora lei imbarazzata.

La signora della roulette bianco celeste richiude la finestrella un po’ indignata. La nonna si alza e con un filo di voce ci ordina di fare le valigie: ci riporta a casa, con noi non ce la fa più.

All’inizio la guardiamo basiti: crediamo che stia scherzando; non può farci una cosa simile, i nostri genitori si arrabbieranno moltissimo e non ci faranno tornare mai più. Eppure non riesco a replicare, è troppo arrabbiata.

Stavolta abbiamo esagerato.

L’unico ad aprire bocca è mio fratello: “Io cosa c’entro?”

“Tu niente, amore, ma la macchina una è: non posso lasciarti qui da solo.”

Anche mio fratello le obbedisce.

Andiamo tutti e tre in roulotte, prepariamo i bagagli e saliamo in macchina, aspettando che la nonna chiuda l’ombrellone. Dopo di che partiremo e forse non rivedremo più questo posto.

Mi metto a pregare il nonno che non ho mai voluto deridere e che invece mi manca, anche se non l’ho mai conosciuto. Ma so che la nonna gli voleva bene e forse è l’unico che può convincerla a cambiare idea.

Mio fratello e mio cugino mi seguono, pregano con me ad alta voce, ma è Luca il primo ad accorgersi che la nonna non riesce a chiudere l’ombrellone.

Questo è un segno divino… o forse no: si è appena seduta sfinita su una sedia.

Siamo preoccupati e scendiamo dalla macchina per sapere come sta.

“Nonna, tutto bene?” le chiediamo all’unisono.

“Andate a prendere le vostre borse in macchina, restiamo qui.”

La ringraziamo e facciamo come ha detto.

“È stato il nonno…” bisbiglia mio fratello mentre mi prende per mano.

“Sì, può darsi.”

Ed è lui a ricordarci che varrebbe la pena stringere una promessa tra noi per impegnarci a non fare rimpiangere alla nonna il giorno in cui siamo nati.

Quella estate, ahimè, bella e spensierata è già finita, ma ho capito che la nonna ha avuto una scorta inesauribile di pazienza e non la ripagheremo mai abbastanza per i momenti che ci ha regalato.

E ho capito anche se non vuoi aspettare quattro ore per fare il bagno, e sei un nipote in vacanza con la nonna, stai a digiuno: conviene.

 

Illustrazione: Valeria Terranova