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27 Mar

Speriamo che sia femmina – e non è il film con Catherine Deneuve

storie di ordinaria follia

 

storie di ordinaria follia

 

 

A

vrei voluto un altro bimbo, anzi, sarò brutalmente sincera: un’altra bimba.

Perché tre è il numero perfetto, perché un’altra gravidanza forse non mi avrebbe ringiovanito, ma avrebbe almeno rinnovato il mio sistema cellulare e, soprattutto, perché avrei saputo da subito come chiamarla.

Anche se quest’ultimo aspetto può sembrare insignificante, a rovinare il futuro di un bambino con il nome sbagliato è un attimo. Ho dedicato all’argomento un capitolo intero del mio primo libro, ma questa volta non avrei avuto dubbi: l’avrei chiamata Anna, come mia mamma.

E siccome Emma e Carola sono castane come il papà, lei presumibilmente sarebbe stata mora come me. I loro nomi insieme avrebbero avuto un suono bellissimo ma, quando si usa il condizionale per raccontare, poi ci si chiede perché non è successo.

E la risposta è semplice: Anna l’ho sempre voluta solo io.

Gli altri componenti della famiglia sono stati favorevoli soltanto a fasi alterne.

Emma ha imparato la parola sorellina nell’istante in cui io e Giaco le abbiamo detto che la cicogna era già in viaggio. Poi, dopo la nascita di Carola, Emma ha desiderato un fratellino per conto suo. Sua sorella però era contraria: non avrebbe mai ceduto ad altri il ruolo di cucciolo di casa. Ma noi abbiamo anche il cane e così, a sua volta, anche Carola ha desiderato essere una sorella maggiore. A quel punto Emma, ormai cresciuta, si è opposta categoricamente: “Mamma, se fate un altro figlio, io scappo di casa.”

Anche Giaco ha alzato le mani, ma è stato astuto: davanti a tutto ha messo la mia carriera. “Adesso che le bimbe sono cresciute, devi dedicare più tempo ai tuoi libri…”

Insomma, nonostante si sia di fatto tirato indietro, l’ha messa giù così bene da non farlo sembrare un rifiuto.

Anzi, a conti fatti, più ci penso e più sono convinta che, a spaventarlo più di tutto all’idea di diventare padre per la terza volta, non fossero gli ormoni isterici della mia gravidanza, ma un aspetto del pacchetto che con difficoltà avrebbe saputo gestire di nuovo: l’assenza di sonno nei bambini. Non lo ha mai confessato, eppure mi pare di vederlo: chiuso in bagno che scuote la testa in modo repentino dicendo a se stesso: “Ma se il rinnovamento cellulare ce l’ha solo lei… alla mia età, chi me lo fa fare?”

Onestamente non lo biasimo. A volte è successo pure a me di sentirmi sollevata al pensiero che qualcuno della family abbia detto: ‘altolà al sudore’ delle notti in bianco al posto mio.

Tuttavia, ancora oggi, non posso fare a meno di pensare come sarebbe stata la nostra vita, se fosse arrivata Anna.

Giunta alla fine della mia strana confessione, dopo aver riletto ciò che ho scritto, mi accorgo che, nemmeno per una volta, ho menzionato la parola PARTO.

La stessa parola che avevo scritto sul trolley che conteneva il nécessaire per l’ospedale e che Giaco aveva confuso con PARTENZA, chiedendomi dove avessi intenzione di andare al nono mese di gravidanza.

L’avevo già capito allora che affidargli una delle mie uova era stata un’idea azzardata… Riflettendoci un altro po’, forse due parti sono più che sufficienti. Mi fermo qui, ma mi consolerò con i parti editoriali, senza dubbio meno dolorosi, e avrò dei figli di carta.

Mastro Geppetto sarebbe fiero di me.