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19 Mag

L’ultima mise da notte

l'amore ai tempi supplementari enrica alessi

l'amore ai tempi supplementari enrica alessi

 

 

 

 

 

U

na volta qualcuno ha scritto: se non puoi dire la verità alle persone che ami, allora non riesci a dirla neanche a te stesso. Questo dovrebbe convincermi che vuotare il sacco non provocherà alcun tipo di conseguenza, eppure, mentre varco la soglia del ristorante tenendo Paolo sotto braccio, l’unica cosa capace di infondermi un minimo di serenità è la mise favolosa che ho scelto per la nostra serata. Un abito argento di Jil Sander stretto in vita con una cintura di vernice, uno stivaletto di Jimmy Choo, un cappotto nero di Moschino e una borsa mignon di Saint Laurent che contiene giusto il telefono e la carta di credito — che ho preventivamente portato con me, nel caso in cui, dopo aver confessato la famigerata verità, Paolo decidesse di piantarmi in asso lasciandomi con il conto da pagare.
“Signori, il vostro tavolo è pronto.” annuncia il maître facendoci strada lungo la sala.
Ieri sera non avevo fatto caso alla dolce atmosfera del locale, ero presa da altro e almeno, uno dei problemi che non mi davano pace sembra essersi risolto. Mi tolgo il cappotto, lo consegno al signore che ha appena spostato la sedia per farmi accomodare e prendo posto di fronte a Paolo che mi sorride.
Il nostro tavolo è in angolo, accanto a noi non c’è nessuno: il che mi rincuora, parlare sarà più semplice.
“Sei bellissima.” mormora. “Ancora non riesco a credere al tuo salvataggio eroico: sei stata coraggiosa.”
“Avresti fatto lo stesso anche tu.”
“Non lo so… Tieni molto al tuo lavoro e per salvare un’amica hai rischiato di perderlo: non è da tutti.”
Un po’ ha ragione, ma non amo vantarmi.
È nella mia indole aiutare il prossimo e
la tranquillità economica ha fatto il resto. Olivia è la fonte di sussistenza più importante per la sua famiglia: è stato questo a convincermi ad agire in quel modo.
Il cameriere torna poco dopo con i menu e la carta dei vini. In vino veritas, in vodka pure, penso, e credo di aver bisogno di un cocktail — in onore dei vecchi tempi.
“Posso avere un vodka tonic?” chiedo al cameriere.
“Certo. Glielo porto subito. Per lei?”
“Un calice di Dom Perignon.” risponde Paolo.
Restiamo soli con i menu spalancati, ma fatico a concentrarmi sulla scelta dei piatti, sono più propensa a decidere il momento giusto in cui aprire bocca e forse sarà meglio aspettare il mio cocktail.
“Cosa mangi?” gli domando.
Vorrei che lo chef fosse Morpheus di Matrix e non credo gli suggerei la pillola rossa, forse Paolo non lo vuole sapere quanto è profonda la tana del Bianconiglio.
“Avrei voglia della fantasia di mare.”
Come sospettavo: il mare è blu, come la pillola che gli farà credere che sta andando tutto benissimo. Eppure, il cocktail che mi è appena stato servito mi sta dicendo che quella rossa è più onesta.
Lo afferro, brindo e dopo averne bevuto metà in un sorso davanti agli occhi stupiti di Paolo, inizio a parlare.
“Ci sono un paio di cose di cui vorrei parlarti.”
“Devo preoccuparmi?” chiede divertito.
“Spero di no.”
Bere a stomaco vuoto non è stata una buona idea: la stanza sta girando, ma le parole escono a meraviglia. “La mia famiglia si sta allargando. C’è un bambino in arrivo.”
Il vino gli è appena andato di traverso.
“Sei incinta?” bisbiglia.
La sua espressione è traducile in: hai appena detto che non dovevo preoccuparmi. Bevo un altro sorso per prendere coraggio e mi spiego.
“Il bambino non è nostro, è del mio ex marito e della sua compagna.”
L’ho detto finalmente e il suo viso rilassato mi fa capire che sentirsi sollevato da una tale responsabilità ha spostato l’attenzione sul problema che pensavo rappresentasse: ho fatto centro. Ora devo solo evitare di aggiungere che Davide è ancora innamorato della sottoscritta e andrà tutto bene.
“Sofia è ancora piccola, dovrò mettere in conto le sue crisi di gelosia, ma…”
“Anche io devo dirti una cosa.” mi interrompe.
Guardo il ghiaccio galleggiare nel bicchiere e quel pericolo che credevo di aver scampato è lì, seduto di fronte a me.
D’istinto controllo che la borsa sia ancora dove l’ho lasciata: sul pouf alla mia destra, e nonostante il conto sia solo a base di alcol, ho paura che dormiremo in stanze separate: c’era da aspettarselo. L’ultima mise da notte, che indosso sotto quella da sera, sta per mettersi a piangere.
“Lo so che sono complicata, la mia vita è un casino e io lo capirei se ora ti alzassi e mi lasciassi qui come un cucù con il mio albero genealogico…”
“Mi piace quando bevi, ma sei un po’ tragica.” mormora sorseggiando il suo calice.
“Ti assicuro che la situazione non mi sfiora affatto. Lui ha la sua vita, io la mia e i sentimenti che provo sono gli stessi di prima: voglio te e nessun altro.” dico d’un fiato guardandolo negli occhi.
“Non ne ho mai dubitato. Adesso posso
finire?” domanda divertito. “Ti ricordi di Peggy?”
Come posso dimenticare il pony che ha promesso a Sofia? Dopo il gatto, manca solo il cavallo, poi potremo aprire uno zoo.
“Sì…”
“Non arrabbiarti, ma oggi l’ho comprata. L’ho comprata per Sofia.”
Mi sento ridicola. Paolo non solo è di larghe vedute, è pure comprensivo.
“Mi piacerebbe se questa estate passaste un po’ di tempo da me, specie ora che a casa la situazione è complicata.”
Non so se la mia commozione sia da imputare alla vodka, ma di fatto, non posso fare altro che alzarmi e stingergli le braccia intorno al collo. Lui ricambia.
“Hai ragione: sei un casino, un gran casino, ma senza di te non posso stare.”
Ora mi siedo e smetto di bere.
“Sofia sarà felicissima quando lo saprà. Vuoi chiamarla e dirglielo tu?” chiedo eccitata.
“Aspetta: hai detto che erano un paio le cose di cui volevi parlarmi… c’è altro?”
Il suo tono incalzante mi fa capire che è questo il momento giusto per dirgli di mia madre, ma a frenarmi è il cameriere che è appena tornato al tavolo, per chiederci se vogliamo ordinare.
Una fantasia di mare e un filetto al sangue: la contrapposizione cromatica dei nostri piatti conferma le mie perplessità, ma ormai sono in ballo e, probabilmente, nonna Fiorella è un problema solo mio. Addento un pezzo di pane, bevo un altro sorso di vodka e prendo coraggio. “Ti ricordi di mia madre?”
“Vagamente.”
Potrei dire lo stesso.
“Ricordo tua nonna e il suo abbigliamento colorato, i grandi occhiali da sole, i suoi modi divertenti…”
“Sì, era così.” mormoro con malinconia.
“Ti manca molto, vero?”
“La sento vicina, è una magra consolazione, ma così è la vita.”
“Mi dispiace.” dice sfiorandomi la mano che tengo salda al bicchiere.
“Mia madre non ha preso molto da lei. Dopo il divorzio si è trasferita a Los Angeles con il suo nuovo compagno, mio padre ne ha sofferto molto, ma ora è tornata e vuole riconquistare il tempo perduto… con lui, con me, con Sofia.”
“Sembra una buona notizia, ma i tuoi occhi dicono il contrario, perché?”
Solo adesso, mentre gli sento pronunciare quelle parole, realizzo di aver voluto difendere la relazione di Olivia non tanto per la mia storia precedente con Davide, ma per la situazione che vivevo a casa mia, con i miei genitori.
“Non voglio sembrarti la figlia perfida che le nega il perdono, ma per certe cose non basta metterci una pietra sopra. Il suo compagno è morto e continuo a chiedermi se il suo non sia stato un ripiego.”
Paolo sembra capire le mie insicurezze.
“Il suo atteggiamento è quello di chi preferisce sorvolare piuttosto che affrontare i problemi, ma se l’altro fosse ancora vivo…” — Quasi mi dispiace di non riuscire a nominarlo — “sarebbe tornata comunque?”
E lì, su quel punto interrogativo, ci viene servita la cena. Forse è meglio rassegnarsi: non riuscirò mai a rispondere alla mia domanda.
“Vuoi assaggiare?” mi chiede indicando la pillola blu.
Preferisco la vodka: esiste niente di più sincero?
“No grazie e tu?”
Ha già la bocca piena, scuote la testa. Afferro coltello e forchetta e gli faccio compagnia.
“Io dico che dovresti parlarle apertamente.”
“Finirei per distruggere la sua serenità, non so se ne ho voglia.” dico con rassegnazione.
“E la tua serenità? Non è importante?”
“Certo che lo è, ma…”
“Nessun ma. Non conosco tua madre, ma può darsi che come te abbia il desiderio di chiarire, forse sta solo aspettando il momento giusto o forse non ne ha il coraggio, ma tu ne hai da vendere.”
Ha ragione, dovrei sfruttarlo anche in questo contesto, ma è più facile dirlo che farlo: è sempre così.

La mia ultima mise da notte ha fatto scintille. Sono io ad aver pianto, non lei: la mattina seguente, prima di salutare Paolo nel parcheggio dell’albergo.
E ora, mentre sono per strada, diretta verso casa, pensando a un escamotage con cui invitare a pranzo mia madre, il telefono squilla: è mio padre. Attivo il vivavoce.
“Ciao!” esclamo gioiosa.
“Dove sei?”
Il tono sofferto della sua voce mi mette in ansia.
“Sto rientrando da Carpi. Perché?”
“Devo vederti.”
“Mi fai preoccupare… è successo qualcosa?”
“Preferisco parlartene di persona.”
“La mamma?”
Silenzio.
“Papà, mi senti?”
“Sì è la mamma, è in ospedale.”

CINQUATTOTTESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova