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14 Nov

Via col Vento – e non è il film con Vivien Leigh

enrica alessi storie di ordinaria follia

enrica alessi storie di ordinaria follia

 

A

lla parola trasloco, le donne impallidiscono.
Non è un caso che questa fobia sfiori solo di striscio il genere maschile — il cui trasloco assomiglia a quello dei film americani: uno scatolone, due al massimo ed è tutto finito — le donne, invece, sono per natura delle accumulatrici seriali e compulsive e disfarsi del loro ‘corredo’ è sempre un dramma.
Ciò che pensavo non mi avrebbe mai riguardato da vicino, mi ha colpito in pieno: ho lasciato Chiozza, la mia Tara, mi sono trasferita. Ma siccome sono sopravvissuta, la necessità di raccontare mi impone di condividere la mia esperienza personale.
Se gli amici si vedessero nel momento del bisogno, non esisterebbero le ditte di traslochi. La mia si chiama Varini: un nome, una garanzia. Una squadra organizzata che smonta, carica, scarica e rimonta. L’unica certezza in mezzo a un trambusto colossale/esistenziale, tutto il resto è noia.
Il nostro non è stato un trasloco classico, io lo definirei un vero e proprio esodo, una migrazione volontaria dettata da esigenze morali — la mancanza di spazio lo è — a scopo di miglioramento. E diciassette anni trascorsi in una casa che ha visto le tappe salienti della nostra vita non si possono liquidare in quattro e quattr’otto, eppure, liberarsi di tutto ciò che stato per fare posto a ciò che sarà è più facile a dirsi che a farsi. Ed ecco dunque, il grande e inevitabile passo successivo: cosa tenere, cosa buttare.
Se per gli oggetti in generale — specie quelli regalati che non mi sono mai piaciuti e di cui non mi sono mai liberata per paura di fare un torto a chi voglio bene — non è stato un sacrificio, per i vestiti è stato un dramma.
La verità è che per mettere ordine negli armadi e nella vita ci vuole una freddezza spietata che io non possiedo. Sono la versione ordinata di ‘Sepolti in casa’ di Real Time, sono quella che si affeziona a tutto ciò che compra, sono addirittura ricorsa all’escamotage del collezionismo per giustificare ciò che chiunque definirebbe come una patologia, e non sono disposta a disfarmi con facilità dei pezzi che hanno fatto la storia del mio guardaroba.
Nonostante la teoria parli chiaro e imponga a chiunque si trovi nella situazione di dover scegliere, di porsi quattro semplici domande: mi piace ancora? Lo indosso ancora? Mi sta ancora bene? Riflette la mia personalità? (chi è il pazzo che possiede una sola personalità?), la pratica non si applica alla lettera. Ogni volta che ho trovato il coraggio di liberarmi di qualcosa, me ne sono pentita amaramente, perché quel ‘qualcosa’ me lo hanno chiesto le mie figlie. Ma il mio grande bagaglio — che amo definire anche culturale — mi ha imposto di mettere da parte gli affari di cuore e di fare spazio — anche letteralmente — al buon senso.
In realtà, credo che a salvarmi sia stato il mio bisogno di essere circondata dall’ordine per compensare il casino che ho dentro: vedere le cose al loro posto placa la mia irrequietezza, mi fa stare meglio.
Il trasloco ha la capacità di devastare corpo e anima, ma in mezzo a quella confusione fisica ed emotiva, in cui continui a ripeterti ‘chi me lo ha fatto fare?’, la mente reagisce proiettando nel tuo immaginario la fotografia di ciò che vedrai a lavoro finito, ed è solo grazie a essa se trovi la forza di continuare. Ma dopo sei settimane, trenta viaggi in auto, ottantadue scatoloni, dieci stender di vestiti e un esaurimento nervoso, posso affermare che il trasloco è quasi terapeutico, anzi, consiglio di simularne uno a mo’ di esercitazione una volta all’anno, a scopo preventivo.
Cosa mi manca di Chiozza?
Senza dubbio la mia scala, il luogo dove sono nati i miei romanzi a puntate, le mie storie di ordinaria follia e tutti gli spunti che presto diventeranno altri racconti.
E anche la distesa verde, l’ulivo, i ciliegi e il melo sotto cui giace Tobia. Ma le persone che ami, come i luoghi che ami, vengono con te, non tutto finisce dentro una scatola, o meglio, la memoria è la scatola più grande che ci sia, dove rimane per sempre ciò che conta davvero e che sempre ti segue, ovunque tu vada.
Illustrazione: Valeria Terranova