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20 Mag

Una puntata di Beautiful

not for fashion victim

 

not for fashion victim

 

 

 

Q

uando si sacrificano le proprie aspettative, nel tentativo di accontentare quelle altrui, si finisce sempre col rinunciare alla propria felicità.
Questa è la conclusione che ho tratto dopo aver ascoltato la storia di Luca. Credo che la scriverò su un quaderno, così, quando sarò mamma e mio figlio manifesterà il desiderio di fare l’artista, lo asseconderò, invece di imporgli la carriera di veterinario.
Descrivere cosa provo è difficile, so soltanto che ho bisogno di fare una doccia. Di stare sola con i miei pensieri, di ripercorrere mentalmente i fatti, di raccontarli al passato — sottovoce — per sentirli distanti. Superati.
Bacio Luca prima di alzarmi dal letto, infilo la vestaglia, chiudo la porta del bagno, entro sotto la doccia. La vestaglia scivola via e il corpo nudo rimane al freddo, di fronte a un numero ingiustificato di rubinetti.
Qui ce ne sono cinque e non so quale aprire. Se sbaglio, potrebbe arrivare un getto d’acqua gelida dall’alto, di lato, di fronte. Le mani esitano, prima di afferrare quello che per logica potrebbe essere azzeccato, ma non c’è logica in questi kit di rubinetti di design.
Ne apro uno a caso, l’acqua scende dal sifone in alto, mi scanso, cerco di temperarla e quando ci riesco, faccio un passo avanti.
Il vapore comincia a salire, il tepore mi fa sentire al sicuro. Mi bagno i capelli, chiudo gli occhi, riavvolgo il nastro.
Luca aveva manifestato la passione per la musica da quando era bambino.
Aveva preso lezioni di chitarra, di pianoforte, gli insegnanti rimasero colpiti dalle sue capacità. Aveva la stoffa, dicevano, e anche i genitori sembravano assecondare quel talento. Ma col passare del tempo, gli atteggiamenti incoraggianti verso la carriera a cui Luca ambiva, cominciarono a cambiare. A trasformarsi, pian piano, in raccomandazioni ben articolate che designavano chiaramente quale fosse, invece, la carriera a cui i genitori ambivano per il figlio.
Mila e Achille hanno influenzato le decisioni di Luca: la scuola superiore, la facoltà universitaria. Hanno manipolato le sue scelte, pensando di garantirgli un futuro solido, senza tener conto, però, che un mondo a cui non si vuole appartenere non è un posto sicuro.
Luca si sente in colpa per non aver difeso i suoi sogni e le sue volontà, ma presumo non sia stato facile gestire le innumerevoli pressioni, o non sarebbe successo ciò che è successo. Eppure, quella grave perdita, che avrebbe dovuto gettarlo nello sconforto, gli ha dato la forza di reagire, di ricominciare. Come se quella morte fosse un mezzo di rendergli la vita che fino a quel momento si era privato di vivere. Quasi fosse la promessa fatta a un amico che non si vuole tradire.
Cassandra ha ragione: amiamo le persone per ciò che sono, non per ciò che sono state. Ma ciò che sono state si riflette inevitabilmente su ciò che sono, e non si può amare a comparti stagni. Ecco perché credo di poter convivere con una fetta triste del suo passato. E per quanto riguarda la mia, be’, sono convinta che mettere in tavola ora, ciò che davvero avevo intenzione di confessare, potrebbe appesantire il sapore di questo weekend: gli dirò dell’incendio del 2006.
Lo switch mi sembra così brillante, che apro gli occhi cercando l’approvazione della tazza del water che ho di fronte, ma lo shampoo mi acceca. Mi sfugge un grido di dolore.
“Tutto bene?” mi chiede Luca da dietro la porta.
“Sì, sì.”
Mi sciacquo velocemente, non voglio farmi trovare ancora sotto la doccia. Chiudo il rubinetto, esco a cercare l’accappatoio, ma la vista è ancora annebbiata. Lo trovo e mentre cerco di infilarlo, Luca bussa alla porta per entrare.
“Avanti.” dico stringendo la cintura in vita.
Sono in piedi, vicino al lavandino, lui mi guarda, sorride.
“Mi piaci con i capelli bagnati.” esordisce in tono provocatorio.
Sento una piccola scossa, ma non è il pancreas, è più in basso: per calmarmi mi ci vorrebbe un’altra doccia — fredda stavolta.
“Anche tu sei carino con la t-shirt.”
Viene verso di me. Rimpiango di non aver precisato che anche i suoi capelli non sono affatto male: dorati, lunghi e docili. Gli scivolano sul viso, le mani li scostano, le sue labbra carnose sorridono e raggiungono le mie per baciarle.
Ripenso alla doccia fredda, ma è lui a spegnere i miei bollenti spiriti allontanandosi. Si volta a cercare un posto per sedersi, raggiunge il bordo della vasca e mi chiede: “Cos’è che volevi dirmi prima?”
Evidentemente mi tocca: devo sputare il rospo. Ma confido che il tema ‘fuoco e fiamme’ ci accompagni anche dopo aver concluso questa storia.

Ammetto che raccontarla ad alta voce rende i fatti ancora più gravi, e non che di loro già non lo fossero.
Seppure all’inizio, la parte narrativa si concentri sui misteri della fisica, per poi degenerare alla pura pazzia, a mia discolpa, vorrei aggiungere che non è facile frenare la frenesia, provocata dalla scoperta della combustione, in un bambino di otto anni. Quando vidi quei fiammiferi, non capii più nulla: spensi la luce e accesi le foglie.
Peccato per il finale, che descrive nel dettaglio il panico generale, le fiamme che divampano e le sirene spiegate della camionetta dei pompieri, e che spazza via ogni possibile giustificazione. Ho rischiato davvero di finire in un carcere minorile.

E dopo la lunga ed estenuante confessione, è arrivata la colazione dei campioni, che ha ufficializzato l’inizio di questo weekend romantico.
Abbiamo prenotato un massaggio per stasera alle sette e sfrutteremo il pomeriggio per rilassarci, faremo una nuotata, un bagno caldo, magari leggeremo un libro nella zona relax, o torneremo in camera e riprendere ciò che abbiamo interrotto ieri sera.
Mi infilo il costume, l’accappatoio e mi lego i capelli, Luca è sulla porta che mi aspetta.
Lo prendo per mano, ci incamminiamo verso l’ascensore che conduce alla SPA e sento già i benefici dell’acqua termale: sono nell’aria. Luca si dirige nella zona Saune e io vorrei tirarmi indietro.
Soffro di pressione bassa, odio sudare e non mi piace sentirmi attaccaticcia. La sauna non è proprio il mio posto. Ma lui si volta a guardarmi e sembra così felice di entrare: devo fargli compagnia.
“Quello è lo spogliatoio.” dice indicando una stanza alle mie spalle. “Ci vediamo qui tra cinque minuti, okay?”
“Okay.” mormoro.
Entro nello spogliatoio e non so nemmeno perché. Indosso il costume sotto l’accappatoio, non bastava appenderlo fuori dalla sauna? Ma la signora che mi aspetta a braccia conserte, vicino al grande lavandino di marmo, pare sia lì, proprio per chiarirmi questo dubbio.
Indossa un delizioso camice verde acqua, è di corporatura robusta, ha i capelli biondo platino e un’espressione rilassata.
Vorrei vedere: lavora in una SPA.
“Buongiorno.”
“Buongiorno a lei.”
“Deve entrare in sauna?”
Non per scelta.
“Sì… vuole che lasci qui l’accappatoio?” chiedo mentre cerco di sfilarlo.
“Ha oggetti preziosi? Anelli, bracciali, orologi? Dovrebbe toglierli o potrebbero scottarle la pelle.”
Mi libero dell’orologio, lo infilo in tasca e aspetto nuove istruzioni.
“Ora può scegliere uno spogliatoio e togliersi il costume.”
La prima parte l’ho capita, quella di ‘e adesso spogliati’ non troppo.
“Non posso tenerlo?” chiedo cercando di smuovere un po’ di pietà.
“In sauna si entra nudi per una questione igienica. Quando suderà, le fibre sintetiche del suo costume potrebbero irritarle la pelle e le parti intime…”
Capito.
“Ecco perché le chiediamo di toglierlo.”
Per non rovinare un weekend romantico, è chiaro no?
Ma io non ci voglio andare in un centro benessere per nudisti. Qui non si tratta di una semplice prova costume, si tratta di presentarmi come mamma m’ha fatto, di fronte a persone che sudano e che non conosco. Non ci riesco.
Ma è la mia faccia, quella di chi ha troppo pudore per mostrarsi nudo in pubblico, a smuovere in lei un minimo di comprensione.
“Ma può indossare il telo.” aggiunge porgendomelo. “Con questo potrà mascherare le nudità.”
Lo afferro, mi dirigo nello spogliatoio numero tre e dopo un paio di minuti, mi ritrovo a sfoggiare un bellissimo asciugamano bianco. Ripongo l’accappatoio nell’armadietto e vado dritta verso la porta. Ma mentre sto per uscire, la signora Acqua Marina mi chiama.
“Vorrei fare una precisazione, non vorrei si scandalizzasse: la nostra sauna è
‘alla nordica’, si pratica completamente nudi e la nudità è funzionale a ciò che si sta facendo.”
Quindi mi ha fregata? Sta dicendo che una volta entrata, sarò costretta a spogliarmi?
D’istinto, getto uno sguardo fuori dalla porta per capire se posso tirarmi indietro o se Luca è già arrivato: è di fronte a me, ha un asciugamano come il mio, stretto al suo punto vita. Sorride: dannazione.
“Secondo la medicina alternativa, è fondamentale trovare il giusto equilibrio tra corpo, mente e natura. Esiste un elemento di contatto con ognuno dei cinque elementi. Ne approfitti…” conclude strizzandomi l’occhio.
Rimango a guardarla, credo pure di avere la bocca spalancata dallo stupore.
Ripeto mentalmente la faccenda dell’equilibrio tra corpo, mente e natura e mi dico, ma sì, in fondo ha ragione: dovrei aprire la mente e lasciarmi cullare dalla natura — ma non c’è nessun cartello che chieda espressamente di spogliarmi, quindi ne deduco che sia a mia discrezione.
Mi sistemo l’asciugamano e raggiungo Luca.
Entriamo in sauna e vengo assalita da un getto di vapore umido che mi stordisce.
Mi sto sciogliendo e le luci, che cambiano colore e che dovrebbero innescare un senso di benessere, al contrario, mi infastidiscono.
Ci sono delle poltrone in marmo su cui sono sedute un paio di persone, Luca prende posto vicino a loro, io di fronte a lui. Noto con piacere che Luca non è un nudista: il suo asciugamano non si è spostato di un millimetro, resta ancorato ai suoi fianchi. Gli faccio un sorrisetto, porto la testa indietro cercando di rilassarmi, ma per sbaglio mi volto di lato e i miei occhi finiscono su un uomo nudo: mi sento morire. Fingo di perdere i sensi per ignorare i flash scabrosi che la mia mente continua a sparare come fuochi d’artificio. A pensarci bene, non è tanto la parte bassa della persona che mi siede accanto a turbarmi, ma la parte alta, il viso: potrei giurare che si tratta di Ridge Forrester. Riconoscerei quella mascella ovunque, anche la punta del naso e il profilo delle labbra sono identici.
Se si voltasse a guardarmi, potrei vedere il colore e la forma dei suoi occhi, e non avrei più dubbi. Mi pare quasi di sentire la sigla di Beautiful: Ridge mi guarda.
Quando riprendo i sensi, la sigla è finita.
Mi accorgo di essere svenuta sul pavimento, che la testa mi fa male e che l’uomo nudo, che ora si è rivestito, è davvero Ridge Forrester e mi accarezza i capelli. Peccato per il bernoccolo che mi sta sfiorando: mi ricorda che potrebbe trattarsi di un’allucinazione. Vedo Luca rientrare con l’equipe medica. Un paio di persone con il camice bianco mi fanno stendere su una barella, mi offrono da bere e mi conducono fuori per sottrarmi dal calore. Su quel materassino, incarno l’immagine perfetta di chi non è riuscito a trovare l’equilibrio tra corpo, mente e natura. Se non altro, sono ancora coperta dall’asciugamano. Ma prima che possa uscire di scena, e dire addio al sosia di Ridge, Luca gli si avvicina, lo chiama Ron e lo ringrazia stringendogli la mano.
“Lo conosci?” chiedo a fil di voce mentre i medici mi conducono in infermeria.
“È stato ospite di mia madre nella nostra casa al mare, una decina di anni fa, direi.”
Sono davvero in una puntata di Beautiful.

Ho evitato la sauna e la signora Acqua Marina, e il resto del weekend si è concluso brillantemente. Ho addirittura strappato un autografo a Ron Moss, lo regalerò a mia madre.
Sto chiudendo le valigie e un nodo mi si stringe in gola. Mi mancheranno i momenti di intimità, le lunghe chiacchierate e i baci appassionati sotto le coperte.
Un weekend romantico può mostrarti gli aspetti felici di una possibile convivenza e l’idea non mi dispiace. Ma non esternerò il mio desiderio, potrebbe compromettere la sua zona di comfort, preferisco aspettare che sia lui a chiedermi di entrare — mi auguro nel breve periodo.
Luca mi raggiunge nella cabina armadio, mi prende il viso tra le mani e dice: “Sono stato bene con te.”
Perché usa il passato?
“Stato?” chiedo avvilita.
“Intendevo qui.” precisa divertito. “Mi piace addormentarmi con te, svegliarmi con te, a casa non succede spesso, e pensavo che dovremmo vivere insieme, potresti trasferirti da me.”
Lo dice così: tutto d’un fiato e pare non aver finito.
“Max avrebbe compagnia tutto il giorno e quando arriveranno i cuccioli, in fattoria avranno più spazio per giocare, Lolita se ne starà sotto il portico…”
Vedo tutto il quadretto e ho voglia di scoprire cosa succederà poi, quando gli dirò che non vedo l’ora.

 

QUARANTANOVESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova