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1 Mar

Last Action Hero…e non è il film con Arnold Schwarzenegger

enrica alessi storie di ordinaria follia
 enrica alessi storie di ordinaria follia
F
ebbraio 2012. La settimana della moda è  finita, torno a casa.
Le bimbe sono state brave, non si sono ammalate e Giaco è sopravvissuto.
Meno male. Mi metto al lavoro, inizio dalle foto. La macchina fotografica è sulla scrivania, mi siedo e do un’occhiata.
Quando trovi una foto che ti piace, sorridi: ti viene d’istinto. Anni di terapia e finalmente la soddisfazione di sentire l’effetto che produce l’autostima. Sono sempre così critica nei miei confronti, ma qui mi piaccio.
Preparo l’articolo che accompagnerà la foto, e anche se è molto diverso da quello che scriverei oggi, devo comunque cominciare con l’elenco dei pezzi che indossavo per far capire di cosa parlo. Condendolo un po’.
Sfondo: cielo grigio, palazzo sulla destra, siepe verde. Al centro ci sono io, sorrido.
Indosso una maglione nero di non mi ricordo, una giacca marrone di Marni, un cappello di Borsalino in feltro beige. A seguire, un sandalo dorato di Chanel, una stola di pelliccia ecologica di P.A.R.O.S.H e una borsa fucsia di Proenza Schouler. A concludere, una gonna di Caterina Gatta.
Caterina Gatta: che stilista geniale.
L’ho conosciuta, è una ragazza che adoro. Caterina ha la passione per i tessuti vintage, li cerca in giro per il mondo e dopo averli trovati, crea le sue collezioni fatte di pezzi unici.
La gonna della foto è a longuette, realizzata con una stoffa di Versace anni ‘90. Il tessuto particolare crea una struttura a palloncino dall’effetto cangiante, su una stampa a mosaico di colore ocra, oro, fucsia e blu.
Non è un look da tutti i giorni, di certo non lo userei per andare a scuola a prendere le bimbe, ma in fashion week a Milano, dove i look durano quanto la vita media di un moscerino: dai quindici ai diciassette minuti, si può fare.
Posto la foto e dopo qualche ora, mi accorgo che lo scatto ha catturato l’interesse generale: parecchie persone sono rimaste colpite e si sono prese un po’ di tempo per lasciare un commento: ce ne sono più di cinquanta. Inizio a leggere.Il detto: ‘che se ne parli bene, che se ne parli male, ciò che conta è che se ne parli’, forse non tiene conto della sensibilità.
Seppure sia consapevole di non conoscere chi li ha scritti, quei pareri sembrano avere un peso.
Uno dei primi che leggo è di un ragazzo che mi chiede se mi sono vestita da Indiana Jones, mi metto a ridere: la battuta è spiritosa, quasi mi dispiace che non sia mia. Un altro mi suggerisce di buttare borsa e scarpe, vorrei rispondergli con sincerità, una cosa tipo: ‘sei pazzo? Sai che quella borsa è una Tiny di Proenza di un colore meraviglioso? E che quei sandali li ha partoriti Karl Lagerfeld insieme alla fantastica idea di farli sfilare al palazzo di Versailles, in occasione della collezione crociera dedicata al concetto ‘Coco Rock, Rococò’? Buttarli? Ma non esiste. Ma poi vado avanti.
“Gusto sotto i piedi”; “non ti si può guardare”, “terrificante”; “cattivo gusto imperante”; “bello sapere che anche le ciccione cercano di fare tendenza”; “terribile”. Per citarne alcuni.
Li leggo e li rileggo. Mi sembra chiaro che alcune persone non approvino la mia scelta, vorrei precisare che il look non è un tatuaggio, che nel frattempo, come ho cambiato mutande e reggiseno, anche la mise è diversa. E non è solo la cattiveria gratuita a rattristarmi, ma la consapevolezza che sui social, quando ci si trova di fronte agli insulti, rispondere come vorresti è un lusso che non puoi concederti. Ad aggiungersi a quello che ha tutta l’aria di essere già un vero e proprio massacro, sono un paio di persone che si accaniscono coalizzandosi, con una serie di commenti offensivi, scritti con l’intenzione di mortificarmi profondamente.Il mio sguardo passa dallo schermo allo specchio che è di fronte alla mia scrivania, gli occhi sono gli stessi del Gatto con gli stivali di Shrek: innocenti e indifesi; l’espressione, invece, è quella di chi proprio non capisce come si metterà questa cosa: ho solo postato una foto, non ho ucciso nessuno.
Nel frattempo i commenti aumentano, qualcuno mi trova originale, qualcun altro mi difende, scrivendo che non approva i modi con cui sono espresse certe considerazioni, ma poi ne arriva un altro che mi lascia di sasso. Inizia così:
“Che ridere mi fanno tutti questi commenti…”
Deglutisco, immagino l’ennesimo attacco sviluppato in una decina di righe, che difficilmente riuscirò a digerire, ma mentre scorro, mi accorgo che ho sbagliato: sta prendendo le mie difese.
“Si vede benissimo l’autoreferenzialità che si danno tantissime persone — deduco appartenenti tutte al mondo della moda —  che si mettono a giudicare così volgarmente una ragazza sorridente che ama quello che fa. I consigli possono essere anche duri, ma la maleducazione, la volgarità e la cattiveria sono altre cose.”
La bocca è spalancata, la chiudo, ma resta aperta la questione identità: chi è costui che non conosco che si prende la briga di difendermi? Un paladino? Un giustiziere? Un cavaliere mascherato?
Corro sul suo profilo per associare un volto a questo eroe, un clic e svengo.
Un figo mondiale: moro, alto, bello.
La sua bocca fa gioco di squadra con lo sguardo, quando sorride, ha gli occhi dolci. Che bello è?
Ma soprattutto: come ha fatto a trovarmi?
Vive a Milano, ma non l’ho mai visto. Decido di chiedere a Matteo, il mio migliore amico, lui è più mondano di me, forse lo conosce.
Lo conosce.
“Enri! Ma lui è pazzesco!”
“Lo so: mi ha difeso.”
“Lui è il migliore amico di Marcelo Burlon. Frequenta dei posti super top e credo anche che faccia il modello.”
Una valanga di insulti, ma ne è valsa la pena. Lui è il mio eroe, il mio Last Action Hero: colui che è intervenuto all’ultimo per salvarmi da tutto questo.
Decido di mandargli un messaggio in privato per ringraziarlo. In mood Melissa/Jerôme: il cuore batte fortissimo.
Cerco le parole giuste, ma le notifiche continuano ad arrivare e mi distraggono: Michele è tornato all’attacco.
Devo correre a vedere che succede.
È come essere al cinema: proiettano la mia vita in diretta.
Leggo velocemente: continua a difendermi. Questa volta non si limita a un discorso generale, ma si rivolge direttamente ai commentatori più feroci.
“Dici di possedere un certo un curriculum, ma è triste aggredire una ragazza per i suoi outfit. Hai addirittura bisogno di trovarti una spalla, la tua collega, che interviene per scrivere che Enrica è orribile. Ma ti pare che una persona davvero di valore si mette a insultare le ragazze che fanno fashion blog? Nessun trascorso lavorativo ti dà l’autorevolezza di giudicare in maniera così maleducata.
Invece la mia opinione personale su Enrica: sei fantastica con la tua personalità e i tuoi vestiti. saluti.”
Sono commossa.
Un’ora più tardi, gran parte dei commenti cattivi vengono cancellati da chi li ha scritti.
Devo ringraziarlo per aver preso le mie difese. Mando il messaggio, lui mi risponde e diventiamo amici.
Gli dedico un’intervista per il mio blog.
Lui è un VFX Designer e io non so niente del mondo 3D. Mi prendo una settimana per preparare le domande: voglio fare bella figura. Ne esce una cosa carina:
Il fascino degli effetti visivi.
A buon intenditore poche parole.
Abbiamo continuato a sentirci e insieme a Matteo abbiamo realizzato un video per una collezione di Christian Louboutin.
Un progetto bellissimo.
Ci siamo visti un paio di volte, lui mi chiama pazzesca e io rido.
Credo che non lo ringrazierò mai abbastanza per il suo gesto gentile.
Oggi Michi è ancora un vfx designer, ma da un paio d’anni si dedica esclusivamente all’azienda di Marcelo, County of Milan, per cui realizza progetti pubblicitari, alcune grafiche per le nuove collezioni e collaborazioni con marchi importanti come Eastpack.
Ha sfilato per Marcelo Burlon per un paio di stagioni. Era il modello più figo.
Lui è il mio Last Action Hero.
Non ci vediamo mai, ma ci scriviamo ogni tanto, anche solo per dirci ‘ti voglio bene’.
Illustrazione: Valeria Terranova