To top
27 Feb

Addio Karl

not for fashion victim

 

 

not for fashion victim

M

i pare evidente che questo Dior non abbia dato filo da torcere solo a Coco, ma pure alla sottoscritta: Amazon ha perso il mio pacco. Il pacco che conteneva il nuovo libro di Jerôme: New Looks.
Il libro che avevo comprato per studiare la vita di Christian Dior — e impressionare l’autore che avrei intrattenuto durante la festa di addio al nubilato della mia migliore amica.
Peccato che tutto questo rimarrà solo un sogno. Io non parlerò mai un Diorese perfetto e la colpa è solo di Amazon.
Salgo in auto. Dimentico per un momento questa piccola tragedia e chiamo il dottore per avere notizie di Max.
Passo a prenderlo stasera con la mia torpedo blu. In realtà è solo una panda scassata color amaranto, ma rispecchia la policy della carrozzeria che gentilmente mi ha concesso la sua auto sostituiva.
Il tragitto è breve, dopo dieci minuti, sono davanti alla clinica.
Vedo entrare Britney. L’istinto mi dice di nascondermi sotto il volante, ma la ragione sa bene che non posso sfuggirle.
Accetto il mio destino e apro la portiera. Scendo e raggiungo l’ingresso.
Ignoro Federica che mi aspetta alla reception con una telefonata — devo ancora superare quella del cane a due teste — le passo accanto velocemente, alzo l’indice verso l’alto per impartire una sorta di ordine, e le chiedo di passare la chiamata a Britney.
Meglio tenerla impegnata per un po’.
Nel frattempo, cercherò di entrare nella parte di chi non ha nulla da nascondere e il ché è quasi impossibile. Non ho ancora trovato il tempo di scrivere a Jerôme, non so ancora se potrà partecipare a questa festa e non so nemmeno come liquidare la questione ‘Karl’.
Sarò scoperta. Britney capirà che mento e non avrò più alcun tipo di credibilità. Neanche la carica che ricopre la madre del mio ragazzo riuscirà a riscattarmi. Resterò per sempre l’amica bugiarda che si inventa le frottole.
Infilo il camice, mi siedo alla scrivania e vado per ordine: un messaggio a Jerôme.
E mentre sto per iniziare a scrivere,
Cristina fa irruzione nel mio ambulatorio, senza nemmeno chiedere permesso.
I colpi alla porta sono giusto una formalità: è già entrata e viene verso di me. Abbandono con nonchalance il cellulare sulla scrivania, ma sono pronta a scommettere che questo poco preavviso abbia lasciato sul mio viso un’espressione da ebete.
“Ciao… Chi era al telefono?” chiedo in tono professionale.
“Un cucciolo ha appena divorato la borsa della sua padrona…”
“È grave?” la interrompo allarmata.
“Be’, era una Louis Vuitton…” mormora.
“Stavo parlando del cane…”
“Ah, scusa. Lui sta bene. Però la padrona preferisce che gli diamo un’occhiata.”
Io non so chi sia questo Luivittò — credo che sia il diminutivo di Luigi Vittorio — e sono certa che presto si metterà a farmi domande su Karl a cui non saprò rispondere: Devo liberarmi di lei.
“Okay, avvisami quando arriva, ora devo occuparmi di un paio di cose.”
Mi alzo per farle capire che le sto chiedendo implicitamente di uscire, ma lei non si muove, resta lì a fissarmi.
“Immagino che tu abbia bisogno di stare sola…” dice con rammarico.
Per levarmela dai piedi mi basterebbe rispondere: ‘sì, infatti’, non sarei nemmeno scortese, ma ho l’impressione che ci sia qualcosa che dovrei sapere e che non so.
Sembra preoccupata e non capisco il motivo.
“Sicura di stare bene?”
“Sì, certo, perché?”
“Ascolta: so di toccare un tasto delicato, ma che mi dici di Karl?”
Bella domanda. Che ti dico di Karl?
Non mi viene niente, nessuna idea e più la guardo, più fatico a interpretare la sua enfasi melodrammatica. Ha il viso triste, ma che diavolo è successo?
“Cristina, tutto bene?” chiedo a mia volta.
“Non mi dire che non lo sai…”
La sua voce è sofferta.
Sgrano gli occhi: credo sia palese che non so di cosa stia parlando e lei lo intuisce.
“Oh no! Dovrò essere io dirtelo?”
Dirmi cosa?
“È meglio che tu ti sieda… e anch’io.” suggerisce lei.
Siamo una di fronte all’altra, sospira, mi guarda.
“Karl Lagerfeld è mancato stamattina.”
Ommioddio. Questa è davvero una grande perdita, Chanel ha perso il suo direttore artistico: lo so pure io che non mastico di moda. E mi sorprendo della mia nuova e inaspettata sensibilità mista a cordoglio, che mi unisce a tutto il fashion system in questo terribile giorno.
“Com’è successo?” chiedo sconvolta.
“Nessuno lo sa. Forse era malato. Il fatto che non si fosse presentato alla fine della sfilata haute couture aveva destato parecchi sospetti sul suo stato di salute…”
Anche di questo episodio non sapevo nulla. Non posso fare altro che perseverare: fingermi afflitta nella speranza di non destare sospetti.
“Avrei dovuto immaginarlo.” dico scuotendo la testa quasi mi fosse impossibile accettare la sua morte.
“Non potevi saperlo, non fartene una colpa. Quando ti sentirai sola potrai rileggere i suoi ultimi messaggi.” dice prendendomi la mano.
Chino la testa verso il basso: sono una persona orribile. Le ho mentito spudoratamente, le ho fatto credere che io e Karl fossimo amici e ora sta addirittura tentando di consolarmi: potrei sentirmi peggio?
Ma un secondo più tardi, mentre fisso il piano della scrivania, realizzo che questa perdita toglie di mezzo una delle mie bugie, e nonostante non credessi di possedere un lato cinico, non posso che rallegrarmene.
Questa è la mia occasione: basta con la bugie. Ora prenderò un po’ di tempo — lo stesso che si è preso Priamo quando è morto Ettore — e tornerò dicendo che ho trovato un degno sostituto per la festa di Cassandra: il suo scrittore preferito.
“Grazie per le belle parole.” mormoro.
“Figurati… so che tu avresti fatto lo stesso.”
“Cambiamo discorso: la gatta?”
“Sta molto meglio, non ha più la febbre e mangia con appetito. Le ho dato un nome.”
Sono curiosa.
“E si chiama?”
“Be’, è un gatto fortunato, un aristogatto, quindi Minou.” conclude soddisfatta.
Vista l’età, avrei suggerito Duchessa, ma la storiella degli Aristogatti è carina.
“Mi piace.”
E ora, se ti alzi e te ne vai, è meglio.
“Senti, devo dirti una cosa…”
“Non preoccuparti, starò bene.” la anticipo per rassicurarla.
“Ne ero certa. E a tal proposito, a costo di sembrare impudente, devo chiederti se possiamo trovare un sostituto per la festa.”
Brava Britney: stavolta mi hai servito l’occasione su un piatto d’argento.
Quando mi ricapita?
“Credo di avere una valida alternativa.” dico con aria sicura.
“Davvero?”
“La migliore.”
“E chi sarebbe?”
Forse è meglio se mi prendo un po’ di tempo per elaborare la versione ufficiale.
Non voglio rinnegare me stessa: io e lei sappiamo bene che non possiamo rinunciare a quella piccola dose di bugia che rende la verità più interessante.
Devo studiarmela.
“Parliamone a pranzo, ti va?”
Massì, via il dente, via il dolore.
Anche lei è sorpresa per il mio invito inaspettato.
“Fantastico. A pranzo sono libera.”
Si alza, sorride e se ne va.
La accompagno alla porta, chiudo a chiave, mi precipito alla scrivania, impugno il telefono a due mani e finalmente scrivo a Jerôme.

“Caro Jerôme,
non ti ho più sentito, come stai?
Io sto bene… a parte la grave perdita di Karl che ci unisce tutti nel dolore…”
Troppo drammatica?
No: è di Karl che stiamo parlando.
“A consolarmi è il pensiero che manca solo un mese alla festa di Cassandra e siccome sarai l’ospite d’onore, potresti anche decidere l’intero allestimento. Seguirò le tue dritte e preparerò il party più bello che si sia mai visto.”
Ma prima di concludere con una cosa tipo: #CiaoCaroFammiSapere, penso alla madre di Luca e potrei usarla come merce di scambio — ma solo per il bene di Cassandra.
“In quella occasione, sarò lieta di presentarti la madre del mio ragazzo, la direttrice di Grazia, sarebbe bello se potesse dedicarti un’intervista. Che ne pensi?
Fammi avere tue notizie.
Un abbraccio
Melissa.”

Rileggo il messaggio velocemente, lo invio e incrocio le dita. Ora, tutto ciò che devo fare è tenere in piedi la mia relazione.

Sono già le tredici, Britney mi aspetta per andare a pranzo e Jerôme non risponde: comincia a essere prevedibile.
Non importa, oggi devo solo far sapere a Cristina della sua esistenza e convincerla che per Cassandra sarà una sorpresa grandiosa.
Accanto alla clinica, c’è un bar molto carino dove preparano pranzi veloci.
Entriamo, prendiamo posto sulla sinistra, vicino alla vetrata. Elisa, la ragazza addetta ai tavoli, ci consegna il cartoncino con le proposte del giorno.
Non le guardo nemmeno, vado subito al sodo.
“L’ho contattato.” dico a bassa voce, quasi fosse un’informazione riservata.
“Tu cosa mangi?” mi chiede.
Forse la voce era troppo bassa: non mi ha sentito. Mi fiondo sul menu.
“Insalata di farro.” dico prontamente, ma
non sembra ascoltarmi: è concentrata sul pranzo.
Elisa si presenta subito dopo, in una mano tiene il block notes, nell’altra la penna.
“Siete pronte?” ci domanda.
“Sì, allora,” inizia Britney, “io l’insalata dello chef, ma con olio e aceto a parte. E poi la torta di mele. Ma la torta la voglio riscaldata e non ci voglio il gelato sopra. Lo voglio a lato e che sia di fragola e non di crema, se possibile, sennò niente gelato, ma solo panna. Ma panna vera, se è in lattina, allora niente.”
È come essere al tavolo di ‘Harry ti presento Sally’: speriamo non cominci a gemere.
“Non vuoi neanche la torta?” chiede Elisa un po’ confusa.
“No la torta la prendo, ma non riscaldata.”
La vedo stenografare, il block notes trema sul palmo della sua mano, poi i suoi occhi si spostano dal foglio per raggiungere i miei, ma io voglio solo l’insalata di farro.
Ci porta da bere e ci lascia sole.
“Oggi ho contattato la persona di cui ti parlavo.”
“Voglio sapere chi è…” mi incalza.
“Si chiama Jerôme Gautier.”
“Ma è pazzesco!”
Lo conosce?
“Cassandra lo adora. Gli ho mandato un messaggio e spero che mi risponda.”
“Tutti adorano Jean Paul Gaultier! I suoi corpetti con i seni a forma di cono, le sue guêpière seducenti, i suoi abiti succinti…”
Ma di chi sta parlando? Di quello che veste Madonna per i suoi concerti?
“Le sue righe, lo stile marinière…”
La mia espressione stranita non basta a farle capire che c’è stato un malinteso, devo interromperla.
“Tu stai parlando di uno stilista, il mio è uno scrittore. Non si chiama Jean Paul si chiama Jerôme.” dico tutto d’un fiato.
Finalmente l’espressione stranita è la sua: non lo conosce, proprio come immaginavo.
“Potrebbero essere parenti…” suggerisce.
Che siano cugini?
“Non lo so. Comunque, Jerôme ha scritto un libro che si chiama Lessico dello stile, è il preferito di Cassandra…”
“Oh sì, ora ho capito! È bellissimo: racconta lo stile di Coco Chanel, ci sono delle immagini di archivio splendide…” mi interrompe eccitata.
E nonostante non mi aspettassi che fosse
ferrata anche su questo argomento, mi compiaccio.
“E credi che verrà?”
“Abbiamo buone possibilità.” la rassicuro.
I piatti arrivano, cominciamo a mangiare.
Lei butta giù il primo boccone e riprende a parlare.
“Ora che Karl non c’è più, potremmo rivalutare la mia idea di dress code: le conigliette di Playboy, che dici?”
Assolutamente no.
“Credo che dovremmo rispettare le sue ultime volontà, a lui farebbe piacere.” dico con un velo di tristezza.
“Certo, scusa, hai ragione… e dove potremmo organizzare la festa?”
“Potremmo fare da Cristian, al Rigattiere Gastronomico.”
Ma mentre pronuncio quelle parole, dettate da un entusiasmo sincero, perché è l’unico locale in centro che si presta a una festa di questo tipo, realizzo di aver toccato un tasto dolente: ricordo solo ora che si sono lasciati. Come da previsioni, la sua espressione cambia, si incupisce.
“Non stiamo più insieme… non te lo avevo detto?”
A questo punto mi sembra inutile sottolineare che invece ne ero già a conoscenza.
“Mi dispiace…” mormoro.
“Non dispiacerti, sono stata io, non avevamo molto in comune.”
Chissà perché ma vorrei contraddirla: Cristian e Cristina hanno lo stesso numero di vocali, lo stesso numero di consonanti, in pratica sono due anagrammi, ma Cassandra ha ragione, messi insieme sembrano il nome d’arte di una coppia di artisti folk: è stato meglio così.
“Troviamo un’altro posto…” suggerisco prontamente.
“E se affittassimo una discoteca?”
Una discoteca? Ma che festa ha in mente?
“Mi sembra un po’ eccessivo, io immaginano una cosa ristretta, una ventina di persone al massimo, Cassandra aspetta un bambino, credo che apprezzerebbe qualcosa di più intimo, no?”
“Forse hai ragione… non ci avevo pensato…”
Non oso immaginare cosa avrebbe organizzato senza di me, al pensiero rabbrividisco. La mia presenza è diventata indispensabile.
“Comunque… mentre aspetterò la risposta di Jerôme, tu puoi cominciare a farti un’idea sul locale, poi penseremo agli allestimenti, okay?”
“Ci sto.”
Britney è arrivata al dolce, il pranzo sta per concludersi ed è come se mi fossi tolta un peso. Certo, dovrò affiancarla per questo evento e siamo solo all’inizio, ma
ammetto che ora che la verità è sul tavolo, sarà tutto più semplice.

Rientro a casa alle otto passate, Max è il cavaliere ufficiale di questa serata, che trascorreremo in relax sul divano insieme a Fox Crime.
Avrei potuto raggiungere Luca, ma domani è il gran giorno: accompagnerò Cassandra a Milano e devo essere in forma. Credo indosserò la mise sobria che avevo deciso per quella serata formale: non sarà nulla di speciale, ma un paio di pantaloni a vita alta, una camicetta color crema e le mie décolleté mi faranno sentire a mio agio: ne ho bisogno.
E siccome sono convinta che quella che mi aspetta non sarà una giornata facile, preferisco abbandonare l’idea di Fox Crime. Sarà meglio finire il libro dedicato alla vita di Coco, se non altro, potrò dire di aver concluso una parte teorica importante della storia della moda.
O sarebbe meglio studiare il percorso creativo di Din Don Dan? Forse mi sarebbe più utile. Una cosa alla volta.
Mi tuffo sotto la doccia, infilo il pigiama, riempio la ciotola di Max di crocchette e mi siedo sul divano con il mio libro e il mio plaid.

Negli anni della guerra, durante quel lungo periodo di inattività, Coco che non è abituata a starsene con le mani in mano, matura l’idea di scrivere le sue memorie.
Sembra un progetto ambizioso, probabilmente dettato dal ruolo importante che lei stessa ricopre nella società del suo tempo, ma è soprattuto un’esigenza legata alla sua età e al desidero di lasciare una traccia di sé.
Gabrielle spera di continuare a esistere grazie a questo racconto e ripercorrere gli episodi della sua vita passata, attraverso le gioie e i dolori, sarebbe una rinascita per lei.
Non ha la pretesa di riuscirci da sola, ha scritto decine di massime che etichettano il suo modo di vedere lo stile e il mondo che la circonda, ma mettere su carta il suo trascorso è un lavoro diverso e decisamente impegnativo. Sarà il destino a fornirle la persona a cui assegnerà il progetto.
Nell’estate del 1947, Coco si trova a Venezia e conosce Louise de Vilmorin, già autrice di numerosi romanzi. Tra le due donne la sintonia è immediata.
All’inizio di settembre, Gabrielle la invita a Parigi e le chiede di prendere appunti sul suo passato e di dare loro una forma letteraria con cui costruire un racconto in grado di conquistare il pubblico. Louise accetta e in cambio del suo contributo, Coco le propone di spartirsi i diritti d’autore della futura opera.
Le sessioni di lavoro si concentrano nell’arco di circa quattro mesi. Gabrielle concepisce le sue memorie in modo particolare, non le importa di rimanere fedele alla verità, la leggenda fa ormai parte del suo personaggio, e non ha alcuna intenzione di distruggerla con confessioni inopportune. Decide, perciò, di occultare la triste realtà dell’inizio della sua esistenza. I suoi genitori diventano contadini agiati che possedevano molte fattorie e che si spostavano di città in città con lussuose carrozze. Racconta che suo padre fu costretto a lasciare la famiglia per raggiungere l’America in cerca di fortuna, ma dell’orfanotrofio di Aubazine nessun accenno e nemmeno delle monache che l’hanno allevata. Dice di essere stata affidata ad alcune zie che l’hanno educata con un certo rigore, e non parla né dell’epoca in cui faceva la commessa in un magazzino di confezioni, né del periodo di Moulins, in cui si esibiva come ballerina, facendo suo quel motivetto che le avrebbe assegnato il soprannome di Coco. Sostiene che fosse il padre a chiamarla affettuosamente a quel modo.
Mentire non le costa alcuno sforzo, la sua fervida immaginazione le consente di abbellire le sue bugie, immaginando che lo stesso amore per il suo lavoro possa tradursi nell’amore di un pubblico, attraverso le sue creazioni.
Chanel è convinta che venderà a caro prezzo le sue memorie, come pure i diritti di adattamento cinematografico, e ha già in mente a quale mercato rivolgersi.
Senza aspettare la fine della stesura, nel febbraio del 1948, vola a New York portando con sé la prima parte del manoscritto a titolo di saggio, ma contrariamente alle sue aspettative, ritorna a mani vuote. Agli editori il racconto è sembrato poco interessante ed è proprio lei la prima responsabile. Ha nascosto i fatti che preferiva dimenticare, togliendo al racconto la verità che avrebbe fatto presa sui lettori. La miseria delle sue origine, per contrasto, avrebbe reso più eclatanti i suoi trionfi e la sua poderosa ascesa e avrebbe conquistato il popolo americano che, da sempre, celebra l’energia individuale.
Gabrielle torna dagli Stati Uniti su tutte le furie e attribuisce a Louise la responsabilità del fiasco, rimproverandole di non aver saputo rendere attraenti suoi ricordi. Vedendo migliaia di dollari prendere il volo, la povera Louise, delusa e ferita, invia a Coco le ultime pagine che ha scritto, accompagnandole con una lettera ironica in cui si dice certa che potrà finire l’opera da sola, meglio di quanto avrebbe potuto fare lei stessa.
Ma Chanel non rinuncia alla sua idea di biografia e un anno e mezzo dopo, decide di rivolgersi a Michele Déon, un giovane giornalista che ha già scritto un romanzo, ed egli accetta. Per più di un anno, entrambi tentano di mettere a punto queste memorie, ma ancora una volta, Coco racconta la sua leggenda priva di verità e anche questa impresa è destinata a fallire. Ciò che a voce può sembrare verosimile, una volta trascritto su carta, suona falso, e quando Déon le consegna le sue trecento pagine, Gabrielle si ritrova nella stessa situazione già sperimentata con Louise.
Non osa esprimere la sua delusione, Michele Déon è un uomo a cui vuole bene, che stima. È lei stessa a confessare a uno dei suoi amici, Hervé Mille — che riferirà il messaggio allo scrittore — che in quelle pagine non c’è una sola frase che non sia sua, ma è consapevole che l’America non apprezzerà i suoi falsi ricordi.

Saranno forse i passaparola dei suoi amici più cari a fare uscire la verità? Potrebbe essere, ma di fatto, nel 1970, viene presentata a New York una commedia musicale dedicata alla vita della stilista, che porta il suo nome: Coco.
A interpretare il ruolo principale è Katherine Hepburn.
Dal punto di vista commerciale, la maison Chanel funziona alla perfezione, Gabrielle ha ottantasei anni e sembra essere in gran forma, ma il suo stato di salute vacilla. Ha bisogno dell’iniezione di un farmaco a base di morfina per dormire e le sue crisi di sonnambulismo peggiorano di giorno in giorno, ed è una paralisi alla mano, che durerà due mesi, a impedirle di assistere alla prima del suo spettacolo.
Coco cerca comunque di salvare le apparenze e negli ultimi tre anni di vita, chiede a Jacques Clemente, il truccatore della duchessa di Windsor, di raggiungerla al Ritz tutte le mattine. Il giovane ragazzo è terrorizzato al pensiero di accontentare la signora di Rue Cambon, tanto più che lei non dà alcuna indicazione su ciò che desidera, non dice nessuna parola, si limita a osservarlo. Ma lui sa bene di non poter fallire: abbellire una delle donne più notevoli del suo secolo è una grande opportunità. Jacques intuisce che deve addolcire quello sguardo e supera l’esame.
Contrariamente a quanto si possa immaginare, il passare del tempo non ha affievolito la verve feroce di Coco, che non disdegna di criticare le nuove mode, come quella della minigonna, sostenendo che i look da bambina agli uomini non piacciono. Sembra che nulla possa intimorirla, ma in realtà, è la solitudine la sua paura più grande.
La maggior parte dei suoi amici sono morti, non ha un marito, non ha figli, c’è solo il lavoro a tenerle compagnia.
Fortunatamente, è ancora circondata da persone che la aiutano e la ammirano, ma ogni sera, al crepuscolo, una crisi di angoscia la assale. Il peso della sua solitudine la porta a trattenersi al lavoro il più possibile, con grande disappunto delle sue dipendenti. Anche solo l’idea di cenare senza compagnia la atterrisce, continua a uscire la sera, cercando di non abbandonare le sue abitudini, ma preferisce ricevere a casa, dove Lilou, il suo braccio destro, organizza cene per lei.
Se non fosse che per la stessa paura di restare sola, trattiene i suoi ospiti fino a orari impossibili, e a poco a poco, anche gli ultimi amici rimasti scompaiono, sfiniti dai suoi interminabili monologhi.
La morte la sorprende, nella sua mansarda al Ritz, l’undici gennaio del 1971, una domenica: il giorno che ha sempre detestato perché la teneva lontana dal lavoro, la sua unica ragione di vita. Dopo una lunga passeggiata fino all’ippodromo di Longchamp, Coco viene colta da un malessere: intuisce subito che la fine vicina. Si mette a letto, mormorando: “è così che si muore.”
Una frase gloriosa che conclude la vita di una donna gloriosa.
Viene sepolta, secondo le sue volontà, nel cimitero di Losanna.

Libro finito.
Se da una parte le bugie di Coco mi consolano, facendomi sentire vicino a lei più di quanto potessi immaginare, la sua solitudine deve avermi contagiato.
Entro in cucina cercando qualcosa da mangiare: mi manca Cassandra.
Se fosse ancora qui, probabilmente ora starebbe cucinando e tra poco mi troverei di fronte a un buon piatto caldo.
Pazienza, stasera dovrò accontentarmi di una scatoletta di tonno a temperatura ambiente: buon appetito.

 

TRENTASETTESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova