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3 Giu

La lista

not for fashion victim enrica alessi

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H

o deciso che penserò al trasloco, soltanto dopo che questa festa sarà conclusa. Devo limitare lo stress e mettere in fila le priorità.
Le preoccupazioni dell’ultimo periodo hanno quasi rischiato di farmi finire sul programma di Real Time, ‘Sepolti in casa’, e non voglio essere io la causa del sabotaggio di un party a cui sto lavorando da tempo.
Sfrutterò queste tre settimane per occuparmi di tutti i dettagli e siccome dovrò avvalermi della collaborazione di Britney, sarà meglio chiarire alcuni punti entro domani. Mercoledì Minou sarà operata e seppure sia fiduciosa sulla riuscita dell’intervento, so che Cristina sarà emotivamente instabile: non possiamo permetterci di sbagliare. Devo agire domani stesso.
Ammetto che l’organizzazione di questo party mi sta spremendo come un limone, quel tiranno del tempo mi impone di sfruttare ogni singolo momento libero per migliorare il mio diorese. Ma saperne di più mi inorgoglisce, anche Jerôme rimarrà sbalordito.

È il dodici febbraio del 1947, la collezione sta per essere presentata. Gli abiti che la compongono sono il frutto del grande amore che Christian nutre per il suo mestiere, unito al bagaglio di gusto e di sapere di chi ha lavorato con lui, ed è convinto che abbia tutti i presupposti per piacere la clientela.
All’alba del gran giorno, la casa ha l’effervescenza di un pomeriggio inoltrato.
La minuscola boutique si è trasformata in un vero negozio, e alle dieci e trenta, con la sala gremita di persone, la sfilata ha inizio.
Dopo l’uscita di alcuni modelli, arrivano raffiche di applausi. Christian si tappa le orecchie, i primi ‘bravo’ gli fanno paura, se ciò che ancora deve sfilare dovesse deludere? Giungono bollettini stringati da parte dei suoi collaboratori, ma tutti gli confermano una vittoria annunciata. Christian resta chiuso nello spogliatoio, non riesce nemmeno a parlare.
Quando l’ultima modella termina il giro in passerella, Raymond lo raggiunge piangendo di gioia. Lo spinge nel salone insieme alla sua squadra e vengono coperti di applausi.
L’indomani, la stampa consacra lo stilista e ciò che ha creato: è nato un nuovo stile, lo stile Dior.
Così doveva andare: in fondo, quello stile altro non è che l’espressione spontanea e sincera della moda che Cristian sogna per la donna. La collezione incarna il desiderio di recuperare la sua funzione originaria: rendere belle le donne. La risposta a un’esigenza che già è nell’aria: dopo la guerra, ogni donna desidera indossare abiti donanti capaci di esprimere sensualità. Dior non vuole renderle soltanto più belle, ma anche più felici.
Il loro apprezzamento lo ricompenserà, ma allo stesso tempo, lo priverà di quella vita tranquilla che tanto ama.

Quando Christian lavorava da Piguet e da Lelong, dopo aver creato i suoi abiti, era libero di sparire, di prendersi un periodo di riposo. Ma ora è tutto cambiato: deve approfittare di quel debutto strepitoso, ma dopo gli applausi, tutto ricomincia daccapo e presto, giunge il momento di preparare la seconda collezione.
È in quel periodo che riceve una lettera dalla ditta Neiman Marcus, una catena di grande distribuzione degli Stati Uniti, che lo invita a Dallas per ritirare un Oscar.
Il solo pensiero di salire su una nave che lo condurrà dall’altro capo del mondo, lo terrorizza, ma l’idea di scoprire l’America lo tenta. I suoi più grossi clienti sono americani, le donne americane sono famose per la loro bellezza e vuole vederle nel loro habitat. Ma non sono l’amor proprio e la curiosità a convincerlo, a indurlo ad accettare è il pensiero che alla sua casa di moda sia attribuita la rinascita della moda francese.
In quella lettera non gli si chiede solo di rappresentare un mestiere, gli si chiede di rappresentare il suo paese. Di ricevere un premio che, per la prima volta, viene assegnato a un sarto francese, e dopo una sola collezione. Per Dior è un modo per consacrare la superiorità di Parigi.
Prima di partire, presenta la seconda collezione. Folle, esagerata, all’insegna della megalomania: esaspera il suo New Look. Per ogni abito ci sono decine di metri di stoffa. La donna che Dior immagina è la principessa di una favola, ricoperta di tessuti sontuosi, velluti e broccati pesanti, indossati con gioia da un cuore leggero.
La guerra è finita, il futuro annuncia giorni di felicità e il successo è vertiginoso.
Christian arriva a Dallas con un accompagnatore, André Janet, che ha vissuto a lungo negli Stati Uniti. Il suo compito è di assisterlo nel viaggio e durante il soggiorno. Lo informa che, assieme a lui, saranno premiati altri due personaggi: una celebre costumista di Hollywood, Irene, e un calzaturiere italiano, Salvatore Ferragamo.
La notizia lo rassicura, ma subito dopo aggiunge che per ricevere il premio dovrà salire su un podio e parlare davanti a tremila persone. Il suo inglese è pessimo, come riuscirà a tenere un discorso?
Eppure, quell’Oscar non è solo il riconoscimento dei buoni servizi resi alla moda, sembra quasi una medaglia al valore. Non può tirarsi indietro.
Il momento fatidico si avvicina. Gli altri due premiati sono già stati presentati, Dior è stato tenuto per ultimo e di certo, ciò non lo aiuta, ma mentre stanno consegnando la targa d’argento a Salvatore Ferragamo, a Christian viene un’idea: l’angoscia di colpo svanisce.
Realizza che gli si sta solo chiedendo di incarnare un personaggio, il sarto parigino in viaggio all’estero, di recitare una parte. Sembra una follia, ma recitare gli riesce bene e se può essere un escamotage per ingannare l’imbarazzo, perché non tentare?
A salire sul palco, quella sera, non è Christian, ma un personaggio di finzione: lo stilista francese Christian Dior che non conosce l’inglese ed è costretto a improvvisare un discorso in quella lingua.
Il suo discorso è un vero trionfo, ogni parola scuce risate e applausi frenetici. Dior scende dal podio sollevato e soddisfatto: non ha deluso il suo pubblico e ha trovato un modo divertente per sopravvivere senza sincopi alla sua tournée negli Stati Uniti.

La mia lezione di diorese finisce qui, ora sarà bene concentrarsi sulla lista degli invitati.
E stilarne una per una festa che non è la tua, può creare qualche difficoltà, specie se è a sorpresa.
L’idea di organizzare una cosa ristretta è stata mia, devo fare una selezione, ma quante persone sono state vicino a Cassandra nell’ultimo periodo?
Seppure il mio ego suggerisca soltanto la qui presente, qualcosa mi dice che dovrei sforzarmi e aggiungere qualche altro nome, perché una festa senza amici non è una festa.
E lì, seduta sul divano che ho ritrovato solo grazie a mia madre, prendo carta e penna e inizio a scrivere.
Scarabocchi, girasoli che sorridono, nuvolette, il mio nome in alto, all’angolo del foglio: più che un elenco sembra un disegno di un bambino delle elementari.
Possibile che non mi venga in mente nessuno?
Mi alzo dal divano in cerca di ispirazione, anche Max, che fino a un secondo fa sembrava dormisse, solleva la testa con un espressione traducibile in: ‘si va da qualche parte?” Gli sorrido, mi chino e lo accarezzo per tranquillizzarlo.
Forse anch’io dovrei rilassarmi.
Mi siedo vicino a lui assumendo la tipica posizione da meditazione: gambe incrociate, dorso delle mani sulle ginocchia, pollici e indici uniti, occhi chiusi, respiro profondo.
Vista da fuori, sembro una medium che, dopo essere entrata in trance, prende carta e penna e inizia a scrivere, guidata da una forza paranormale che le suggerisce ogni singola parola.
Io rimango vigile, ma lo spirito guida pare voglia aiutare anche me. Mi teletrasporto sul divano: lui detta, io scrivo.

Cassandra: la festeggiata.
Jerôme: lo special guest.
Enrico: l’amico stilista.
Giulio: il ragazzo dell’amico stilista.
Lorena, Nadia, Silvia: le compagne di yoga.
Barbara, Serena e Ginevra: le colleghe
Io e Britney: le organizzatrici.

Conto i nomi: sono dodici.
Su una limousine, mi sarei dovuta fermare a otto, direi che è perfetto.
Sto per chiudere la penna, quando mi sovviene di aver dimenticato un nome importantissimo. Enrica merita un invito.
Non sarà la scrittrice di punta della serata, ma Cassandra la adora e vorrebbe che ci fosse. Vedrò di accontentarla.
La sfera della penna saltella da un nome all’altro per fare il punto della situazione, ma la quinta voce dell’elenco mi procura un brivido. Dove li trovo i numeri delle tre invasate di yoga?
Non posso di certo chiederli a Cassandra, si insospettirebbe. Devo invitarle di persona e c’è solo un modo per riuscirci: fare una lezione con loro. Dannazione, io non so niente di yoga.
Meglio andare a dormire, ci penserò domani.

Il giorno seguente arrivo in clinica in orario, anche prima di Britney, la sua auto non c’è ancora.
Avrei voglia di aspettarla sulla porta e usare i cinque minuti non effettivamente lavorativi per esaurire le questioni catering e lista doni.
Temporeggio qualche secondo, faccio per entrare, quando sento una macchina arrivare. Mi volto: è una jeep scura, al volante c’è Thor, al suo fianco c’è Britney.
Mi hanno vista: non posso fuggire.
Seppure la mise di stamattina sia decorosa, non avevo preventivato un incontro con il dio del tuono. Potrei fingere di essere in ritardo, entrare e svignarmela, ma non vorrei sembrare scortese. Decido di aspettare.
È lui il primo a scendere dall’auto, Cristina lo segue a ruota, si prendono per mano e vengono verso di me. Alla luce del sole sono ancora più carini, stanno bene insieme. E ammetto che dopo aver metabolizzato la loro unione, anche i miei turbamenti ormonali sono scomparsi.
“Ciao Melissa.” esordisce lui.
“Ciao ragazzi.”
Li guardo entrambi, non vorrei che qualche residuo di infatuazione potesse tradirmi, ma Britney mi sorride: è ovvio che non rappresento una minaccia.
“Le cicogne sono a buon punto, vorrei che passassi a dare un’occhiata.”
“Io le ho viste: sono bellissime.” aggiunge lei schioccandogli un bacio.
Lo guardo con un espressione che potrebbe riassumersi in ‘ricordo male o ti avevo chiesto espressamente di non parlarle delle cicogne?’
Thor è impacciato e dal rossore che vedo sul suo viso, pare aver avuto le sue buone ragioni per tradire il segreto professionale.
“Potrei passare stasera dopo il lavoro, se per te va bene.”
“Ci sarò.” conferma annuendo.
Si congeda, raggiunge la sua auto e se ne va. Resto sola con Britney, le cedo il passo per entrare.
“Cristina, appena hai un secondo, passa dal mio ambulatorio, ci sono due cose di cui dobbiamo parlare.”
“Riguardo all’operazione di Minou?” chiede allarmata.
La fretta mi ha fatto dimenticare i modi.
“No, riguardo alla festa…” bisbiglio cercando di innescare complicità.
“Dammi un secondo.”
Il suo viso è già più rilassato.
Mi incammino verso l’ambulatorio, appendo il cappotto all’attaccapanni e mi siedo alla scrivania ad aspettarla.
Quando si siede di fronte a me, ha uno strano sorriso, l’aria sognante: pare che l’operazione di Minou non la preoccupi più, ma non credo che il merito sia mio e del mio volerla rendere partecipe.
“Cristina…” sussurro con garbo. “Ci sei?”
Scuote la testa, torna nella mia dimensione, mi guarda e dice:
“Certo che ci sono, di cosa volevi parlarmi?”
“La lista doni per la bambina, dove vogliamo farla?” chiedo impugnando la penna.
“Per la bambina?”
“Tutti porteranno un regalo a Cassandra, dobbiamo dare un’indicazione agli invitati.”
La convinzione con cui pronuncio quelle parole mi fa sembrare un’esperta di eventi, ma la faccia che ho di fronte è quella di chi ha appena sentito una stupidaggine.
“Non hai ancora letto il libro di Enrica, vero?” mi domanda con rimprovero.
“Non ho avuto molto tempo, ma è tra la lista degli invitati…”
“Vorrei ben sperare.” mormora. “Se avessi letto il suo libro, sapresti che i regali non spettano al bambino.”
“E da quando?”
“Sono le mamme a fare tutta la fatica: ingrassano, perdono la grazia dei movimenti e partoriscono, sono loro a meritare il regalo.”
Sto cominciando a pentirmi di non aver rimandato questa chiacchierata a mercoledì.
“Lo leggerò, okay? E comunque, visto che ne sai più di me, pensaci tu.”
“Perfetto, ho solo bisogno della lista degli invitati.”
“Ti faccio una fotocopia.” dico alzandomi per prendere la borsa, dove ora, al posto dell’autografo di Ridge, si trova un illustre pezzo di carta su cui ho trascritto tutti i nomi con ordine.
Glielo porgo, lei legge.
“Sono tredici!” esclama.
“E allora?”
“Lo sanno tutti che tredici a tavola porta male…”
“Io non lo sapevo.”
“Durante l’Ultima Cena, c’erano tredici partecipanti a tavola, non mi sembra che sia finita benissimo.”
“Sì, ma Gesù non è tra gli invitati, e poi avevo pensato a una cosa in piedi.”
La mia risposta non sembra soddisfarla.
“E cosa cucinerai?” chiede in tono provocatorio.
Cucinare? Chi ha parlato di cucinare?
“Abbiamo bisogno di un professionista che possa pensare al menu.”
E mentre faccio quella proposta con la convinzione che avrà da ridire anche su questo, la sua espressione cambia.
“Mel! È una bellissima idea.”
Non esageriamo: voglio solo evitare di avvelenare qualcuno con la mia cucina.
“Hai già qualcuno in mente?”
A parte mia madre, nessun altro.
“Perché io conosco un bravissimo chef che cucina a domicilio. Posso contattarlo se vuoi…” suggerisce.
“Okay.”
Nessuna resistenza, nessuna smorfia.
Se due mesi fa, qualcuno mi avesse detto che avrei lasciato a Britney queste grandi responsabilità, non ci avrei creduto: le vie della disperazione sono infinite.

E lì, alla fine della mia pausa pranzo, di fronte a una tazzina di caffè, realizzo che sono tante le cose che due mesi fa, non avrei immaginato. Per esempio?
Prenotare un volo per Jerôme su easyJet.
Fissare una lezione di prova nello stesso centro yoga che frequenta Cassandra.
Fare una telefonata informale a una scrittrice che, a quanto pare, tutti conoscono, tranne me.
Mentre cerco il suo numero in rubrica, la immagino: non è sola, a tenerle compagnia è la signora Saddle e vorrei strappargliela di dosso. Tre squilli, lei risponde:
“Pronto?”
“Enrica ciao, sono Melissa.”
“Melissa! Come stai?”
Dallo stupore con cui lo dice, deduco che non abbia salvato il mio numero.
Be’, io non ho letto il suo libro: uno pari, palla al centro.
“Sto bene e tu?”
“Sovreccitata per il redazionale, ma a parte le coronarie, sto benissimo. Cassandra?”
“Ti chiamavo proprio per questo. Sai, stiamo organizzando un party a sorpresa in occasione del suo addio al nubilato, e siccome vi siete conosciute da Grazia, pensavo che potresti essere dei nostri.”
“Che pensiero carino! Volentieri. Quando?”
“Sabato sedici marzo.”
“Direi di essere libera. Ora sto guidando, fammi controllare e ti confermo domani.”
“Certo.”
“Hai pensato a un dress code?”
Due mesi fa, anche una domanda come questa mi avrebbe messo in crisi, ma ora no.
“Jeans, t-shirt personalizzata che ti spedirò e coroncina.” rispondo fiera.
“Wow, un vero easy chic! Lo hai scelto tu?”
Vorrei poter dire di sì — anche se non è vero — e lo dirò. O mi toccherà confessare che l’idea è dell’ospite d’onore e non sarebbe carino.
“Tutta farina del mio sacco.” rispondo entusiasta per essere convincente.
“Mi piace! Ti faccio sapere entro domani.”
La chiamata si interrompe, il telefono torna sul tavolo, il mio sguardo si catapulta fuori dalla finestra.
Strabuzzo gli occhi: Cassandra.
Non viene mai da queste parti, che ci fa qui?

 

CINQUANTUNESINO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova