To top
13 Apr

La grande scommessa — e non è il film con Ryan Gosling 

 enrica alessi storie di ordinaria follia
L
a data della cena con la mia vecchia classe si avvicina, Marco non ci sarà, ma ha promesso di impegnarsi a scrivere una dichiarazione in cui chiarirà se era più di suo gusto la gelatina o la crème brûlée.
Si accettano scommesse.
Ma mercoledì, io, la Secca e la Bonny, la sua ex compagna di banco, decidiamo di avere bisogno di anticipazioni e di organizzare un aperitivo.
Dove ci vediamo?
Al Rigattiere, da Cristian.
A che ora?
18,30.
Okay. Posso farcela. Anzi, ci infilo pure una cena con Giaco ‘soli soletti o quasi’.
Chiedo a mio suocera di tenere le bimbe da lei a dormire, lei dice okay.
Perfetto. Organizzo la trasferta della prole, preparo i loro cambi d’abito e il resto necessario per la giornata successiva e porto tutto il pacchetto dalla nonna nel tardo pomeriggio.
Saluto le mie pupe, mi raccomando che facciano le brave, do un bacio alla suocera, ma mentre sto per risalire in auto, pregustando la serata con le amiche che proprio lei mi ha regalato, realizzo che domani è giovedì. E tutti i martedì e i giovedì, a scuola, vige la regola della merenda sana.
La merenda sana, fino all’anno scorso, era  un termine usato per descrivere un momento in cui, due mamme per classe si offrivano di consegnare la merenda ai bambini. Era fissata dalla scuola per ogni primo martedì del mese. Io le ho fatte tutte — insieme a Donna Rosa — e la merenda sana era composta da: succo di frutta in brick, tè solubile, focaccina e biscotto ricoperto al cioccolato.
Ma i concetti possono cambiare e assumere il loro vero significato e da quest’anno, ogni martedì e giovedì, i bambini mangeranno solo frutta e yogurt.
I trasgressori — se scoperti — saranno puniti saltando la merenda.
Ecco perché ora tornerò a casa a prendere le fragole che ho comprato stamattina.
Per tutto il tragitto in auto, che comprende l’andata e il ritorno, non ho smesso di pensare al mio bicchiere mezzo pieno: scriverò un bellissimo pezzo su questa serata. Un esempio pratico di sdoppiamento di personalità negli esseri femminili: il ruolo di mamma, il ruolo di donna.
Rifletto sul fatto che se avessi deciso di fregarmene di quell’altra — della mamma intendo — ora non starei tornando a casa a prendere le fragole. Sarei seduta a chiacchierare con le mie amiche. E invece, per dare il buon esempio e rispettare la regola della merenda sana, arriverò con mezz’ora di ritardo: che mi farò perdonare raccontando questa storia.
Consegno le fragole, raggiungo le ragazze. E lì, nel parcheggio di Piazza Grande, mi levo il mantello di mamma: sento le spalle più leggere.
Donna, dacci dentro.
Lo bisbiglio entrando, mi sfugge un sorriso. La Secca e la Bonny sono già sedute al tavolo. Al trentadue ‘scusate mi dispiace’, la smetto e mi concentro sulle chiacchiere. Cosa mi sono persa?
Mi fanno un breve riassunto.
Ci agganciamo al discorso della cena.
Al finale di stagione ‘Crème brûlée VS Gelatina: è più atteso del superbowl.
“Sono proprio curiosa di sapere cosa dirà Marco…” dice la Bonny.
“Guardate che sulla chat ha scritto chiaramente che era innamorato dell’Alice.” preciso io.
“Ma poi ha ritrattato con un vocale dicendo che avrebbe confessato la verità di persona.” interviene la Secca.
“Avevano consumato…”
“È una domanda o un’affermazione?”  chiedo alla Bonny basita.
“No, Enri, no… la mia era una domanda…”
“Sembravi così convinta…” ribatto. “Io sapevo che era successo dopo, non durante la scuola. Ma se non è così, allora…”
La mia enfasi tra il comico e il disperato suggerisce alla Bonny di ribadire il concetto per rassicurarmi: “Enri, era solo una domanda, calmati.”
“Allora mandiamo un vocale a Marco e chiediamogli di chiarire anche questo punto nell’arringa finale.”
“Giusto.” dicono all’unisono.
Finiamo la chiacchierata mezz’ora più tardi, quando la Secca ci avvisa che la lezione di judo dei suoi bimbi è finita e deve tornare a prenderli.
Giusto in tempo per elogiare i miei meravigliosi lettori e finire il racconto delle mie peripezie da Willie Coyote per firmare il contratto del libro.
La Bonny può restare ancora un po’.
La guardo, mi ricordo di quanto si impegnasse a scuola, era diligente, puntuale, attenta. Tutto ciò che io non ero. Ha sempre un aspetto interessante, un make-up delicato che valorizza i suoi tratti e l’eleganza che distingue ogni singolo movimento.
“E tu Bonny cosa fai?”
“Io lavoro con i miei… da sempre ormai.”
Non sembra soddisfatta. Vorrei chiederle di più, ma non la vedo da tanto tempo, non vorrei sembrare invadente.
Forse sono i miei occhi a suggerirle che se potesse aggiungere altro, la ascolterei volentieri.
“Vedi, mi piacerebbe fare qualcosa di diverso, ma il tempo non è tanto…”
“Le passioni si coltivano con gli anni, non è una gara a tempo, prima cominci meglio è.”
Il suo sguardo si accende. Mi fissa e ha l’espressione di chi sta confidando un segreto, una cosa intima che non le capita di raccontare a tutti.
“Sai, io amo le macchine d’epoca…”
“Bonny ma è stupendo! Quante donne della nostra età hanno questa passione? Io penso alle borse, chi alle scarpe, qualcuno è fissato con il design, ma le macchine d’epoca sono una chicca.”
“Ne ho comprata una.” sussurra.
“Davvero?” chiedo entusiasta.
In quel momento, ci immagino sulla  sua decappottabile come Thelma e Louise — mentre torniamo a prendere le fragole.
“Sì…  pensa a quanto sono pazza?”
“Sei troppo giusta invece.”
Batto le mani mentre lo dico.
“Domenica c’era il sole, era una bella giornata e avevo una voglia matta di farci un giro. Costringo mio marito a piantare in asso Netflix e a seguirmi per andare da lei. Apro il garage, in cui rimane parcheggiata per la maggior parte dell’anno, e il mio cuore ha un sussulto. Eccola: la mia Lancia Fulvia Coupè del ‘73. Rossa, grintosa, affascinante.”
È la stessa reazione che ho io, quando mi trovo di fronte ai pezzi vintage di Chanel.
“Salgo, mi metto al volante e sono già emozionata: si accenderà o no? Al terzo tentativo si accende, sapevo che non mi avrebbe deluso. Partiamo senza avere una meta, solo per il gusto di guidarla.”
Noto con piacere che non mi sbagliavo: dietro la sua facciata calma e tranquilla, si nasconde qualcosa di più: è spirito di avventura e potrei paragonarlo a quello di Amanda Earhart, anche se lei preferiva gli aerei.
“Abbasso i finestrini e mi lascio coccolare dalla piacevole sensazione di una giornata di inizio primavera, dal vento che mi accarezza i capelli.” dice soddisfatta. “Il rombo sportivo del motore, l’odore di benzina che entra nell’abitacolo e la paresi di un sorriso a cui non voglio rinunciare… fino a quando, al primo incrocio, si affianca un ciclista che mi segnala che gli stop non funzionano: poesia finita.”
“Come fanno i ciclisti a essere tanto insensibili?” le chiedo divertita.
Ci mettiamo a ridere.
“La mia gita è durata poco più di venti minuti, ma quando ho chiuso il garage, avevo il cuore pieno di felicità. Alla fine mi basta poco, non ho molte pretese: sono un po’ come la mia Fulvia.”
“Sai che dovresti scrivere le cose che hai detto. Sembrava di viverle.”
Lei sorride, mi guarda con aria complice e dice: “ci penserò.”
Ci salutiamo. Promettiamo di vederci prima di Pasqua e di trovare un localino chiccoso per la Secca.
La vedo incamminarsi verso l’auto, torno dentro: Giaco mi aspetta per la nostra cenetta ‘soli soletti o quasi’.
Illustrazione: Valeria Terranova