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24 Dic

La cicatrice

not for fashion victim

not for fashion victim enrica alessi

 

 

 

E

dire che mai avrei immaginato di affrontare Mila. Più ci penso e più mi convinco che io stessa non smetterò mai di stupire me stessa. Contro ogni previsione, sono andata dritta al punto senza esitare: volevo che sapesse che idea mi sono fatta di lei, di suo figlio e di questa situazione assurda.
Il telefono è sul mio comodino, lo afferro con foga e cerco in rubrica il nome della donna che ha travolto la mia serenità. Lo trovo e mentre premo il pulsante verde che inoltrerà la chiamata, mi chiedo perché abbia aspettato tanto a decidermi. Ma poco importa ormai: Mila ha già risposto.
“Ciao Melissa, che piacere…”
È la stessa frase che mi propina tutte le volte che ci sentiamo: per una donna che lavora nel mondo della moda, non è il massimo della fantasia. Il suo tono, così pacato e tranquillo, mi accelera il battito; le guance avvampano.
Ci metto un paio di secondi per mettere in fila i pensieri che, impazienti, battono sulle mie tempie con la stessa irruenza di una folla che si precipita sul maniglione antipanico di un’uscita di sicurezza, cercando una via di fuga.
“Vorrei poter dire lo stesso, ma la mia non è una telefonata di piacere.”
Resta in silenzio, ma non mi intimorisce, al contrario, è la condizione necessaria per non essere interrotta.
“Ho chiamato per chiederLe quale fosse la ragione che L’ha spinta a parlarmi della ex di Suo figlio…”
Che bisogno c’era? Eh? Avevo già abbastanza pensieri, ora mi tocca pure fare gli straordinari. Insomma, si può sapere chi è questa? Che faccia ha? Come porta i capelli? Se avesse almeno aggiunto il cognome, avrei potuto aprire le indagini su Facebook con il profilo di Cristina — come da lei suggerito — e invece niente. Solo il nome, uno stupido nome che ora mi dà il tormento. E se questa Roberta fa parte di un passato superato, perché non mi ha lasciato nella mia beata ignoranza?
Ogni volta che mi infervoro — anche solo mentalmente — la sensazione eccitante e liberatoria che provo è l’equivalente di un orgasmo, e seppure il piacere non sia proprio lo stesso, mi sento appagata e soddisfatta.
“Se l’intenzione era di farmi sapere che ora sono la Sua preferita, La ringrazio, ma stavo meglio prima…”
“In che senso?” mormora.
Le emozioni si strozzano in gola, mi sembra quasi di trattenere il respiro: non vorrà farmi credere che non sa niente?
“Luca non Le ha detto nulla?”
“Scusa cara, ma a proposito di cosa?”
A proposito di cosa? A proposito di cosa?
Ripeterlo di nuovo non cambierà lo stato delle cose: lei non sa niente della pausa di riflessione che io e suo figlio ci siamo presi, e non sa nemmeno di essere stata la causa involontaria.
“C’è stato uno stupido fraintendimento: Lei mi ha messo a conoscenza di una relazione di cui ero all’oscuro e Luca ha interpretato il mio desiderio di avere spiegazioni come un terzo grado. Ma vorrei precisare che qui non siamo a Vancouver e che nella mia storia non ci sono né Christian Grey, tantomeno Anastasia Steele e io non ho intenzione di fare la parte della sottomessa.
La voce trema, ansima, il cuore sta letteralmente per uscirmi dal petto: più che un orgasmo, ho paura che sia un infarto. Ma sono sul più bello, non posso fermarmi.
“Suo figlio potrà anche aver avuto una relazione precedente — quale trentenne al giorno d’oggi non ha avuto una relazione precedente? — ma se la stessa relazione torna a farsi viva come se nulla fosse, uno straccio di spiegazione credo di meritarla, e invece, Luca ha preferito tornarsene a Milano, piuttosto che chiarire.”
“Sono basita…” sussurra.
E io allora? Che dovrei dire?
“Senta: fingiamo per un momento che Lei mi piaccia… sì, cioè… in fondo è così, anche se sto ancora studiando le Sue zone d’ombra… ma so per certo che nessuna donna conosce Luca meglio di Lei, e so anche che è l’unica del pianeta ad avere a cuore la sua felicità almeno quanto me, quindi, se suo figlio ha avuto un passato burrascoso alla Christian Grey, io posso accettarlo, anzi voglio accettarlo, ma mi dica come agire per non peggiorare le cose. La prego…”
La mia fiducia nel prossimo è una costante, chiunque considererebbe una potenziale suocera come un nemico, ma io no. Non credo che la sua confidenza avesse lo scopo di troncare la nostra relazione e questo è il momento di metterla alla prova: se davvero le piaccio come dice, mi aiuterà.
Peccato che il sogno si sia interrotto prima che Sua Maestà direttrice di Grazia potesse rispondermi, prima che potesse fornirmi le indicazioni necessarie per riprendermi l’uomo di cui sono follemente innamorata e prima di annegare nel mio sudore. Sono punto e a capo.
Certo che una chiamata di cortesia, giusto per informarmi della foto di Cassandra, avrebbe potuto farla, eppure qualcosa mi dice che non sia stato per mancanza di garbo, forse c’è dell’altro, forse è lei che ha paura di affrontarmi. Potrei starmene qui per ore a pensare, ma il tempo a disposizione è finito: devo correre al lavoro.

Mancano solo tre giorni alla festa e siamo tutti in fibrillazione. Ed è normale visto il piccolo intoppo che si è creato: il menù è saltato e Britney sostiene che sia solo colpa mia. Massimo il Misericordioso ha chiesto a sua cugina di essere sollevato dall’incarico di chef.
“Era solo un invito a cena, avresti anche potuto accettare.”
“Ma se ha sorriso quando gli ho detto che ero impegnata…”
“Cosa ti aspettavi? Che ti implorasse in ginocchio piangendo?”
A quanto pare non l’ha presa benissimo e seppure mi dispiaccia, il vero dramma è stato sostituirlo in cucina. Con così poco preavviso, l’unica alternativa gratuita che si è resa disponibile è un improbabile duo gastronomico, formato da mia madre e dalla sua amica Amelia, che hanno accettato solo a condizione di replicare fedelmente il menù ipercalorico proposto all’inizio da Cristina — torta Barozzi compresa — perché dà più soddisfazione, così hanno detto.
A Jerôme farò una sorpresa: non permetterò a un menù di rovinarmi il party. E poi sembra un tipo spiritoso: la prenderà bene — lavanda gastrica a parte.
Ma mia madre non si è limitata a dare un contributo esclusivamente culinario, dopo aver saputo di Cassandra e della necessità di cambiare l’allestimento della festa, ha insistito per presentarmi la sua amica Letizia, una professionista specializzata in catering “su misura”.
La cosa, detta così, potrebbe sembrare fantastica, ma Letizia lavora a scatola chiusa. Non vuole tarpare le ali al suo spirito creativo e ogni particolare sarà a sua completa discrezione: prendere o lasciare.
Ho accettato quando ha detto che lo avrebbe fatto gratis. Dopo un sopralluogo — a cui ho voluto che fosse presente anche Cristina per non prendermi tutta la responsabilità — se n’è andata dicendo: “Ci penso io.”
È giusto: bisogna avere fiducia nel prossimo.
E a quanto pare, anche Britney ha sposato il mio concetto di vita. Un suo caro amico — così lo ha definito — le ha promesso che realizzerà due locandine giganti della foto del redazionale in uscita domani. Non so come ci riuscirà, i tempi sono strettissimi, ma Cristina ha ribadito che le deve un favore, che possiamo fidarci. Era così convinta che ho preferito non fare domande sul perché glielo dovesse, meglio non saperlo, ma se questo poteva già assomigliare a un miracolo, l’intervento inaspettato di Thor, riguardo all’allestimento, ha radicalmente cambiato la mia idea su tutto ciò che supera i limiti della normale prevedibilità.
Durante il sopralluogo, in cui Letizia e Cristina discutono a lungo, io sono impegnata con il Dio del tuono che mi mostra degli strani oggetti di legno simili a zoccoli olandesi. Gli spiego con garbo che non sono il genere di Cassandra, ma lui precisa che non si tratta di zoccoli olandesi, ma di preziosi attrezzi del mestiere appartenuti a un importante calzaturiere italiano. Mi pare lo abbia chiamato Salvatore Ferragamo. O era Pasquale? Comunque, Thor mette quei cosi di legno all’interno di una teca di plexiglas, li posiziona sui tre piedistalli e inizia a parlare.
“Lui è stato il calzolaio delle stelle. A Firenze c’è addirittura un Museo che espone le sue creazioni: quindicimila modelli che riassumono la sua avventura imprenditoriale. E queste sono alcune delle forme con cui ha creato le scarpe per le star di Hollywood. I nomi che vedi scritti qui sopra, sono delle attrici che le hanno commissionate.”
E lì, mentre lo ascolto raccontare quella storia con tanta passione, non posso fare a meno di chiedermi due cose. La prima: a chi ha rubato gli zoccoli? Agli attori o al museo? La seconda: come può essere che il mago dell’intaglio, un uomo con la U maiuscola, sia così ferrato sulle scarpe? Forse anche lui ha qualcosa da nascondere.
“Sembri preoccupata…” mormora.
Le mie perplessità devono essersi materializzate sul mio viso.
“No, be’ ecco, mi domandavo semplicemente… come fai ad avere quelle formine?”
“Ferragamo era amico di mio nonno, si sono conosciuti dopo la guerra.”
“Alla Falegnameria?” chiedo eccitata.
Thor mi guarda seccato, con l’aria di chi sta perdendo tempo a fornire informazioni a qualcuno che non ha la sensibilità di coglierle. E un po’ ha ragione.
“Mio nonno era di Firenze, aveva il suo laboratorio vicino a Palazzo Vecchio, era uno degli intagliatori più abili della città…”
Ora verrà fuori che era anche il vero Mastro Geppetto.
“Ferragamo, che studiò anatomia all’università di Los Angeles, aveva scoperto che tutto il peso del corpo poggia in un unico punto, collocato sotto l’arco del piede, ed era l’unico calzaturiere al mondo che riuscisse a comprendere i bisogni dei suoi clienti, adattando la scarpa di conseguenza.”
Se Dior fosse andato a scuola da Pasquale, ora quelle J’Adior in pelle di vitello verniciata non sarebbero in castigo in una scatola.
“In base alla misura e alla conformazione del piede esistono varie forme di legno con diversa sagomatura e Ferragamo si serviva solo di quelle realizzate da mio nonno: era il migliore. Queste tre sono state un suo regalo di Natale di tanto tempo fa.”
È una storia che profuma di favola e anche se non so chi siano queste Ava, Bette e Rita per cui Pasquale ha disegnato le scarpe, sono certa che Cassandra apprezzerà.
E mentre guardo commossa quella teca che è già qui da ieri, il campanello suona: deve essere il dottore.
Raggiungo la porta, ma prima di aprirla non riesco a togliermi dalla testa la sua versione di Elvis. E se si presentasse vestito così? Cerco di trattenere una risata, ma fortunatamente me lo trovo di fronte alla vecchia maniera: cappotto blu dal taglio elegante, completo in giacca scuro, camicia bianca e cravatta.
“Venga, le apro.”
Il dottore chiude il cancello alle sue spalle e percorre il vialetto trotterellando: sarà la gioia del secondo matrimonio o la felicità di rivedere Lolita? Forse tutte e due.
Mi volto verso di lei, la chiamo e dico:
“Il papà non ti ha abbandonato — come poteva sembrare — è qui ed è venuto a prenderti!”
L’ironia con cui cerco di sdrammatizzare la sua assenza, più che rallegrarmi mi fa l’effetto contrario. Realizzo solo adesso che la famigliola canina che ho accudito finora sta per dividersi e non credo di essere pronta ad affrontarlo. Avrei voglia di lasciare il dottore fuori di casa, di tenere i cani in ostaggio, ma so cosa si prova e poi è già entrato.
“Tesoro mio! Come stai?” esordisce buttandosi in ginocchio sul pavimento per coccolare Lolita.
“E Lei Melissa, come sta?”
“Ora sto bene, grazie.”
Il dottore torna in posizione eretta, con una mano continua ad accarezzare il suo tesoro, con l’altra si aggiusta gli occhiali sul naso e mi guarda con una strana espressione.
“Ora? E prima? Cosa è successo durante la mia assenza?” chiede preoccupato.
Dannazione, quello stupido avverbio di tempo lascia intuire che il mio passato recente ne abbia viste di cotte e di crude e in effetti è così, ma nonostante apprezzi il suo interessamento, non ho alcuna intenzione di raccontargli i fatti miei.
Dopo dieci minuti, un caffè e una tisana al finocchio, il dottore viene messo a conoscenza di tutti i dettagli — compresa la bugia che ho detto a Cassandra riguardo al finto riavvicinamento tra me e Luca.
“Quando mi ha detto che era successo un disastro, non volevo crederle, ma Lei mi ha fatto cambiare idea…”
Non sono proprio le parole che userei per sollevare il morale a qualcuno, ma se non altro ho la sua comprensione.
“A ogni modo, sono convinto che tutto si aggiusterà.”
Questa è la classica frase che ti dice chi è lontano anni luce dal problema: lui si è appena risposato, cosa può saperne?
“Gli uomini spesso agiscono in maniera incomprensibile, forse per allinearsi all’universo femminile, può darmi torto? Ne conosce più enigmatico?”
“Onestamente no.”
“Ma mi creda, anche noi, come voi, abbiamo sempre una buona ragione, non amiamo far soffrire le donne, come a volte vi piace pensare.”
“Eppure…”
“Eppure lei sta soffrendo.”
È così evidente? Mi chiedo mentre sento le lacrime arrampicarsi su per la gola.
“So che ora mi dirà di chiamarlo e di chiarire la mia posizione, però ho paura, ho paura di dire cose che penso e ho paura che lui non voglia starle a sentire. So che c’è un pulsante per aprire un passaggio segreto, ma non so dove sia nascosto. E poi non posso ignorare il mio sesto senso: continua a ripetermi di avere pazienza, di aspettare, di lasciargli il tempo di pensare, ma ci sono ferite dell’anima che non guariscono mai…”
“Lei è un medico, non dovrebbe dire certe cose.”
È come se a rimproverarmi fosse Ippocrate in persona.
“Lei non crede?” chiedo in tono provocatorio, quasi a volerlo spronare di prescrivermi una cura.
“No, non credo: le ferite che non guariscono sono quelle che rimangono aperte, ma si possono medicare e cucire. Resterà una cicatrice, questo è certo, ti ricorderà sempre cosa è successo, ma una volta chiusa, non ti farà più male.”
Non so se a sorprendermi di più sia questa piacevole filosofia che riesce pure a strapparmi un sorriso o se il tono paterno e affettuoso con cui il dottore ha espresso il concetto, dandomi del tu.
“Quel ragazzo è innamorato di te… l’ho visto con i miei occhi e difficilmente si sbagliano.” conclude soddisfatto.
Per un momento, vorrei fingere di non notare i suoi occhiali a fondo di bottiglia, in fondo le sensazioni si percepiscono soprattutto con il cuore, e forse ho bisogno di credergli.

SETTANTUNESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova