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20 Mar

Cowboy si nasce o si diventa?

enrica alessi not for fashion victim

 

not for fashion victim enrica alessi

C

assandra è ancora sotto i riflettori.
La ragazza che ha realizzato il suo make-up non si allontana dal set e, di tanto in tanto, la raggiunge per sistemarle i capelli, per ravvivarle il rossetto che il flash della macchina fotografica sembra esaurire scatto dopo scatto.
Sonia la incita, le mostra le pose in cui vorrebbe immortalarla, e Cassandra sembra essere così in confidenza con questo mondo, che quasi stento a credere che sia la sua prima volta. Continua a cercare il mio sguardo, la mia approvazione, ma devo fare pipì.
E mentre cerco di capire dove sia una toilette, arriva qualcuno che indubbiamente sa dove si trova: la scrittrice.
Anche Cassandra si accorge di lei e il suo sorriso diventa ancora più radioso.
Questo è il momento migliore per allontanarsi, potrei addirittura concedermi qualche minuto extra per rispondere a Jerôme, ma mi sento invasa da uno strano sentimento. È lo stesso che ho provato quando Britney è entrata a far parte della nostra vita, e anche se odio ammetterlo, si chiama gelosia.
Sì insomma, sono sempre stata io l’amica geniale di Cassandra. Sono io che sto cercando di organizzarle una festa a sorpresa. Sono io che dovrò trovare un falegname capace di intagliare due cicogne e sono ancora io che, come una stalker, continuo a perseguitare Jerôme perché sia presente come ospite d’onore.
Questa? Spunta fuori dal nulla e la fa sorridere più di me? Non mi importa un bel niente se ha la borsa più bella del mondo — e neanche se fa lo stesso mestiere di Elena Greco, L’amica geniale originale, quella del libro della Ferrante — io sono arrivata per prima, io ci sono sempre stata e non mi farò mettere in un angolo come Baby di Dirty Dancing.
E mentre penso a Patrick Swayze che canta ‘The time of my life’, pregustando il momento in cui riuscirò a fare pipì, Enrica mi rivolge la parola.
“Come sta andando?”
Lo chiede in tono amorevole, senza smettere di osservarla, sembra felice per lei.
“Bene… nessuno direbbe che è la sua prima volta.” dico con trasporto.
Al diavolo la gelosia: devo sapere dov’è il bagno.
“Posso farti una domanda?”
“So cosa vuoi chiedermi…”
Davvero? È così evidente che mi scappa?
“Vuoi sapere com’è nato il romanzo, vero?”
No. Voglio sapere dov’è la toilette o ci ritroveremo sulla riva di un fiume. Ma detta così sembrerebbe poco elegante, oltre che scortese. Non posso fare altro che annuire e accompagnare questo finto interesse a un’espressione incuriosita.
“Era la fine di ottobre di un paio di anni fa, avevo trascorso un weekend con le mie amiche, quelle di cui parlo nel mio libro…”
Come se lo conoscessi.
“E non avevo nulla di pronto da pubblicare il lunedì. Pensavo a qualcosa che avessi già scritto che potesse prestarsi, e uno dei miei pezzi preferiti era quello con cui avevo recensito un profumo: era un racconto piccante, raccontava di un tradimento…”
E perché mai è diventato un romanzo?
La domanda retorica mi si legga in faccia, Enrica continua imperterrita.
“Non avevo immaginato un seguito, ma le lettrici mi chiesero come continuava e da lì l’idea di farne un romanzo.” conclude soddisfatta.
Non credo che alla luce di queste nuove informazioni, la mia vita cambierà, ma posso andare in bagno: è già qualcosa.
“Fantastico…” mormoro. “Scusa, sai dov’è la toilette?”
“Oh! Certo, in fondo al corridoio, sulla destra.”
Durante il tragitto, non posso fare a meno di rimproverarmi. Ho trent’anni: queste crisi di gelosia sono infantili, quando mi deciderò a crescere?
Mi pongo lo stesso interrogativo, dopo aver fatto pipì, mentre mi sciacquo le mani guardandomi allo specchio, e riflettendoci credo proprio che dovrei smetterla.
Io e Cassandra ci conosciamo da una vita, abbiamo vissuto insieme per tanto tempo, io sono stata la sua spalla su cui piangere e lei è stata la mia. La maggior parte delle persone può solo sognarsela un’amicizia sincera come la nostra e nessuno potrà mai separarci. E per nessuno intendo nessuno. Ecco perché ora la smetterò con questo atteggiamento immaturo e farò tutto ciò che è in mio potere per non rovinare questa giornata che entrerà a far parte della nostra storia.
Ignorerò quel desiderio morboso di correre sul set a controllare cosa stanno facendo quelle due, e mi prenderò cinque minuti per rispondere a Jerôme.
Okay, sto tentando di convincermi, ma nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile: la mia vita ruota tutta intorno a Cassandra.
La borsa sta appesa alla mia spalla, la apro e prendo il telefono. Clicco sull’icona di Instagram, cerco Jerôme.
Arrossisco al pensiero che chatto solo con lui. Non ci sono altri nomi sulla lista, a parte il suo. Rileggo con attenzione l’ultimo messaggio e scrivo.
“Caro Jerôme, sono davvero dispiaciuta del tuo incidente.”
Eviterei di raccontargli del sogno, di me che lo guardo sognante mentre le mie labbra fumanti pronunciano: “I just wanna say hello…”
“Spero che tu possa rimetterti presto. Trovo che l’idea delle cicogne sia fantastica, mi sto già muovendo per trovarle. Oggi Cassandra è con me da Grazia, le hanno dedicato una pagina sul magazine come mamma modello. Non vedo l’ora di mandartene una copia.
Ti scrivo in settimana per sapere come stai.
A presto
Melissa.”

Quando torno sul set, è tutto finito.
Sonia sta smontando le lampade, Enrica e Cassandra stanno chiacchierando. Mi avvicino con aria sicura: so quanto valgo.
“Melissa! È stato fantastico!”
Specie se la mia migliore amica mi abbraccia.
“Ti sei divertita?”
“Moltissimo.”
Ma il suo entusiasmo si frantuma un secondo più tardi, quando la modella mancata chiede a Cassandra di renderle la mise dello shooting. Nei suoi occhi rivedo quelli di Cenerentola.
Cassandra si allontana, io resto sola con la scrittrice. Mi guardo attorno, non so cosa dire.
“Melissa…”
“Sì.” dico voltandomi verso di lei.
“Tieni, questo è il mio libro, ti ho scritto una dedica.”
Sono sorpresa dal suo gesto: mi sta porgendo quella che Cassandra ha definito una Bibbia e mi ha pure scritto una dedica. Dovrei concederle una possibilità? Si può fare.
“Grazie. Sarò felice di leggerlo.”

La gita turistica si conclude solo dopo la svestizione di Cassandra. Dopo esserci scambiate i numeri di telefono e aver salutato Mila. E ufficialmente dopo due ore di viaggio: quando Cassandra parcheggia la macchina davanti a casa sua. Scendo e guardo la mia parcheggiata poco più in là: sembra un’autobomba.
Sono sfinita, Ho solo voglia di correre tra le zampe di Max e le braccia di Luca — in quest’ordine necessario.
Mi assicuro che Cassandra entri in casa, le mando un bacio e salgo in macchina.
Non ho ancora messo in moto, quando suona il telefono: è il mio amore.
“Pronto.”
“Buonasera principessa.”
“Buonasera topino di campagna.”
Il mio tono timidamente sexy fa sorridere anche lui.
“Io e Max ci siamo presi la libertà di prepararti la cena.”
“Sei andato da Max?” chiedo sorpresa.
“Mi ha chiamato, diceva di sentirsi solo…”
Sta parlando di sé o di Max?
“Tanto solo?” azzardo.
“Sei mancata tanto anche lui.”
Sto per sbandare.
“Sarò a casa tra otto minuti.”
Otto minuti. Otto minuti che spenderò per convincermi che forse Cassandra ha ragione, credo che sia lecito sapere come il figlio della direttrice di Grazia sia finito qui, nelle campagne della mia città.
So che vive qui da quasi quattro anni, che ha ereditato la fattoria da una zia a cui era molto affezionato. Forse non ha voluto seguire le orme di sua madre, è comprensibile: lui è un cowboy. Ma come ci è diventato? Devo scoprirlo.
Sono arrivata, mi allontano dall’auto e raggiungo l’ingresso. Mi piace vedere le luci accese, la sigla di un programma televisivo che si infila sotto la porta insieme a un certo profumino: essere a casa è una delle cose più belle del mondo.
Max sente le chiavi girare nella serratura, abbaia. Entro e lo abbraccio.
“Birbone! Sei stato bravo?”
“Bravissimo.” interviene Luca che viene verso di me. “Com’è andata?”
Mi bacia e vorrei fingere di non aver sentito la domanda.
“Ci siamo divertite, è stata una bellissima giornata, tua madre è stata molto carina, e Cassandra ha conosciuto la sua scrittrice preferita. Ma mi sei mancato.”
dico tuffandomi tra le sue braccia.
Mi prende per mano, mi porta in cucina.
Ha preparato degli spiedini di carne, un’insalata mista e le sue patate al forno inimitabili.
Verso la pappa nella ciotola di Max e mi metto ai fornelli con lui.
“E a te com’è andata oggi?”
Scruto il suo viso mentre glielo chiedo.
“Bene, sono arrivati due nuovi cavalli, sono bellissimi.”
“Vuoi che passi a dare loro un’occhiata?”
“Te li presento volentieri.” dice sorridendo mentre controlla la cottura della carne.
Potrei chiedergli come sono, che aspetto hanno, come si chiamano, ma queste informazioni non mi diranno niente del suo passato. Forse dovrei essere sincera e diretta: è il mio ragazzo, ma qual è la domanda giusta per arrivare dritta al sodo?
“Mi sembri pensierosa…” mormora.
“In effetti è così: mi stavo chiedendo… sì ecco, mi stavo chiedendo…”
La domanda giusta. Sincera. Diretta.
“Come sei finito qui? In questa piccola città intendo…”
“Ho sempre amato questo posto, ci venivo da bambino, ci trascorrevo le mie estati cacciando le lucertole… non vorrei vivere altrove.” dice sorridendo.
La sua risposta dovrebbe rallegrarmi, ma non chiarirà i miei dubbi, devo essere più precisa.
“Sei sempre stato un cowboy?”
Sorride mentre glielo chiedo, si volta, mi guarda. Ha l’espressione di chi si aspettava una domanda come questa, ma non sembra a disagio, al contrario, pare ben disposto a rispondere, e credo anche che il mio interesse giustificato lo abbia piacevolmente colpito.
“Sediamoci a tavola, ho una storia da raccontarti.”
Non me lo faccio ripetere due volte: lo assecondo, mi siedo. Lui spegne il forno, impiatta la patate e mi serve la carne.
E dopo aver preso posto vicino a me, inizia a parlare.
“Non sono sempre stato un cowboy, sono laureato in economia e commercio.”
Sapevo che era laureato, ma ero convinta che avesse scelto una facoltà inerente al suo lavoro: chiaramente mi sbagliavo.
“Amo la finanza, o meglio, ho imparato ad amarla, mio padre desiderava che seguissi le sue orme, ma le cose sono andate in modo diverso.”
Ora è tutto chiaro, è la solita vecchia storia: le orme dei genitori. Non quelle della madre, ma quelle del padre.
Sono pronta a scommettere che desiderava che il figlio diventasse un bravo commercialista o qualcosa del genere, ma è evidente che il suo spirito è decisamente più selvaggio.
“Ti ascolto.” dico accarezzandogli la mano. Luca lascia le posate sul bordo del piatto, fa un bel respiro e dice:
“Era l’estate del 2012, mi ero appena laureato. Vivevo a Milano con mio madre, mio padre, invece, si era trasferito a New York…”
Cerco di fingermi meno sorpresa di quanto sia in realtà: penso ai miei genitori e non riesco a immaginarli vivere in due continenti diversi, a ore di volo di distanza. Ma i suoi sono diversi, sua madre è un’importante direttrice e mi pare ovvio che anche suo padre sia un commercialista piuttosto quotato: se si era addirittura trasferito a New York.
“All’epoca era l’amministratore delegato di Estée Lauder…”
Ma non era un commercialista?
“Una delle più grandi aziende nel mercato dei cosmetici…”
Lo ringrazio per l’appunto, ma la conosco pure io che sono una frana.
“Il consiglio di amministrazione di BlackRock, il colosso finanziario americano, aveva eletto mio padre come nuovo consigliere e presto la notizia avrebbe fatto il giro del mondo.”
Resto a sentirlo, fingendomi abituata a un certo tipo di discorsi, ma la verità è che l’unico uomo che ho sentito parlare di affari a quel modo, era Michael Douglas, quando interpretava Gordon Gekko in Wall Street.
“In uno dei momenti più difficili per le finanze del nostro Paese, BlackRock, il fondo investimenti più importante del mondo, con 3.700 miliardi di dollari di patrimonio in gestione, aveva scelto un italiano per la sua stanza dei bottoni.”
Forza Melissa, di’ qualcosa di intelligente.
No. Niente. Meglio capire come va a finire.
“Per darti un’idea della potenza di Blackrock, se il suo leggendario capo, Larry Fink, uno degli uomini più potenti al mondo, decidesse di investire tutti i suoi fondi in gestione nei debiti sovrani italiano e spagnolo, potrebbe rilevarli entrambi per intero, risolvere la crisi europea e gli avanzerebbe ancora un terzo delle sue risorse.”
Ho capito: lui potrebbe comprare la borsa di Dior con la stessa tranquillità con cui io vado al bar a prendere un caffè.
“Mio padre era a New York da appena tre anni, ma sarebbe diventato l’artefice di una trasformazione aziendale da manuale. È stato il primo manager esterno a prendere in mano Estée Lauder, il gigante dei cosmetici quotato in borsa, gestito fino ad allora direttamente dall’omonima famiglia.
Nel momento in cui la crisi rischiava di mettere in ginocchio il settore del lusso, i Lauder, che restano comunque coinvolti nel consiglio di amministrazione, decidono di affidarsi a un manager esterno per privilegiare l’aspetto internazionale, piuttosto che quello domestico, e di accettare una piccola rivoluzione interna in nome del rilancio di una famiglia di prodotti che rischiava di non tenere il passo con i tempi.”
È così ferrato, così chiaro nelle spiegazioni, che non fatico a seguire il filo del discorso, anzi, mi sto appassionando.
“Mio padre veniva dalla Procter and Gamble, di cui era il presidente della divisione snack a livello globale. Dalle patatine alle linee di cosmetici, il passo non è così lontano: le tecniche di marketing restano e funzionano, e decide di potenziare la presenza in Cina, di cambiare l’approccio, introducendo cambiamenti consensuali per portare risultati concreti.”
“Ci è riuscito?” chiedo curiosa.
“Con la direzione di mio padre, Estée Lauder è cresciuta tre volte più velocemente della media del settore cosmesi/bellezza, ha aumentato le vendite internazionali a un tasso a due cifre, ha tagliato spese per oltre cinquecento milioni di dollari, ha quasi raddoppiato i margini in 24 mesi.
Nella piu’ recente classifica delle aziende con migliore performance in America, Estée Lauder ha aumentato il valore di mercato del 247%; per fare un confronto, Apple Computer, una delle migliori performers di tutti i tempi, ha aumentato il suo valore del 310%.”
“Sì, ci è riuscito.” concludo soddisfatta. “Ma tu? Cosa c’entri in questa storia?”
“Mi chiese di trasferirmi, di affiancarlo in questa avventura mirabolante, ma non ero pronto, amo l’Italia e mai per un attimo ho pensato di lasciarla.”
Dunque è un patriota. Ma fatico ancora a comprendere come un laureato in economia e commercio con simili opportunità, abbia preferito una fattoria con dieci mucche e cinque cavalli.
“E quella laurea?”
“Spesso prendiamo decisioni per compiacere i nostri genitori, ma non pensiamo ai nostri veri interessi, alle nostre passioni: mi conosco, non sono tagliato per queste cose…”
Da come ne parlava, sembrava il contrario.
“Non so se puoi capirmi…”
“Certo, ti capisco.”
“Tu hai sempre desiderato essere un veterinario?”
“Sì, da quando avevo cinque anni. E tu? Quando hai deciso che saresti diventato un cowboy?”
Lo chiedo divertita, sperando che la mia finta noncuranza, possa strappargli qualche altra informazione.
“Ho sempre saputo che le topine di campagna hanno un ché di affascinante.”
Mi strizza l’occhio, si rimette a mangiare.
Se mi trovassi di fronte a una giuria, credo che la mia battuta sarebbe: non ho altre domande. Non per ora almeno.

 

QUARANTESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova