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7 Mag

Un weekend romantico

not for fashion victim enrica alessi

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G

uardo l’orologio, Luca sarà qui a minuti e mentre mi alzo dal divano per prendere la giacca, mi accorgo del libro di Enrica che ho abbandonato sulla mensola vicino all’ingresso. Forse avrei dovuto mettere in valigia anche lui: in fondo è merito suo se Cassandra avrà una pagina su Grazia.
Ora che Luca ha convinto sua madre a pubblicare la foto, già immagino la gigantografia davanti all’ingresso di casa sua, e a pensarci bene, starebbe bene anche qui, dico tra me guardandomi intorno. Se riordinassi un pochino, potrebbe essere questa la location della festa.
E mentre penso al lavoro che mi aspetta — e che tutto sommato, se fosse Thor a esibirsi, lo spogliarello in limousine non sarebbe un’idea così malvagia — il campanello suona: Luca è arrivato.
I miei occhi tornano sul libro di Enrica: un mix di devozione e pietà colpisce il mio sistema nervoso e impone alla mia mano di afferrarlo e di metterlo in borsa. Anche se spero di non dover trascorrere il mio tempo a leggere: questo è un weekend romantico.
Raggiungo il trolley che sembra sorridermi: muore dalla voglia di farsi un giro. Lo assecondo afferrandolo per il manico, apro la porta ed esco.
Lo sollevo, mentre scendo i gradini che precedono il viottolo, e quando lo ripongo a terra, mi pare quasi di sentire il suo batticuore. Non è solo la vibrazione provocata dai ciottoli su cui saltella, è fremito, è eccitazione: la stessa che mi scorre nelle vene.
Apro il cancello, lo chiudo alle mie spalle, mi volto e c’è Luca che mi aspetta per caricare il trolley. Partiamo.
Ho cercato di immaginare la location misteriosa almeno mille volte e sono arrivata alla conclusione che avrei dovuto aspettare il giorno della partenza per avere gli indizi necessari. Spesso, per risolvere un caso basta soffermarsi sui dettagli che all’apparenza sembrano scontati, e il navigatore che ho di fronte, su cui è scritta la destinazione, rende tutto così semplice.
Lago di Garda: mi sfugge un sorriso.
“Perché ridi?”
“È lì che stiamo andando?” chiedo indicando il nome sul display.
Lui fa per coprirlo con la mano.
“Doveva essere una sorpresa…”
“È ancora una sorpresa.” lo rassicuro. “Conosco solo un campeggio di Sirmione, ci andavo con i miei da piccola, ma d’inverno è chiuso e spero che tu non voglia portarmi lì…”
“Non ami il campeggio?”
A dire il vero è il contrario: è lui a non amare me. Ho le mie buone ragioni per dirlo — ma non ad alta voce.
“No, affatto. Amo il campeggio… Ci ho trascorso la mia infanzia, ho collezionato tanti ricordi, avevo e una bellissima compagnia di amici…”
“Perché sento puzza di però?” mi interrompe.
Ci sono stati due episodi — forse anche tre — per cui io e la mia compagnia di amici abbiamo rischiato di finire in un carcere minorile.
“Be’, abbiamo combinato un paio di marachelle pesanti…”
“Mi stai dicendo che anche la dottoressa Bigi nasconde un passato oscuro?” insinua divertito.
In effetti sì, ma non eravamo qui per scoprire il suo?
Ancora una volta ripenso alla scena del ‘questo per quello’ nel Silenzio degli innocenti. L’agente Starling non potrebbe suggerirmi una battuta migliore.
“Quid pro quo, dottore…” mormoro.
“Senti senti…”
“Facciamolo: io ti racconto una cosa, tu mi racconti una cosa. Comincio io.”
“Ci sto.” dice sorridendo.
I suoi occhi tornano sulla strada e io mi butto sulla prima marachella pesante.
“In campeggio, oltre alla bellissima compagnia di amici, c’erano anche i miei cugini: Luca, che guarda caso è il mio preferito, Monia e Sara.
“Che bel quartetto: mi sembra quasi di vedervi.”
Una piccola gang a piede libero.
“Quindi… che avete fatto?”
“Una volta abbiamo raccolto una sporta di pigne, l’abbiamo portata sul terrazzo del bar e le abbiamo tirate ai passanti fino a esaurimento scorte. Fummo scoperti.
Il direttore del campeggio prese in mano la situazione — e il megafono — e mandò a chiamare i miei: “I genitori di Melissa Bigi sono desiderati in direzione. Ripeto: i genitori di Melissa Bigi sono desiderati in direzione, grazie.”
“E poi?” chiede curioso.
“Mi misero in punizione: non feci il bagno per tre giorni e fu dura, garantisco.”
“L’avevi fatta grossa però…”
“Non quanto quella volta in cui decisi di essere la mandante di un furto di merendine.” aggiungo senza riuscire a frenarmi.
“Cosa hai fatto?” domanda basito.
“Chiesi a mia cugina Sara di andare al bar e di rubare le mie preferite, dopo averle indicato minuziosamente la posizione sugli scaffali, lei obbedì. Venne scoperta. Fece il mio nome per scagionarsi, ma fummo punite entrambe e costrette ai lavori forzati.”
“In che senso?”
“Ci misero a lavare i piatti per una settimana: avevo solo nove anni…”
“Dottoressa: lei non smetterà mai di stupirmi.” dice dopo essersi fatto una fragorosa risata. “Non volevi sporcarti le mani, eh?”
In realtà, mi sto ancora chiedendo come sia riuscita a convincerla a darmi retta. Ora è una cleptomane e la colpa è solo mia.
“Tocca a te.” dico incalzante.
“Okay… io invece avevo Adriano, il mio migliore amico; i suoi genitori gestivano uno studio di commercialisti, uno dei più importanti di Milano, lavoravano moltissimo e in pratica viveva a casa mia. Spesso trascorreva anche le vacanze con noi: era un fratello per me.”
Anche di Adriano non mi aveva mai parlato. L’unico amico che gli ho associato in questi mesi è Federico, il mio collega.
“Passavamo le estati in Sardegna, mia madre gestiva la redazione a distanza e nelle ore in cui lavorava, ci affidava a una tata, Angela, che si occupava di noi: preparava il pranzo, ci portava al mare… era fantastica.”
Perché la mia mente si sforza di immaginare una signora sulla settantina con i capelli cotonati che sforna torte di mele, quando il mio sesto senso mi dice che più probabilmente era la sosia di Francesca Cacace?
“E quanti anni aveva… Angela?” chiedo con un filo di imbarazzo.
“Non saprei.” dice sfiorandosi il mento. “Aveva la patente, frequentava l’università, direi che avesse poco più di vent’anni. Sua madre era la nostra governante, era una ragazza molto fidata che mia madre adorava.”
Ora sì che mi sento meglio. E preferisco non fare domande sul suo aspetto o verrà fuori che il mio sesto senso non sbagliava.
“Eravamo due soggetti piuttosto rumorosi, sempre pronti a combinare guai, ma Angela detestava rimproverarci e preferiva scegliere spiagge semi deserte per lasciarci più liberi.”
E chissà perché, alla parola ‘liberi’, penso a lei che prende il sole in topless. Arrossisco.
“Una volta ci portò in una piccola baia, era una chicca, un luogo segreto che conoscevano in pochi. Scegliemmo un posto a due metri dal mare, stendemmo i teli a terra e ci tuffammo in acqua.
Fu un lungo bagno e quando Angela ci diede l’ordine di uscire, obbedimmo.”
Ora sono io a sentire puzza di però.
“Ci asciugammo al sole, facemmo merenda. A un certo punto, Adriano mi indicò un gruppo di persone poco distante da noi. Ci guardammo negli occhi e capimmo che poteva trattarsi del nostro diversivo pomeridiano.”
Con i miei precedenti, pare superfluo chiedersi cosa intendessero per diversivo pomeridiano.
“Sfruttammo la pausa del loro bagno per derubarli dei vestiti.”
“E la tata? Non doveva tenervi d’occhio?”
“Teoria e pratica non vanno sempre di pari passo.” precisa. “Nascondemmo il malloppo dentro un cespuglio, tornammo da lei di corsa dicendole che eravamo stanchi e ci riportò a casa.”
“Non vi hanno mai scoperto?” chiedo curiosa.
“Non quella volta.”
Seppure una parte di me sia felice di constatare che entrambi abbiamo avuto un passato da piccole canaglie, l’altra è insoddisfatta. La sua infanzia mi interessa, ci mancherebbe, ma è quella fetta di passato recente che continuo a bramare: questo gioco del ‘quid pro quo’ non ha prodotto i risultati sperati.
“Sembri delusa…” mormora.
Non dico nulla, solo perché non saprei contraddirlo. Sì lo sono, ma di me stessa. Dovrei smetterla con questi stupidi escamotage ed essere diretta, una volta per tutte. Prendo fiato, faccio per lanciarmi con la domanda che mi ronza in testa da un po’, ma lui mi anticipa.
“Sì, lo sei. Ti conosco troppo bene.”
Posa la sua mano sulla mia, usa il pollice per accarezzarla e sussurra: “il dottor Lecter è l’agente Starling si scambiavano informazioni più rilevanti delle nostre.”
Finalmente siamo arrivati al punto.
Mi afferra la mano, la porta alla bocca e la bacia. Quando la riporta sul cambio insieme alla sua, so cosa sta per succedere.
Ho la sensazione che quella piccola bravata sia solo l’inizio di una lunga storia che sta per raccontarmi, e ora che il momento che aspettavo è arrivato, ho paura.
“Non ho preparato nessun discorso, non so neppure se esistano modalità e tempi che possano definirsi adeguati, ma voglio che tu sappia una cosa.”
“Okay…” mormoro.
“Ti amo, ti ho amato dal primo istante.
Sei entrata nella mia vita in modo del tutto inaspettato, in un momento in cui ero convinto che non ci fosse posto per nessun altro, se non per me stesso. Ma la tua semplicità mi ha restituito il sorriso… tu sei la cosa più bella che mi sia capitata.”
E meno male che non si era preparato un discorso: sto per piangere.
“Sei tu la cosa più bella che mi sia capitata…” sussurro cercando di trattenere le lacrime.
La sua mano stringe la mia ancora una volta: è difficile stabilire chi stia facendo coraggio a chi.
“Ci sono cose del mio passato di cui non vado fiero, ma non voglio nascondertele, ho bisogno di dirti chi sono stato e sapere se puoi continuare ad amarmi.”
“So che ti amo e che insieme supereremo tutto, anche quello che è stato.”
Scosta gli occhi dalla strada per un attimo e li sposta sui miei: rivedo la sua espressione triste e amletica, e non aspetto altro di scoprire cosa si nasconde dietro quello sguardo. Luca lascia la mia mano per afferrare il volante con entrambe, pare concentrarsi sul rettilineo, fa un bel respiro e inizia a parlare.
“Adriano è morto in un incidente stradale.”
La sua affermazione mi gela il sangue.
“È successo tre anni fa.”
“Come?” chiedo mortificata.
“Siamo cresciuti insieme, eravamo inseparabili. Abbiamo frequentato le stesse scuole, ci siamo laureati alla stessa facoltà, nello stesso anno, e avevamo la stessa compagnia di amici con cui trascorrevamo il tempo abusando di droga e di alcol.”
D’un tratto, penso alle nostre cene: non ha mai bevuto nulla di alcolico, non ha mai fumato e seppure non abbia avuto precedenti di tossicodipendenza, potrei giurare che Luca non ne abbia mai fatto uso.
Come può essere che il cowboy che mi siede accanto fosse uno strafatto?
“Era stata una serata pesante, avevamo voglia di uscire, farci un giro, raggiungere un chiosco di hot-dog e mangiare qualcosa. Quella sera aveva preso lui la macchina, nessuno dei due era nella condizione di guidare, ma non dissi niente. Lo seguì al parcheggio e montai sulla sua auto, con la spavalderia di chi si sente immortale e non prende il destino troppo sul serio.”
Vorrei dire qualcosa per sollevarlo dal senso di colpa che le sue parole trasmettono in modo fin troppo evidente, ma rimango in silenzio, aspettando la conclusione di una storia che non prevede lieto fine.
“Ci scontrammo con un’auto che veniva in senso opposto, dopo un centinaio di metri. Adriano morì sul colpo, io ne uscii con un paio di graffi. Quella volta fummo scoperti.”
Sento il dolore nel tono della sua voce, so che non se lo perdonerà mai. Gli accarezzo i capelli e mentre lo guardo, una lacrima corre lungo la sua guancia.
Dà un colpo di tosse, si schiarisce la voce, riprende a parlare.
“Dopo il funerale, venne fuori ciò che si celava dietro quella morte. I miei genitori mi imposero di entrare in comunità. Ci rimasi per due anni.”
Continuo ad ascoltarlo, lo accarezzo, provo a immaginare cosa prova e so che non potrei vivere senza Cassandra.
“Ero un tossicodipendente, il mio migliore amico se n’era andato per sempre, fu un periodo durissimo. Ma la terapia si era conclusa con successo e sapevo che se fossi tornato a Milano, presto o tardi, sarei finito di nuovo nella voragine che aveva appena rischiato di inghiottirmi. Decisi di trasferirmi da mia zia, la sorella di mio padre, nella fattoria in cui mi hai conosciuto, dove ho ritrovato un po’ di pace.”
Sorrido, mi piace pensare di far parte di quella quiete che lo fa sentire meglio.
“È un anno che non bevo più. L’altra sera a Milano sono stato invitato a raccontare la mia esperienza nella sede degli alcolisti anonimi che ho frequentato per un po’. Per la prima volta, sono riuscito a parlare di Adriano…”
A stento trattiene le lacrime. E anch’io non credo di resistere a lungo.
“Mi dispiace, mi dispiace moltissimo.” sussurro. “So che non c’è nulla che possa dire per sollevarti da questo peso, ma le persone si amano per ciò che sono, non per ciò che sono state e io ti amo. Ti amo per ciò che sei oggi: un uomo che riconosce i propri errori, che affronta i problemi in modo costruttivo. E ti amo anche per ciò che sei stato. Sono fiera di te, della tua forza di volontà, del tuo percorso, e se ti stessi ancora chiedendo se posso continuare ad amarti, la risposta è no: non posso che amarti di più.”
La chiusura perfetta di questa scena prevederebbe un bacio mozzafiato.
E Luca sembra leggermi nel pensiero: aziona la freccia di destra, accosta, mi bacia.

 

QUARANTASETTESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova