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6 Feb

Un difetto di famiglia — e non è il film con Nino Manfredi

storie di ordinaria follia

storie di ordinaria follia

 

 

 

U

na volta qualcuno ha detto: ‘la persona giusta è quella che trasforma i nostri difetti in pregi e i pregi in unicità’.

E se non è qualcuno che ti ama alla follia, allora può essere anche il giusto chirurgo estetico ad accontentarti.

Eppure, negli anni, ho capito che i pregi stanno bene a tutti, ma i difetti vanno saputi portare.

Per esempio: io ho il naso storto, è una cosa di famiglia. Mio padre e mia madre hanno il naso così e, per giustizia divina, anche mio fratello non l’ha fatta franca. Siamo un piccolo clan di nasi storti e, a sedici anni, avrei desiderato una rinoplastica più del motorino.

Andavo in piscina negli stessi orari in cui si allenava la squadra di pallanuoto e speravo che, nuotando a dorso nella corsia accanto, arrivasse la pallonata della vita: il bonus per un naso gratis.

Ma poi ho capito che è meglio non toccare ciò che madre natura ha messo lì: e a insegnarmelo è stata la rinoplastica di mia madre.

Un bel giorno il suo naso decide di curvare un altro pochino a destra e mia madre, quando non ha il raffreddore, respira malissimo.

Il dottore le prescrive una rinoplastica per raddrizzare il setto, da eseguire tramite mutua.

Non saprei dire se la invidio — e non solo per la mutua — ma almeno avrà un naso nuovo e io un termine di paragone.

Il giorno dell’operazione, tutta la famiglia sale in auto per accompagnare la mamma in ospedale.

Durante il tragitto, mio fratello decide di farle coraggio: “E se dopo l’anestesia non ti risvegli?”

“È in anestesia locale… idiota…” preciso con la mia solita delicatezza.

“Enrica, puoi evitare questo linguaggio?” mi rimprovera mio padre.

A consolare mio fratello, invece, ci pensa mia madre: “Amore, vedrai che andrà tutto bene.”

Be’, quasi.

Dopo l’operazione mia madre è un’altra persona. Ha gli occhi gonfi e sofferenti, e non riesco a spiegarmi come dei tamponi così grandi siano potuti entrare in quelle narici cosi piccole e, di certo, non voglio saperlo. Eppure se cotanto dolore può ripagarti con ciò che hai sempre desiderato, forse ne vale la pena.

O forse no.

A fine convalescenza mia madre respira meglio, ma il naso è come prima.

Melissa direbbe: “Come diavolo è potuto succedere?”

È andata più o meno in questo modo: mia madre, sedata in anestesia locale, sente scalpello, sega, martello, paletta e secchiello. Non lo sopporta.

Il medico le fa coraggio come se fosse un’ostetrica del terzo piano prossima a far nascere un bambino. Ma quando il dottore le dice di essere giunto alla parte estetica: la conclusiva, quella che darà alla mamma il nasino di Audrey Hepburn, lei getta la spugna.

“No, per favore basta. È insopportabile.

Mi accontento di respirare. Ora, per favore, potrebbe ricucirmi?”

Detto, fatto.

Da quel momento in poi ho iniziato a rispettare la dignità del mio naso e ad accettare che è il mio, e che sul mio viso non sta poi tanto male. Anzi, mi sono addirittura convinta che sia diventato più carino e ho scoperto che non è una mia semplice impressione.

Più passa il tempo, più i lineamenti del viso trovano la loro armonia, è come se si assestassero per creare un armonioso equilibrio. Peccato che quando accade questo miracolo, la pelle invecchia più velocemente.

A dirmelo è stato un chirurgo estetico, e ha detto anche che non toccherebbe mai il mio naso.

 

Illustrazione: Valeria Terranova