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26 Dic

Il segreto di Pollyanna — e non è il film con Hayley Mills

storie di ordinaria follia
storie di ordinaria follia
L’
 estate stava finendo, un anno se ne andava, ma nonostante un 2020 impegnativo, il mio primo romanzo sarebbe diventato un audiolibro letto da Giuppy Izzo.
Come ci ero riuscita?
Non lo so nemmeno io.

Tutto era cominciato a Roma mesi prima, quando avevo conosciuto sua sorella Simona alla presentazione di Prêt-à-bébé.

Simona è accanto a me, parla del mio libro e si commuove. Dice che ha risvegliato le sensazioni che ha provato con Francesco quando è diventata mamma per la prima volta, e mi chiede quale parte del romanzo voglio che legga.

Se il mio racconto fosse un cartone animato, sarebbe Ratatouille, e adesso ci sarebbe il pezzo in cui Anton Ego torna bambino.

Simona Izzo leggeva alcune delle favole dei Raccontastorie con cui mi addormentavo. E ora era lì che stava per leggere qualcosa che avevo scritto io.

“L’inizio”, dico sognante: è la prima cosa che mi viene.

Lei legge e lì scoppia l’amore.

Ci scambiamo i numeri di telefono, ci teniamo in contatto, e una sera di luglio mi dà la buonanotte cantandomi: Buonanotte fiorellino. Io svengo per l’emozione.

Agli inizi di agosto, decido di andare a Roma con le bimbe — Carola compresa che si è appena tolta i punti di sutura della ferita che si è fatta con i gradini di Positano — e di portarle a conoscere Giuppy che legge il libro della mamma.

Durante il tragitto in auto, Emma rinfaccia a Carola di non averlo mai letto e che questa è una buona occasione per ascoltarne almeno un pochino. Carola protesta dicendo che la storia la conosce già, che leggere non le piace e che, però, vorrebbe fare l’attrice: è più interessante.

“Ma come li impari i copioni se non li leggi?” chiedo disperata al sangue del mio sangue.

“Ascolto gli audiolibri.”

La questione è chiusa.

Arriviamo nello studio di registrazione e andiamo da Giuppy che è appena arrivata.

Ci fa entrare nella sala con il fonico e in silenzio la sentiamo leggere. Io rido, credo per l’emozione, è un libro che parla delle mie bimbe, della mia famiglia, della mia città emiliana. E proprio mentre sto pensando alle zeta e alle esse che rovinano irrimediabilmente la mia dizione, Giuppy mi chiede di leggere il titolo, la dedica e tutta la parte che scagiona l’autore citando che ogni riferimento a persone e cose è puramente casuale — Balle: mia suocera non mi ha parlato per tre mesi. Comunque: ci sono più zeta in quel pezzo che in qualsiasi altro scioglilingua diabolico.

Alla fine ci riesco, ma c’è ancora una cosa che voglio fare prima di salutare Giuppy.

E nonostante Giaco mi abbia vivamente pregato di non farlo, io me ne frego e lo faccio: “Giuppy, posso chiederti una cosa stupida?”

La sua faccia dice di no.

“Potresti farmi unplugged la dichiarazione di Meredith a Derek: ‘prendi me, scegli me, ama me…”

Lei sorride e mi accontenta.

Le bimbe escono dalla sala vergognandosi del sangue del loro sangue, e lo capisco, ma non demordo.

Siamo fuori dallo studio e chiamo Simona.

Le dico che sono stata da Giuppy e che vorrei passare a farle un saluto.

Arriviamo davanti a casa sua, il cancello si apre e mi trovo di fronte a suo figlio in costume da bagno che sta in piedi sul bordo di una piscina, mentre gioca con sua figlia. Le gocce di acqua e di cloro che scivolano sul suo petto mi hanno fatto dimenticare il suo nome.

“Emma, fammi una cortesia”, dico avvicinandomi a passo d’uomo. “Controllami per favore il nome del figlio di Simona.”

“Perché?”

“Perché io sto guidando e non possiamo fare figure di emme, Ti basta?”

Emma sbuffa, ma interviene Carola provvidenziale con il pollice più veloce del web: “Si chiama Francesco, mamma.”

“Brava amore.”

Abbasso il finestrino e lui si avvicina.

“Ciao Francesco”, dico sicura.

“Ciao… Sei la scrittrice?”

Sono quasi certa che se avesse avuto un cellulare sotto mano mi avrebbe anche chiamata per nome.

“Mamma, di’ qualcosa.” sussurra Emma.

“Sì. Sì, sono io. Adesso ti saluto, vado da Simona: ci aspetta.”

Lontana dalle gocce di acqua e di cloro, e vicina a un bicchiere di the freddo che Simona ci ha offerto, ho smesso di sudare.

Il petto di Francesco è ormai un lontano ricordo, decido perciò di spostare l’attenzione su Carola che vorrebbe fare l’attrice. Magari Simona le spiega che leggere è indispensabile.

“Simo, perché non fai due chiacchiere con Carola che vorrebbe tanto fare l’attrice?”

“Certo!” dice Simona sedendosi vicino alle bimbe. “Allora amore, perché vorresti essere un’attrice?”

“Perché diventi famosa, ti chiedono le foto, gli autografi, e poi hai tanti followers.”

C’erano i figli del boom e adesso ci sono i figli del web. Il web si è preso la mia.

“Brava! È giusto. Sei narcisista!”

Carola sorride, dalla mia espressione sgomenta si sarebbe aspettata una reazione diversa.

“Sai chi era Narciso, vero?” le chiede.

Ho ricominciato a sudare.

“Sì, era quello che si credeva bellissimo e che si specchiava sempre nel fiume, ma poi muore, o sbaglio?”

Sono fradicia.

“Be’ sì, però…”

Anche Simona, come Ligabue, ha perso le parole, ma cambia discorso. “Hai mai letto Pollyanna?”

È ufficiale: mi sto sbottonando la camicia.

“No, mai.”

Carola lo ammette spudoratamente, guardandola pure negli occhi, e a rincarare la dose ci pensa Emma: “Simo, non legge neanche i libri della mamma.”

Adesso chiedo un time-out, un bikini e vado da Francesco.

Ma anche a questo punto della conversazione Simona ci sorprende e dice: “Carola, tesoro, io ti capisco. Anche io come te faticavo molto a leggere i libri di mio padre.”

Davvero?

Ma prima che possa farle una domanda di cui potrei pentirmi, Simona conclude sospirando: “Erano così intensi!”

Vorrei precisare che i miei sono un tantino diversi, ma per il bene di Carola, sto zitta.

Il momento dei saluti è arrivato e forse faccio in tempo a rivedere Francesco — se non si è sciolto in piscina.

“Mamma, stai andando a sbattere contro il cancello.” borbotta Emma. “Non è vero, chiama papà e digli che siamo partite.”

Illustrazione: Valeria Terranova