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20 Apr

Stasera ho vinto anch’io… e non è il film con Robert Ryan

enrica alessi storie di ordinaria follia
enrica alessi storie di ordinaria follia
 
I
o e lo sport non siamo sempre andati d’accordo, il nostro rapporto è stato spesso travagliato e io che ho sempre creduto di essere una donna tutta d’un pezzo, mi sono piegata alla sua volontà.
Ma partiamo dall’inizio, dall’attività fisica che mi imponeva la scuola: anche le due ore di scienze motorie settimanali erano un sacrificio troppo grande.
Si cominciava sempre con una corsa, poi il salto a ostacoli, il salto in alto, la partita di pallavolo.
La corsa mi sfiancava, gli ostacoli li centravo tutti, il salto in alto era umiliante e quando si facevano le squadre di pallavolo, ero sempre l’ultima a essere scelta. Non è che fosse incoraggiante, ma la prof decise di non tener conto del mio disagio adolescenziale e mi fiondò un bel cinque in pagella. Forse ero l’unico caso al mondo.
Dopo altri dieci anni di inattività, combinata a pigrizia e a dolce far niente, presi in considerazione l’idea di provare lo spinning. Ne parlavano tutti, anche Claudia che al tempo frequentava una palestra molto trendy, dove si teneva un corso di lezioni serali.
Il mio insegnante era un Bronzo di Riace  di nome Emilio. Moro, altissimo con due baffetti da sparviero.
Mi misi in sella, sistemai la scarpa nella gabbietta dei pedali e iniziai la mia prima lezione. L’allievo peggiore — neanche a volerlo sottolineare — ero io. Non riuscivo a stare dietro al volano, la scarpa continuava a scivolare fuori dalla gabbietta e lui fu costretto ad abbandonare la sua bici per soccorrermi almeno quattro volte: ero un caso disperato, mi sentivo di nuovo in imbarazzo.
A incoraggiarmi però — oltre al suo aspetto — era la musica che usava: Pure shores delle All Saint, Gettin’ jiggy with it di Willy Smith, Smooth di Carlos Santana, e forse, in onore del maestro imparai. Diventai addirittura un insegnante un paio d’anni dopo. Diedi lezioni fino al terzo mese della mia prima gravidanza, ripresi dopo che Emma aveva già compiuto un anno, ma avevo cominciato a nuotare e poco più tardi, lo abbandonai definitivamente.
Avevo comunque dimostrato a me stessa che io e lo sport potevamo convivere, anzi ora ero io a non poter vivere senza di lui: se non rispettavo la mia tabella di marcia settimanale, mi sentivo in colpa.
Poi venne un’estate, non ricordo l’anno preciso, ma ero in spiaggia con il mio amico Matteo che mi fece notare una signora anziana molto magra, mi disse:
“Vedi Enri, se continui a nuotare, senza aggiungere un po’ di pesi, il tuo fisico sarà più o meno quello.”
Quella premonizione assomigliava a una minaccia: mi sembrò opportuno ascoltare il suo consiglio e iniziai a prendere lezioni di cross fit da un personal trainer.
Solo lui meriterebbe un capitolo a parte, ma il risultato di quella esperienza ancora oggi mi accompagna: ho imparato ad allenarmi a casa, da sola, con i miei attrezzi. Tengo il bilanciere sotto il letto, i pesetti, le kettlebell e il trx nell’armadio e alterno il cross fit al nuoto.
Ma l’attività più semplice, forse la più praticata in assoluto: la corsa, quella l’ho sempre detestata.
La mia corsa assomiglia a quella di una papera in fuga, ho sempre sofferto di fragilità capillare — anche il mio angiologo suggerisce vivamente di evitarla — ma ci sono momenti in cui non puoi tirarti indietro, specie se ricevi una email da adidas.
“Ciao Enrica,
Ti scrivo perché stiamo pensando ad una nuova experience sportiva, che vorrebbe coinvolgerti in una vera Maratona a staffetta. Saresti disponibile, nel caso, a partecipare al progetto tra marzo e aprile, considerando anche di correre per 10 KM insieme ad altre tre Blogger?
Avrete un coach personale che seguirà il vostro programma di allenamento ad hoc e vi sarà dedicato uno shooting fotografico che uscirà sul nostro sito.
Nel caso fossi interessata, inviami per favore: una breve bio e una foto; l’indirizzo postale al quale inviare i capi, taglia di abbigliamento e numero di scarpe.
Resto a disposizione e in attesa di un gentile riscontro.
A presto
Gaia”
Per quel pacchetto, avrei imparato pure a correre la Maratona di New York.
Mi allenai tanto e nonostante fossi la più vecchia della mia squadra, mi fu assegnato il tratto più lungo: correre undici chilometri per me fu un successo. Vinsi anche una medaglia. Per la prima volta mi sentii come Rocky Balboa mentre correva per la città, incitato dalla folla.
Io e la corsa avevamo trovato un certo feeling, ma non era una love story destinata a durare, smisi poco dopo.
E oggi, dopo quindici anni di attività mai interrotta, seppure sia fiera di me e del mio percorso di conversione spirituale, fare sport continua a essere un dovere più che un piacere. Continuo a pensare che le donne meriterebbero la forma fisica di default, senza fare sforzi, nel mio disegno ideale sarebbe addirittura prevista la dieta libera, dove nutella, pizza e patatine sono gli integratori ideali. Ma le mie fantasie da pazza psicopatica mica coincidono con la realtà e per ingannare la noia, ho sostituito un’ora di cross fit settimanale con una di yoga per migliorare la mobilità.
Cane a faccia in giù, cane a faccia in su: Boy quando lo fa si rilassa, perché io ci vedo dei burpees nascosti? Perché ho sempre l’impressione di spezzarmi in due?
A ogni modo, questi anni travagliati mi hanno portato a una conclusione e a elaborare una regola di vita. La prima: serve un pizzico di buona volontà per iniziare qualsiasi cosa, ma alla fine di ogni ora di sport, il beneficio è immediato. La seconda: la pigrizia non pensa mai al dopo.
 Illustrazione: Valeria Terranova