To top
5 Dic

Parole e musica — e non è il film con Tom Drake

storie di ordinaria follia

storie di ordinaria follia

 

 

 

 

D

a bambina il mio feticcio era il microfono che non ho mai avuto, e che sostituivo con la scopa, con il tubetto di lacca di mamma o con quello di schiuma da barba di papà. Nemmeno sapevo cosa fosse un amplificatore da cui fare uscire la voce e nemmeno mi importava, perché la sensazione eccitante di cantare a squarciagola, dentro la mia cameretta, bastava e avanzava. Ancora oggi, se mi impegno, la mia versione di ‘noi Puffi siam così, noi siamo Puffi blu’ è identica a quella di Cristina D’Avena.
Crescendo, ho cercato di imitare le cantanti più inarrivabili: Alanis Morissette, Meredith Brooks, Dolores O’Riordan, spingendomi pure a diventare la solista di un gruppo tutto al femminile che è rimasto insieme per un paio di sagre di paese. Poi come si dice: impara — più o meno — l’arte e mettila da parte e forse è stato meglio così. Ho detto addio alle mie ambizioni canore una vita e mezzo fa, ma la passione mi è rimasta e pare pure che sia tornata a cercarmi, così senza preavviso.
Quando la mia agenzia letteraria mi comunica che la mia spalla per la presentazione a Milano sarà Nina Zilli, faccio i salti di gioia.
Cesare, il mio pusher di moda preferito, che è anche uno dei personaggi del romanzo, ricordo che in tempi non sospetti — molto prima di Italia’s Got Talent — mi aveva fatto una testa così per un abito di Vivienne Westwood che Nina aveva indossato al teatro dell’Ariston, e sapere che non sarebbe stato solo l’amore per la scrittura a fare da filo conduttore alla serata, ma pure la passione per la moda, mi fa spingere il piede sul gas, quando giunge il momento di decidere cosa mettermi. Okay, lo ammetto, forse qualcuno sarebbe dovuto intervenire e tirare il freno a mano bruscamente, perché alla fine, mi presento in libreria vestita come un Chupa Chups: pantalone rosa in vinile, stivaletto nero nello stesso materiale con tacco dodici e gilet vintage a fantasia fucsia — ma lei apprezza.
Io e Ringhio, che alloggiamo nello stesso albergo in cui è ospite anche un’altra nota cantante, Elisa — questo sembra essere un dettaglio trascurabile, ma non lo è — arriviamo con un’ora di anticipo.
Alice, l’amica giornalista, mia e di Valeria, prepara una scaletta che è un bijoux: tutte le domande che un autore vorrebbe farsi chiedere sono su quel foglio. Cerchiamo di sincronizzarci per capire chi parlerà per primo e pian piano, le persone iniziano a riempire la sala.
Con mia grande gioia, trovo due delle mie lettrici: Cristina e Ilaria, la fata del Bidibiboditipubblico, Roberta, la ragazza che cito nei ringraziamenti finali, Matteo in carne e ossa e Michele, che desideravo vedere più di chiunque altro, il mio carissimo amico conosciuto grazie a un episodio di cyber bullismo: l’esempio vivente che ogni male non viene per nuocere.
Ad aprire la presentazione è un filosofo importante: Giulio Giorello, ha appena pubblicato un libro con Mondadori che si chiama La danza della parola. Loda il mio libro come neanche Giaco saprebbe, poi, quella stessa parola passa a me e io la faccio ballare come una boogie woogie. E seppure continui a chiedermi se riuscirò mai a stare calma di fronte a un pubblico, la mia curiosità si sposta su altro. Quando è Nina a intervenire, scopro che da bambina sognava di cantare su un palco importante e che una volta diventata grande, ci è riuscita davvero, avvalorando la mia teoria riguardo ai sogni: se ci credi, loro, per riconoscenza, si avverano.
Nina guardava il festival di Sanremo in tv insieme alla mamma, dicendole che un giorno anche lei si sarebbe esibita lì e così è stato, per quattro volte. Ora che lo so, mi pento amaramente di non aver espresso il desiderio di vincere un premio Pulitzer.
Lei ama l’arte in generale, non si limita a cantare, le piace disegnare, scrivere e non solo canzoni, anche storie, e infatti le chiedo espressamente di smettere, di lasciarmi il mestiere, di concentrarsi solo sulla musica: lei si mette a ridere, ma non so se posso fidarmi. Nina ha già scritto un libro, una guida alla città dei sogni, divisa in quattro storiche contrade: Cuore, Cervello, Fegato e Pancia, dove si trovano il Paradiso dei Calzini, in cui poter riabbracciare tutti quelli che scompaiono e che, probabilmente, tiene in ostaggio la lavatrice, ristoranti stellati con menù a zero calorie, fatti di gelati alle nuvole e insalate di Erba Voglio, mecche delle shopping dove non si vendono solo gli abiti perfetti, ma anche i super poteri, e Chiringuito Bay, la patria di chi voleva aprire un chiosco sulla spiaggia ai tropici e che forse non ci è riuscito.
Ma per una come me che mangia pane, amore e fantasia a colazione, a pranzo e a cena, trovarsi di fronte a un altro essere umano che vive nel mio stesso pianeta, e che partorisce idee geniali come queste — per giunta illustrate da lei stessa — non considerare l’evidenza di una concorrenza spietata, sarebbe da irresponsabili.
Ciò che mi resta è la speranza: speriamo che non si metta a scrivere romanzi o sono f*****a.
Nina, però, non è solo questo, perché oltre a essere quella che ha fatto dei suoi look il simbolo di una trasmissione in cerca di talenti, riuscendo pure a beccare al primo colpo colui che poi si è rivelato il vincitore, è una ragazza che mi dà l’impressione di essere pulita dentro e bella fuori — come la Rocchetta — che nonostante la fama, ha mantenuto la dolcezza e l’umiltà, e poi la invidio un sacco perché tiene fermo il microfono quando parla, invece di fare beatbox come faccio io. Insomma, mi è piaciuta tanto e della nostra serata insieme, oltre alla foto che la ritrae con il mio Prêt-à-bébé tra le braccia, rimane questo post: una delle mie tante storie di ordinaria follia che, come da copione, non poteva concludersi così e basta, ma all’insegna della musica, fino alla fine.
A cena finita, quando io e Ringhio torniamo in albergo, chi c’è fuori ad aspettarci? Elisa, che mi vede scendere dal taxi e dice: “che look figo!”
Tutto merito di Nina.
Illustrazione: Valeria Terranova