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25 Set

L’agente segreto — e non è il film con Robin Williams

storie di ordinaria follia

 

storie di ordinaria follia

 

 

 

 

C

orreva l’anno 2012, ma nell’aria c’era la stessa atmosfera dei film di spionaggio ambientati nella Seconda guerra mondiale.

Io e Matteo eravamo seduti al tavolo di un bar del centro di Milano, e aspettavamo il nostro contatto. Quello di una pr che ci facesse entrare a una festa blindatissima, organizzata dai Signori Dolce & Gabbana.

“E dire che mi ero raccomandato. Enri: non dobbiamo dare nell’occhio, mettiti qualcosa di sobrio…” sbuffò. “Hai pure un cappotto viola. Già che c’eri potevi portare anche un gatto nero.”

“Ora me lo tolgo.” dissi per rassicurarlo.

Quella mattina non avevo resistito.

A ispirarmi doveva essere stato Gianfranco Ferré, ma di fatto, avevo abbinato il mio bellissimo cappotto viola a una cartella rossa di pelle morbida. Era un outfit pazzesco.

“Certo, se ti scippassero, non avremmo più il problema della borsa e invece non saremo così fortunati.”

La tensione che percepivo nel tono della sua voce mi indusse a offrirgli un ansiolitico. Ma lui rifiutò, mandandomi a quel paese.

Nascosi la borsa sotto il cappotto e rimasi con la mia mise total black che si rifletteva negli occhi di Matteo, finalmente più sereni.

“Ehi, guarda, sta arrivando.” sussurrò.

Mi voltai.

“Non fissarlo.”

“Sei tu che mi hai detto ‘guarda’…”

Non ebbi il tempo di finire la frase: il nostro agente segreto si era appena seduto vicino a noi. Controllò che nessuno ci stesse osservando, poi si tolse gli occhiali da sole. “Li ho trovati.” bisbigliò.

Non si era limitato a fornirci il contatto della pr, ci aveva addirittura rimediato gli inviti.

“Ecco.” disse estraendoli dalla tasca interna del suo impermeabile. Li appoggiò sul tavolino di cristallo e alla vista delle due buste dorate, sulla cui apertura spiccavano i caratteri neri del marchio, mi emozionai.

“Questi qui non sono venuti a ritirarli.” aggiunse girando le buste.

Sopra c’erano scritti i nomi di due persone a noi sconosciute, ma di una cosa ero certa: non mi chiamavo Marco e nemmeno Antonio. Matteo mi guardava allibito senza riuscire a parlare.

L’agente segreto infilò gli occhiali. “Ora devo andare”, disse alzandosi. “E se dovessero chiedervi come li avete avuti, non fate il mio nome.”

Si allontanò dal nostro tavolo, si guardò intorno di nuovo, e uscì dal bar.

La frase che aveva appena pronunciato poteva sembrare la battuta di un film di spionaggio, ma seppure con la massima riservatezza, ci stava dicendo che si dissociava. Che se ci avessero scoperti, lui avrebbe negato di essere stato nostro complice.

“Matteo, io non vengo.”

“E invece sì e per questa serata sarai Antonia. Lo correggo io il nome sulla busta.”

Andammo alla festa. Eravamo degli imbucati con invito contraffatto. Ma era la festa in cui c’erano tutti i personaggi della moda più importanti e la mia dignità poteva chiudere un occhio.

Ciò che mi ero risparmiata per il look del mattino si esaurì completamente nel mio look da sera. A spiccare su tutto era il cappello che il mio amico Balestrazzi mi aveva prestato per l’occasione. Era a forma di torta, con la glassa, a tre piani, e con sopra una ciliegina. Mi accorsi di aver un tantino esagerato al bancone del bar, quando vidi Matteo che, lentamente, tentava di prendere le distanze. Che si stesse vergognando del mio cappello?

A mettere fine alla sua fuga a rallentatore fu una signora sorridente che lo fermò per sussurrargli qualcosa all’orecchio. Dopo un brevissimo scambio di battute, entrambi si voltarono verso di me, indicando il cappello.

Cosa si stavano dicendo? Chi era quella?

La vidi avvicinarsi alla torta a tre piani che avevo in testa e, siccome era molto più alta di me, nonostante il tacco dodici, si abbassò e mi disse: “I love your hat.”

Non sapevo chi fosse, però era stata gentile. “Oh! Thank you so much.” risposi.

Mi sorrise e si allontanò. Matteo mi era accanto e sapevo che ora era fiero del cappello almeno quanto me.

“Ti stava indicando da un po’. Non te ne sei accorta?”

“Stavo prendendo da bere.” precisai.

“Hai capito chi è, vero?”

“No, chi è?”

L’espressione di Matteo era riassumibile in: stai scherzando? Stai dicendo che non sai chi sia? Mi sentii avvampare. Avrei dovuto saperlo? Stava succedendo di nuovo: non avevo riconosciuto Marpessa e ora non riconoscevo questa signora.

La miglior difesa era l’attacco.

“Insomma Matte non posso sapere tutto!”

“Lei è Helen Mirren.”

“Ossantocielo!” esclamai coprendomi il volto con le mani.

“Il premio Oscar, l’attrice che ha interpretato The Queen…”

Era vero. Era lei. Una delle mie attrici preferite e non l’avevo riconosciuta.

Chiesi al mio amico stilista di vendermi la sua torta a tre piani, giusto per aver un ricordo di Helen, ma a lui serviva per una mostra.

Quella fu l’ultima volta che vidi il cappello con cui avevo conosciuto Helen Mirren, alla festa dei Signori Dolce & Gabbana. Insieme a Matteo, da imbucati, con invito contraffatto.

 

Illustrazione: Valeria Terranova