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29 Feb

Intervista — e non è il film di e con Federico Fellini

enrica alessi storie di ordinaria follia

enrica alessi storie di ordinaria follia

 

 

 

 

E

lì, sul water, mentre penso ai miei racconti e a ciò che potrei scrivere per divertire i lettori — non offendetevi però — ricordo l’intervista fatta al telefono con una giornalista di Grazia, uscita poi su carta, in occasione del lancio del romanzo.

Se di fronte a un pubblico, la paura di sbagliare mi impone qualche pausa tra un discorso e un altro, al telefono sono letteralmente fuori controllo.

Laura, a cui è stato affidato questo arduo compito, non può sapere a che razza di velocità viaggino le mie parole, tantomeno può immaginare la quantità di episodi che mi vengono in mente quando qualcuno mi fa domande aperte. Ma lei è una professionista: ci mette un attimo a bloccarmi: “Enrica, aspetta, mentre parliamo, io prendo appunti, se fossi così gentile da rallentare le battute al secondo te ne sarei grata: così posso scrivere.”

Alla fine riusciamo a trovare il nostro ritmo. Mi chiede come ho avuto l’idea di scrivere il romanzo e quando ho iniziato a coltivare la passione che è diventata un lavoro. Poi è passata alla sezione moda del mio bagaglio culturale.

“Mi hai appena detto che scrivere è la tua grande passione, ma ho dato un’occhiata ai tuoi profili social e hai un’immagine molto fashion…”

Non abbocco. Aspetto la domanda vera.

“Sei anche un’esperta di moda?”

Ci vuole coraggio per affermare una cosa del genere. Io non ce l’ho. Ho ancora troppo da imparare, non voglio un titolo che non merito. E poi, chissà come mai, ogni volta che qualcuno si autoproclama un esperto di moda, tutti lo massacrano. No, grazie.

Così, decido di essere semplice e sincera.

“Scrivo storie che fanno stare bene le persone e prendo ispirazione dal mondo che mi circonda, la moda è sicuramente una componente costante, ma non sono un’esperta. Uso l’istinto che devo aver ereditato da mia nonna, la nonna glitter…”

Dall’altra parte, Laura ride e mi chiede di fermarmi un momento.

“Okay, ci sono. Quindi, dici di aver acquisito questa sensibilità da tua nonna…”

“Si esatto è nel mio dna. E poi c’è la questione del collezionismo.” aggiungo bisbigliando.

“In che senso?”

“Be’ ecco, questo però non scriverlo.” le raccomando prima di continuare.

“Confesso di possedere una discreta quantità di abiti e accessori e per metterla insieme ci ho messo parecchi anni. Amo ogni singolo pezzo del mio guardaroba perché racconta una storia, ci sono affezionata. E ho convinto mio marito che ciò che potrebbe sembrare un volgare e inutile accumulo di stracci, causato da uno shopping sfrenato — a tratti compulsivo — è invece puro collezionismo.”

“Geniale…” la sento mormorare.

“Questo è lo stesso trucco che ha usato Iris Apfel con suo marito Carl.” dico eccitata. “Così un giorno vado da Giaco e gli dico: “Amore: stiamo mettendo insieme una serie di pezzi d’archivio che diventerà una grande collezione personale: la nostra grande collezione personale.”

“Nostra?”

“Certo Giaco, nostra.”

“Dai? E io che pensavo fosse solo un volgare e inutile accumulo di stracci. Ma così come lo descrivi tu: mi piace.”

Ora anche lui è felice di possedere un paio di Malone Soliers con le piume.” concludo soddisfatta.

“Si è convinto davvero?”

“Solo dopo avergli chiesto di guardare il documentario su Iris. Lì si è convinto.”

“Quindi hai un vestito per tutte le occasioni?”

“Siamo noi che creiamo le occasioni.”

Giocherello con la penna e rifletto attentamente prima di concludere il mio pensiero, ma alla fine, per citare Achille Lauro, ‘me ne frego’ e dico ciò che voglio dire, anche se non è convenzionale.

“Mi spiego: ogni giorno può essere un’occasione speciale. Sei tu a deciderlo. Per esempio, io abito in campagna e combino i miei pezzi per il puro piacere di indossarli, non per mostrarli per forza a qualcuno. Quando esco di casa, le sole ad accorgersi del mio aspetto sono le montagne di escrementi di mucca che scorgo all’orizzonte…”

“Come scusa?”

Ecco lo sapevo: sono stata troppo sincera.

“Sì… abito in campagna, non c’è anima viva… nessuno può vedermi, eppure può succedere che esca di casa con una giacca di Chanel, uno stivale di Givenchy e una borsa di Dior…”

“Credevo di aver capito male e invece eri seria. È fantastico! Adoro questa spontaneità… a noi milanesi manca.”

“Noi siamo topini di campagna, voi siete topini di città: avete altri pregi.”

Laura si mette a ridere.

“La teoria dei topini l’ho presa in prestito dalla protagonista del mio nuovo romanzo: Not For Fashion Victim… questo invece puoi scriverlo.” suggerisco divertita.

“Stai scrivendo un nuovo romanzo?”

“Sì, a puntate, sulla mia pagina Facebook. Dovresti leggerlo: è divertente.”

“Lo farò…”

So che stiamo promuovendo un altro libro, ma non posso fare a meno di estendere la propaganda anche all’altro.

“Ecco, con lui credo di aver trovato il modo di parlare di moda in modo semplice, questo non la fa quasi nessuno. Si tende sempre a usare parole inconsuete e incomprensibili quando si scrive un testo di moda, complicando ciò che è semplice fino a renderla inarrivabile, quando invece cerca il consenso di tutti. Anche il modo di parlarne dovrebbe essere pop, e io amo dire le cose il più semplicemente possibile.

Tutti possono appassionarsi alla moda leggendo le avventure di Melissa.”

La chiacchierata si conclude poco dopo.

Il pezzo uscirà giovedì prossimo.

E lì, mentre guardo le foto che ho consegnato, chiedendomi quale sarà pubblicata, mi viene da chiedermi: ma il pezzo della cacca delle mucche non lo scriverà? Vero?

Alla fine lei ha avuto il buon senso di non farlo uscire. Io meno.

Illustrazione: Valeria Terranova