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26 Nov

Il risotto agli asparagi

enrica alessi not for fashion victim
enrica alessi not for fashion victim
 
I
l viso di Cassandra torna a farsi rigido.
Quanto tempo abbiamo per snocciolare la questione? Per quanto tempo Tommy rimarrà sotto la doccia?
“È uno scherzo, vero?”
La mia faccia desolata risponde alla sua domanda e gliele suggerisce una seconda più pertinente:
“Perché?” chiede in tono drammatico.
Quasi mi pento di aver sganciato questa bomba nella sua cucina. Cassandra lascia cadere il mestolo nella pentola, spegne i fornelli e non so dire se la cottura sia ultimata o se non voglia perdersi una virgola. A prescindere, mi conforta sapere che il mio cuore infranto la terrà più impegnata di un risotto agli asparagi.
Okay, devo stare calma, è necessario che la mia versione dei fatti non la influenzi. Mi limiterò a un resoconto che rispetti cronologia e dinamiche: è l’unico modo per avere un suo parere sincero. Mi alzo dallo sgabello, mi volto a controllare che Tommaso sia effettivamente dall’altra parte della casa e inizio a parlare.
“Venerdì usciamo a cena con sua madre, durante il tragitto in auto, prima di passare a prenderla in albergo, viene fuori che non ho ancora dato disdetta dell’appartamento…”
Ci metto qualche secondo per rielaborare la verità. Non posso certo confessarle di essermi giustificata citando il libro di Enrica riguardo al posto sicuro in cui nascondersi per fuggire dai parenti, dopo la nascita del bambino. Primo è fuori luogo, secondo non è rilevante.
Ma la sua espressione avida di informazioni mi intima a elaborare un piano B.
“Lo rassicuro dicendo che è un luogo in cui ho vissuto per tanto tempo, a cui sono molto affezionata e lui sembra capire.”
“Ma…” mi interrompe impaziente.
“Ma dopo esserci seduti a tavola e aver conosciuto lo chef che è un amico di famiglia, Luca si apparta con lui e io resto sola con Mila che confessa di preferirmi alla ragazza che mi ha preceduto.”
Controllo la mimica del suo volto, la scruto attentamente, ma non trovo nessun cenno di disapprovazione, anzi, sembra sorpresa da quella dichiarazione inaspettata.
“Una ragazza con cui ha avuto una relazione per tre anni e di cui non mi ha mai parlato…” aggiungo velocemente sperando di innescare un minimo di indignazione, ma ancora niente: continua ad ascoltarmi con interesse, aspettando il resto della storia.
“La stessa ragazza che lo ha chiamato la sera del suo compleanno, durante la nostra cena romantica…”
“Non ti sarai arrabbiata per questo?”
Ora sì che è indignata.
“Mi sono arrabbiata perché ha omesso di parlarmi di lei.” ribatto infastidita.
“La tua insicurezza si è arrabbiata, non tu.”
Vorrei obbiettare, ma non mi vengono le parole con cui farlo. E non credo sia un problema di dialettica, è che di fronte alla verità, pronunciata da chi mi ama più di chiunque altro, non me la sento di dissentire. O forse no.
“Aspetta, lasciami finire.” dico risiedendomi. “Evito di fargli una scenata davanti a sua madre…”
“Vorrei ben vedere…”
“Avrei potuto e non l’ho fatto, dovresti complimentarti,” preciso, “ma a cena finita, dopo averla riaccompagnata in hotel, Luca mi invita ad andare da lui, io rifiuto e gli dico ciò che ho saputo da Mila, ma lui si rifiuta di darmi spiegazioni.”
Se anche questo non la fa sbottare, mi alzo e me ne vado. Ancora niente: mi alzo.
“Non è grave? Lo stai giustificando?” chiedo irritata.
“Punto primo: saresti dovuta andare da lui: il sesso — seppur inspiegabilmente— risolve tante cose. Punto secondo: il passato è passato. Tu sei il suo presente, che altro ti serve sapere?”
Sul sesso sono d’accordo, ma sul resto?
“Una motivazione, anzi, LA motivazione per cui mi ha taciuto di Roberta.”
“Anche lei si chiama Roberta?”
“Chi altro si chiama come lei?”
“La ex fidanzata di Tommy.” bisbiglia.
Scarto l’ipotesi che siano la stessa persona. E scanso anche quella faccenda oscura che vede la mia migliore amica come la femme fatale che desidera l’uomo d’altri finendo per conquistarlo. Ma allo stesso tempo, vedere quegli occhi che mi scrutano con quel mix di affetto e rimprovero, che distingue da sempre il rapporto che ci lega, mi impone di mettermi in discussione, anche solo per compiacerla.
“Omonimia a parte, non credi che avrebbe dovuto parlarmene?”
“Tutti abbiamo delle ombre nel nostro passato, cose di cui non vogliamo
parlare. Hai considerato che non sia stata una questione di volontà, ma di incapacità? Probabilmente non era nella condizione di aprirsi per paura di soffrire.”
“E cosa provo io non importa a nessuno?”
“Tu gli hai raccontato del tuo rapporto con il cibo? Della tua vecchia storia con Marcello?”
Se dovessi descriverci nel modo più chiaro possibile, direi che Cassandra è il dardo, io il bersaglio e lei ha fatto centro.
“Non me lo ha chiesto…” rispondo cercando di scagionarmi.
“Nemmeno tu gli hai fatto una domanda precisa…”
Cassandra riaccende il fuoco su cui la pentola è rimasta ad aspettare: sta finendo di cuocere o sta cercando un diversivo per darmi il tempo di trarre le mie conclusioni?
Agli occhi di una giuria, potrei sembrare colpevole: sono stata io invadere la sua privacy, a impicciarmi dei fatti suoi, mancando di delicatezza manifestando l’esigenza di sapere chi fosse la donna che è venuta prima di me, ma la storia del cappotto cambia tutto. Niente e nessuno scagionerà mai Luca per il suo gesto: tantomeno Cassandra — basta dirle che il cappotto in questione non è il suo.
“Okay, hai ragione, non sono andata nello specifico, ma c’è un risvolto nel finale che ti farà cambiare idea su tutto, devi credermi.”
“Sentiamo…”
“Mi riaccompagna a casa, scendo dall’auto e lui non fa nulla per chiarire, al contrario, mi abbandona davanti al cancello come un pacco di mai boxes e se ne va. Ma io dimentico il cappotto sulla sua macchina…”
“Quale cappotto?” mi interrompe lei.
“Il cappotto che mi ero tolta per non sudare durante la lite.”
“Perfetto! Sono certa che lo userà come pretesto per rivederti e chiarire!”
“E invece non lo farà…” dico abbassando lo sguardo.
“Come fai a saperlo?”
“Sabato mattina, dopo essere tornata a casa, lui mi chiama, io non rispondo.”
“Il tuo orgoglio è imperdonabile.”
“Il suo messaggio, ricevuto un secondo più tardi, è stato imperdonabile.”
Riacciuffo il telefono dalla borsa appesa allo sgabello e leggo ad alta voce: “Ho lasciato il tuo cappotto in clinica.”
Anche il suo sguardo scivola verso il basso, e anche se questo semplice gesto non potrà cambiare il triste epilogo che è già stato svelato, almeno mi consola.
“Non ha nemmeno avuto il coraggio di riportarmelo di persona. Anche uno stupido capirebbe che non abbiamo più niente da dirci.”
Cassandra apre il cassetto delle stoviglie, prende un cucchiaio e assaggia il risotto.
“Buono, ma troppo al dente: come il tuo rapporto con Luca.” dice riprendendo a mescolare. “Puoi ancora salvarlo, però, deve solo cuocere un altro po’.”
“Non posso tornare da lui, sarebbe umiliante…”
“Siediti.”
Obbedisco.
“Sai perché i bambini litigano e poi si rimettono a giocare come se niente fosse?”
“Sono un veterinario, non un’educatrice.” preciso sarcastica.
“Perché la loro felicità vale di più del loro orgoglio.”
Forse avrei dovuto fare l’educatrice.
“Smettila di chiederti chi ha torto, chi ha ragione, chiediti soltanto se lo ami ancora e cosa saresti disposta a fare per lui.”
“Certo che lo amo ancora, è una delle poche cose di cui sono sicura, e farei qualsiasi cosa per riaverlo.” mormoro cercando di trattenere lo sfogo emotivo che quelle semplici parole sono riuscite a innescare.
“E allora torna da lui e dimostragli che la vostra relazione è più importante di tutto il resto.”
Il naso mi pizzica e una smorfia si teletrasporta sul mio viso: difficile capire se sia provocata dall’indecisione sul da farsi o se, piuttosto, dalla necessità di frenare l’incontinenza delle ghiandole lacrimali.
Cassandra assaggia il risotto ancora una volta, ora la sua espressione è soddisfatta. Spegne i fornelli, mi raggiunge e mi abbraccia.
“Lo farai?” mi chiede bisbigliando.
“Lo farò.”
SESSANTASETTESIMA PUNTATA
Illustrazione: Valeria Terranova