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13 Feb

Il redazionale di Grazia

not for fashion victim enrica alessi

 

not for fashion victim enrica alessi

A

vevo previsto una reazione del genere: Cassandra ha lasciato cadere le posate, si è alzata dalla sedia è sta saltellando sul posto come Alex in Flashdance — nel pezzo di Maniac.
Si ferma, mi guarda e dice: “Ripetilo, ti prego.”
La assecondo, lo ripeto scandendo bene le parole: “La mamma di Luca è la direttrice di Grazia.”
Cassandra torna a sedersi, riprende le posate e parte della razionalità perduta.
“Ma com’è possibile? Luca è un cowboy…”
Lo dice a me?
“Non ti sembra strano? E se non fosse solo un cowboy? Se fosse un miliardario che tiene una stalla solo per hobby? Se fosse un magnate dell’industria della moda e tu non ne fossi al corrente? Dovresti indagare sul suo passato…”
Ma che idee le vengono?
“E perché vuole conoscermi?”
“Aspetta, calmati.”
Prendo fiato anche se ha detto tutto lei, e inizio a parlare.
“Riassunto: siamo a tavola, di fronte a me c’è il prode Achille, il padre Luca…”
“Lui com’è?” mi interrompe.
“Bello, interessante: assomiglia a suo figlio, che è seduto al mio fianco. Di fronte a lui: sua madre. Si chiama Mila.” preciso.
“So come si chiama…”
È evidente che la mia precisazione è superflua.
“Ti rendi conto di chi stiamo parlando no?” chiede eccitata. “Lei è… lei è…”
La madre del mio ragazzo?
“Lei è la direttrice di Grazia.”
È un po’ ripetitiva: devono essere gli ormoni.
Mi schiarisco la voce: “Stavo dicendo… mentre stiamo mangiando gli antipasti, arriva la tua telefonata, io mi alzo per non disturbare e sento i suoi occhi su di me.”
“Sulla gonna.” precisa.
Anche la sua precisazione è superflua.
“Appunto. Dopo averti fatto notare che hai interrotto la cena, riattacco e torno a sedermi. Mila mi fa una domanda sulla gonna, io alzo le mani.”
“In che senso?”
Non posso dirle di aver confessato da subito che non era mia perché temevo il suo giudizio. Di solito non mi vesto da mariachi, specie per un incontro formale.
“Non mi ricordavo niente di Din Don Dan e dello spirito della collezione: avrei fatto brutta figura, quindi ho detto la verità: la gonna è di Cassandra — la telefonata di prima — lei è una vera esperta di moda, e aspetta un bambino.”
Scaricabarili? A seconda dei punti di vista.
Cassandra ha l’aria famelica, ma credo siano le informazioni a stuzzicarla, più che la pizza, che si è già raffreddata.
Vado avanti, o diventerà immangiabile.
La prima parte del riassunto si è conclusa, ora viene il bello.
“Lo sguardo di Mila si illumina, mi fa domande su di te: le dico che sei la responsabile accessori della boutique più bella della città, e bla bla, bla…”
“Bla bla che? Devi essere più precisa.”
“Le ho detto che aspetti una bambina, che la chiamerai come me — i patti erano questi — e lei mi chiede una tua foto.”
“Che cosa?”
Mi aspettavo una reazione più scoppiettante e invece sembra preoccupata.
“‘Che i patti erano questi’ o la ‘tua foto’?
“La foto.” dice con sgomento.
“Ne ho scelta una: la migliore e lei l’ha vista.”
“Onnnno!” esclama mettendosi le mani nei capelli. “Fammela vedere…”
Non si fida?
“Guarda che l’hai conquistata grazie a me.” puntualizzo. “Forse dovresti complimentarmi con il mio senso dello stile, piano piano si sta sviluppando.”
“Fammi. Vedere. La foto.” ordina.
Prendo il telefono, la cerco, la trovo.
“Questa.” dico passandole il mio jolly.
Cassandra socchiude lo sguardo: fa un’analisi rapida e precisa dei pezzi che indossava quel giorno, ma ha un sorrisetto soddisfatto: credo li giudichi adeguati. La totale razionalità a cui ho appena assistito, si polverizza un secondo più tardi.
“Ti rendi conto? Lei ha chiesto di vedere una mia foto!” esulta.
Ho già visto questa scena: terza media. Gita della scuola. Valle D’Aosta.
A lei piace un ragazzino, mi pare si chiami Richi. Vuole che vada da lui e che gli chieda cosa ne pensa di Cassandra. Mi sento Cupido e non voglio fallire. Al mio ritorno, io ho la vittoria in tasca, lei la stessa espressione di ora.
“Le sei piaciuta e credo voglia proporti di partecipare a un…”
Cavolo, non mi viene il termine.
“Un…?” insiste lei.
“Non mi ricordo la parola esatta…”
“Melissa, concentrati: può aver detto redazionale?”
“Sì, esatto. Un redazionale sulle mamme in forma.” concludo soddisfatta.
“Io?”
“Sei incinta o sbaglio?”
Cassandra sorride, abbandona nuovamente le posate e raccoglie il biglietto da visita dal tavolo: sembra che stia guardando un santino di Padre Pio. Ho la conferma che si tratta di una cosa seria, quando lo avvicina al suo cuore.
E all’improvviso, quell’espressione sognante scompare: concretezza.
“Cosa mi metto per conoscerla?”
Gli occhi guardano verso l’alto, come se la risposta fosse scritta sul soffitto.
“Allora, che mi metto?” domanda per la seconda volta.
“Davvero lo stai chiedendo a me?” dico emozionata.
“Era per dire…”
Chissà perché, ma un po’ me lo sentivo.
“Ci sono!” esclama.
Alza addirittura il dito verso l’alto.
“Ho un tubino stretch di Versace a fantasia: vintage, classe 1992, bellissimo. Mi metto quello.”
Cioè, quindi, quel tubino esiste?
Allora non era solo un sogno. Se quel tubino esiste davvero, siamo a rischio parto prematuro. Non sono preparata.
Avrò anche fatto nascere un vitello, ma non è la stessa cosa.
“No quello lì non va bene.” dico scuotendo la testa. “Non credo che ami le fantasie floreali…” mi affretto ad aggiungere.
“Perché?” chiede stupita.
“Mi ha confessato che adora la tinta unita.” sussurro.
“Ah sì?”
“Già.”
“Be’, vorrà dire che quando arriverà il momento, ci penserò.” conclude.
E mentre sto per tirare un sospiro di sollievo, Cassandra diventa ancora più concreta.
“Se la chiamassimo ora?”
“Adesso? Fuori dall’orario di ufficio?”
“Certo: sei la ragazza di suo figlio!”
Il solo pensiero di sentire la sua voce mi mette ansia.
“Non sarebbe meglio se la chiamassi domattina con calma?”
“Senza di te?” chiede in tono supplichevole. “E poi ora non abbiamo niente da fare…”
Mangiare? Ma cosa dico? La pizza è diventata una suola.
“Okay. Prendi il tuo telefono…”
“Faccio il numero?” chiede titubante.
“No, mandiamole dei segnali di fumo… Certo che devi fare il suo numero!”
Siamo solo all’inizio e so già che mi verrà un ictus. Cassandra prende il telefono, lo appoggia sul tavolo e compone il numero. Preme il tasto del viva voce: uno, due, tre squilli.
“Sì… chi parla?”
La sua voce mi incute timore, anche Cassandra non spiccica parola, è in trans, inizio io: “pronto, buonasera Mila, sono Melissa…”
“Chi?”
Cominciamo bene.
“Melissa, la ragazza di Luca.”
“Ah sì certo, perdonami, è stata una giornata pesante: i fotografi, gli stylist, la scrittrice…”
A chi lo dici? Io ho avuto un cane a due teste.
“Lo immagino. Se la disturbo, posso richiamare domattina…”
Cassandra fa un cenno repentino con la testa: non è d’accordo.
“No assolutamente, tu non disturbi mai.”
Mi ha quasi commosso.
“E la tua amica? Cassandra?”
Non ricorda il mio nome, ma ricorda il suo: forse è chi ho di fronte che dovrebbe commuoversi al posto mio.
“È proprio qui con me…” dico felice.
“Oh! Passamela pure…”
Sarà, ma mi sento di troppo.
“Buonasera Mila, è un piacere parlare con lei.”
“Cassandra! Il piacere è tutto mio. Melissa mi ha parlato molto di te…”
Vorrei aggiungere che ‘molto’ è solo un eufemismo: abbiamo parlato ‘solo’ di lei.
“Mi complimento per la gonna: un pezzo di archivio che solo pochi eletti possono capire… ma è stata la foto che mi ha mostrato la tua amica a colpirmi.”
Cassandra sta letteralmente annegando in un brodo di giuggiole, sembra prestare attenzione alle sue parole, ma ha lo stesso sguardo di chi si trova su un altro pianeta.
“La ringrazio… quella gonna racconta una storia, un pezzo importante della mia vita…”
Ancora con sta’ storia?
“Sarei molto felice di conoscerla. Ma ho chiesto a Melissa di farti avere il mio numero, perché vorrei farti una proposta.”
Cassandra non tergiversa.
“Certo, la ascolto…”
Ha assunto un’espressione più professionale, anche la sua postura si è messa in posa: non l’avevo mai vista così.
“Avevo intenzione di realizzare un redazionale dedicato alle mamme in forma. Un progetto dedicato a una nuova scrittrice — di cui ora non ricordo il nome — che ha appena scritto un manuale sul tema… una cosa tipo: tutte le cose che le mamme non hanno mai avuto il coraggio di chiedere…”
“Sta parlando di Enrica Alessi?” la interrompe.
La sua postura si è sciolta come un gelato. Rimango di sasso.
Non sarà mica quella guastafeste che le ha messo in testa la storia che i nomi che i genitori danno ai bambini possono condizionare il loro futuro? Se non fosse per lei, ora, la creatura che ha in grembo si chiamerebbe Nadine, come la madre di Jerôme, e io sarei ancora in contatto con lui. È solo colpa sua.
“Sì, mi pare proprio che si chiami così, la conosci, quindi?”
“Sì è divertentissima, il suo manuale è una bibbia per me.”
Addirittura?
“Bene, anzi benissimo, sarò felice di presentartela.”
“Sarebbe fantastico.” dice commossa.
Mi viene da pensare che forse sono solo io a vivere su un altro pianeta.
“Senti, non ho l’agenda qui con me, posso chiamarti domattina per fissare un appuntamento?”
“Certo…” mormora.
“Se fosse venerdì?” suggerisce.
“Venerdì… un momento… Melissa tu puoi accompagnarmi?”
Sono ufficialmente una comparsa telefonica, niente di più.
“Posso provare a organizzarmi.”
“Bene, allora ci sentiamo domattina.” conclude Cassandra euforica.
“A domattina, buona serata a tutte e due.”
La comunicazione si interrompe prima che possa salutarla, e forse non se ne sarà nemmeno accorta.
“Allora? Sei contenta?” chiedo in cerca di conforto facile.
“Oh Mel! È fantastico! Grazie! Quando lo dirò al lavoro, non ci crederanno.”
E invece, credo proprio di sì.

L’idea mi è venuta ieri sera, tornando a casa. Sono sempre stata bravissima a scuola, i miei voti erano ottimi, ma la moda non mi è mai interessata.
Ho cominciato a documentarmi solo adesso, e adesso che un po’ di cultura in materia potrebbe aiutarmi a conquistare la madre del mio ragazzo, so di non averne abbastanza.
La sola cosa che mi consola è che anche lei non sarà mai in grado di far nascere un vitello. Ma mi rimetterò a studiare. Giusto per sentirmi meno ignorante: lo faccio per me, non per lei — credo.
E comunque anche Coco ha visto periodi bui. Molto bui. Ma se l’è sempre cavata.

Nel 1936, la superiorità di Chanel non è più indiscussa. Nel mondo dell’alta moda, la concorrenza è spietata e molti nomi sono diventati celebri quasi quanto il suo.
La principale concorrente di Chanel è italiana, si chiama Elsa Schiaparelli. Vive nella capitale e proviene da una famiglia aristocratica romana, un’estrazione sociale totalmente opposta a quella di Coco. La si vede a Londra, a New York, a Parigi, dove si trasferisce, dopo il divorzio. Al 21 di Place Vendôme, per essere esatti, vicinissima alla boutique di Gabrielle, che pretende di soppiantare. Questo non succederà, ma sta di fatto che riesce a portarle via parte della sua clientela.
Elsa Schiapparelli ha una grande creatività, si ispira all’estetica surrealista, utilizza materiali nuovi e particolari, realizzando sorprendenti configurazioni. Bottoni a forma di gambero, di barboncino, tasche a forma di bocche, di cassetti, e cappelli che sembrano scarpe. Le sue stravaganze divertono, conquistano. Anche la Schiaparelli imita Coco lanciandosi nella creazione di profumi. Ma nessuno di loro eguaglierà mai il prestigio di Chanel Nº5.
Non sono però queste piccole guerre tra talenti a minacciare l’Europa, ma il pericolo di un conflitto internazionale, che i francesi fingono di ignorare.
Il primo settembre del 1939, le truppe tedesche invadono la Polonia, gli alleati sono costretti a dichiarare guerra alla Germania.
Senza nessun preavviso, Gabrielle decide di chiudere i suoi atelier. Tiene aperta solo la boutique di profumi e accessori. Dice che non è più tempo di vestiti, ha l’impressione che un’epoca stia finendo e che non si parlerà più di moda. Anche se la sua maison è all’apice della prosperità, Coco ha 56 anni e non c’è più nessuno al suo fianco che la spinga a continuare. È stanca di quelle concorrenti che la incalzano, è stanca della necessità di farsi vedere ovunque, quando preferirebbe condurre una vita lontana dai riflettori, circondata da pochi amici selezionati. Anche il sindacato dell’alta moda le mette pressioni, ma lei si rifiuta di cedere. Le sue concorrenti saranno felici di assumere le sue operaie esperte. Anche le sue clienti desiderano sperimentare altri stilisti. La moda — se così potrà ancora chiamarsi — andrà avanti anche senza di lei.
Alla fine di settembre, le imposte del primo piano di Rue Cambon 31 sono chiuse.
Nessuno sa per quanto, nemmeno Coco.
L’esercito francese cade sconfitto a maggio dell’anno seguente. A Parigi regna un atmosfera da fine del mondo. Sulla metropoli aleggia una gigantesca nuvola di fumo nero: sono stati incendiati i posti di benzina per impedire alle persone di fuggire. Ma Gabrielle sa dove rifornire la sua auto, e vinta dal panico generale, decide di lasciare la città, accompagnata da un’autista. Si fa condurre a Palau, dove aveva conosciuto Boy, poi a Corbières. Qui, ritrova Étienne Balsan, che risiede nella proprietà di famiglia. Si è sposato, è invecchiato, ma ha conservato la sua passione per i cavalli e per le sue scuderie.
Coco torna a Parigi un mese più tardi.
iIl Ritz è stato requisito dai tedeschi, di fronte all’entrata, ci sono transenne metalliche, sentinelle armate e la bandiera nazista che sventola alla sommità dell’edificio. Chanel riconosce il direttore dell’albergo, che le fa sapere di aver dovuto liberare la suite da lei occupata, ma un generale tedesco si accorge di lei e di alcuni bauli che portano il suo nome. Le chiede se è la stessa Coco Chanel che fa vestiti e vende profumi e le dà il permesso di restare nell’hotel, in una stanza più piccola.
La guerra che tutti definivano lampo era durata molto di più. Il conflitto mondiale si conclude nel 1945, ma Chanel ha ancora un’alta battaglia da combattere.
È il 12 febbraio del 1947, sono le dieci e trenta del mattino e al numero 30 di Avenue Montaigne, Christian Dior sta presentando la sua prima collezione. All’epoca è quasi uno sconosciuto con pochi anni su esperienza, ma il suo talento è già stato notato. Marcel Boussac, il più grande industriale tessile di quegli anni, ha deciso di lanciare una casa di moda a suo nome, e a quella presentazione accorre tutta la Parigi che conta.
È l’evento dell’anno, è presente una fitta schiera di giornalisti di moda, tra cui le équipe rivali di Vogue e di Harper’s Bazaar e tante clienti abituali di Coco Chanel.
A fine sfilata, Christian Dior è uno dei più grandi stilisti del suo tempo. Anche Madeleine Vionnet — un’altra concorrente del passato di Coco — si complimenta con lui. Ma è l’opinione di Carmel Snow, la famosa direttrice americana di Harper’s a cambiare il suo destino. In preda all’entusiasmo dichiara: “Caro Christian, i tuoi vestiti sono meravigliosi, hanno un look nuovo.”
New look: quell’espressione fa il giro del mondo.
Non si tratta più di portare abiti pratici come al tempo dell’occupazione, ma di tornare alla funzione essenziale dell’alta moda: abbellire il corpo femminile. La donna di Dior ha la vita stretta, il seno alto e generoso, le spalle rotonde e le gonne arrivano fino a terra. Ma questa moda impone guaine, guêpière, corsetti, stecche di balena da portare sotto gli abiti da sera, tutto l’armamentario che Coco aveva tentato di abolire negli anni ‘20.
Non è difficile immaginare la sua reazione di fronte a quel New Look, che sostiene sia soltanto un ritorno all’antico.
E seppure siano già passati nove anni dalla sua ultima collezione, Chanel è convinta che la nuova moda, porti i germi della sua stessa decadenza.
Il suo attuale trionfo si spiega soltanto grazie alle restrizioni imposte dalla guerra, le donne hanno sete di lusso, ma presto ne avranno abbastanza di quelle pesanti impalcature.
Forse gelosia, forse lungimiranza.
Dal 1947 al 1950, Coco sopporta sempre meno la sua inattività e anche Il New Look. Seppure in quegli anni, Dior abbia abbandonato gli eccessi iniziali, di fatto, ha ripristinato quasi tutto ciò che lei odiava della Belle Époque.
Prima della guerra, erano soprattutto le donne a dominare il mondo della moda, ora sono gli uomini che si incaricano di dire alle donne come vestirsi, e nessuno tiene conto della libertà di movimento, che per Chanel è indispensabile.
Ma non è questo che la convince a rimettersi in gioco. Nel 1953, Gabrielle si trova a New York, ospite della sua amica Maggie, per alcune settimane.
Sua figlia, Marie-Hélène, invitata a un prestigioso ballo delle debuttanti, si è fatta confezionare un abito per l’occasione. Tutta fiera del suo acquisto, corre da Chanel per mostrarglielo, ma Coco è tutt’altro che soddisfatta. Lo definisce un orrore. La ragazza è sul punto di piangere.
Coco, scorge una finestra a cui è appesa una grande tenda di taffetà di seta rossa, la tocca, la guarda e chiede di usarla. Dopo qualche ora, improvvisa un vestito da ballo così bello che tutte le amiche di Marie le chiederanno l’indirizzo della sua sarta. Coco decide di riaprire il suo atelier.
Ha settantuno anni, i suoi colleghi la chiamano la “vecchia“ con affettuosa disinvoltura, ma lei vuole mostrare loro di cosa è capace.
È l’estate del 1953 e Gabrielle non perde tempo. Sa che avrà bisogno di considerevoli capitali e vende La Pausa: la sua casa di villeggiatura, ora che ha intenzione di rimettersi al lavoro, non ne ha più bisogno.
Tramite la sua amica Carmel Snow, direttrice di Harper’s, prende contatto con un grande confezionista americano, disposto a produrre i capi pratici ed eleganti delle sue future collezioni, offrendole una ricompensa sotto forma di royalties.
Il 5 febbraio del 1954, Coco presenta la sua nuova collezione. Oltre duemila persone hanno tentato invano di assistere alla sfilata, ma anche qui, come da Dior qualche anno fa, la Parigi che conta è lì: in prima fila le redattrici di Harper’s e dei tre Vogue: americano, inglese e francese. I clienti, tutti i critici di moda. Alcuni sono in piedi, altri sulle sedie o sui primi gradini della celebre scalinata con gli specchi, mentre Gabrielle, invisibile al pubblico, è in alto, che fuma nervosamente osservando le sue reazioni.
Nonostante la scelta superstiziosa del quinto giorno del mese, la presentazione è una catastrofe: i giornalisti francesi e inglesi la stroncano. Gli abiti e i completi presentati da Chanel non affascinano gli ammiratori di Dior e del New Look, ai loro occhi sono solo reliquie del passato.
Ma lei non si dà per vinta, lei sa di avere ragione. Invece di sfidare le concorrenti sul loro stesso terreno, intende rovesciare la situazione dimostrando che sono loro a essere fuori moda. Tentano di far colpo sulle clienti con le loro creazioni stravaganti, invece di preoccuparsi della realtà che vivono. Si dimenticano che sono le donne a dover far colpo sugli uomini, non i loro abiti e Gabrielle è sicura che le donne finiranno per comprenderlo.
A premiare la sua forza di volontà e l’intelligenza della sua analisi, non sarà la Francia, ma l’America, che si trascinerà dietro l’Europa.
Già dal cinque febbraio, molti compratori americani dei grandi magazzini di lusso della Quinta Strada acquistano alcuni dei modelli Chanel. Bettina Ballard, la redattrice di Vogue, è rimasta talmente colpita dalla sua collezione, che la sua rivista le dedica tre pagine di foto. La copertina ritrae la nuova modella di Gabrielle, l’incantevole Marie-Hélène Arnaud. Indossa un tailleur di jersey blu che lascia intravedere una camicia di lino bianca con fiocco di seta nero. Ha le mani in tasca e un cappellino di paglia con nastri svolazzanti.
Bettina, entusiasta di quel completo che conferisce a chi lo indossa un’aria così giovane, lo compra subito per sé e lo sfoggia davanti a millecinquecento magnati americani della moda, riuniti a Manhattan per l’esposizione dei modelli importati dalla Francia. Molti di loro non hanno mai visto un capo Chanel.
Bettina illustra loro la filosofia su cui è improntato il lavoro della stilista, che promuove un look concepito per il comfort e per la bellezza femminile, non si limita a creare per pochi esteti di moda.
L’auditorio si mostra sensibile a questo discorso che fa leva sul pragmatismo americano. Se il New Look è impossibile da copiare per i confezionisti, al contrario, la rigorosa semplicità dei modelli Chanel si presta molto di più alla riproduzione, e quindi alla diffusione commerciale di massa. I compratori intravedendo enormi profitti e si convincono che Coco è l’investimento perfetto.
La donna che si cela dietro il profumo più famoso del mondo ha portato ben più di una moda: ha portato una rivoluzione.

Che grande donna, penso, mentre appoggio il libro sul comodino. Spengo, la luce, cerco di dormire, ma continuo a pensare alla storia che ho appena letto.
Immagino gli abiti che mi sono stati descritti, le persone che li indossavano e in quali ambienti. E poi vedo lei: determinata, cinica, all’occorrenza, passionale. Mi sarebbe piaciuto conoscerla.
È lì, mentre rifletto sul duello tra lei e il New Look, sono felice che sia stata lei a spuntarla: è solo colpa di Dior, se Jerôme non risponde.

 

TRENTASEIESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova