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18 Nov

Dal romanzo Prêt-à-bébè – Diario di una mamma pronta a tutto – 4 –

enrica alessi romanzo

enrica alessi romanzo

 

 

 

 

 

D

opo due anni dalle nozze, non posso fare a meno di chiedermi: ma chi ha detto che il coronamento di un matrimonio sta nella procreazione? Al pensiero di diventare madre mi sento male. Io non sono tagliata per queste cose. A malapena riesco a gestire la nostra casa e la biancheria da lavare e da stirare, immaginati un bambino che gattona per casa con gli stuzzicadenti da infilare nelle prese.
Abbiamo Tobia e ci basta.
Tobia è il collie che ci hanno regalato un mese prima delle nozze, e quando siamo fuori a passeggio, la gente ci chiede se è cieco perché ha un occhio azzurro e un occhio marrone.
Io continuo a lavorare in ufficio e riesco ancora a gestire le mie lezioni di spinning in palestra. Siamo perfetti così come siamo, non ci manca niente, non potremmo chiedere di meglio. E nonostante continui a convincermi che questa è la formula perfetta della felicità, qualcosa mi dice che non è così.
Sono seduta in giardino e sto tirando la palla a Tobia che, instancabile, non smette di riportarmela per farsela tirare di nuovo.
«Non mi dici niente, eh?» gli chiedo accarezzandolo.
Tobia scodinzola con la lingua a penzoloni, mi guarda con un’espressione confusa. E forse ha ragione.
Sono davvero cambiata così tanto? Sono davvero arrivata al punto di rimangiarmi la parola? E se non fossimo perfetti così come siamo? Sono passati due anni e forse è giunto il momento di avere un bambino.
Non che la mia idea di madre sia migliorata, sì insomma, faccio ancora casino, dico le parolacce, stiro le camicie da schifo, non so cucinare, ma hanno imparato tutte, perché non io?
Giaco non ne ha mai parlato. Mi sembra di rivivere la storia del matrimonio, forse lui è già d’accordo e tocca solo a me dire sì. Potrebbe essere.
In fin dei conti avere un bambino, almeno nella fase iniziale, riguarda me: prendere venti chili, subire le nausee, la fragilità capillare, le smagliature, le emorroidi da parto. Lui deve giusto piazzare uno spermatozoo nel posto giusto al momento giusto, non mi sembra un’impresa eroica. La mia lo è.
Ma non voglio che le cose degenerino come l’ultima volta, anche perché adesso le chiavi di casa le ha anche lui e non potrei più lasciarlo sul pianerottolo a implorare… Devo inventarmi qualcosa.

[…]

Tra tutti i momenti in cui potevo decidere di volere un bambino, ho scelto quello peggiore. Oggi Giaco ha una riunione in azienda. Spero che non si scoraggi, che capisca quanto vale e si liberi di loro. Se si vedesse con i miei occhi se ne sarebbe già andato, ma credo che sia la paura di perdere la stima di suo padre a impedirgli di lasciare tutto e voltare pagina. Ha proprio bisogno di questa vacanza.
Tra una settimana si parte e sono riuscita a mantenere il segreto sulla destinazione. Sarà una sorpresa, gli ho solo detto di portare il costume da bagno. E per le sette ore di guida, be’, di quelle sarà informato solo alla partenza. Con le valige nel bagagliaio non potrà più tirarsi indietro.
Io, invece, ho già cominciato a preparare una lista delle mie mise. Dovrò essere irresistibile in ogni momento della giornata: qui si sta parlando di concepire, non so se mi spiego, e niente deve essere lasciato al caso.
Per una settimana di permanenza, ho calcolato circa tre cambi d’abito al giorno, non si sa mai. Li ho sistemati tutti sul letto e, a giudicare dalla montagna che ho messo insieme, credo sarà un problema caricarli in macchina. La colpa non è solo mia, è il bagagliaio della nostra macchina a essere ridicolo.
E mentre penso a come sabotare la spider di famiglia, Giaco rientra a casa.
Metto la testa fuori dalla camera da letto e lo vedo sulla porta, cerco di decifrare la sua espressione, ma da qui, non si vede un bel niente.
Mi precipito da lui, gli salto al collo e lo abbraccio. «Come stai? Com’è andata?»
«È andata. Da oggi sono un freelance.»
Lance mi sfugge, ma free vuol dire libero — e questo mi basta.
«Raccontami.»
«Ho detto loro come la penso, lavorare in un’azienda senza avere nessuna gratificazione ed essere addirittura accusato del suo cattivo andamento è demotivante. Sono giovane e voglio trovare la mia strada. Ho un mese per restituire macchina e telefono, ma sono riuscito a strappare una buona liquidazione.»
«Come hai fatto?»
«Ho usato la mia lista: la lista dei clienti che abbiamo acquisito grazie a me in questi anni. Ho promesso di non contattarli con la mia nuova attività e loro hanno accettato.»
«Tuo padre che dice?»
«Credo si trovi tra due fuochi, ma era felice della mia decisione. Forse non vuole accettare la verità, ma ora che me ne sono andato sarà costretto a essere più presente. La scoprirà da solo, vedrai. E quando succederà verrà a dirmi che avevo ragione e si sentirà meglio. È solo questione di tempo…»
«Sono fiera di te, amore mio. Hai fatto la cosa giusta.» «E io ti ringrazio di avermela suggerita.»
«Sai già cosa farai?»
«Ci sto pensando… ma dimmi: questa vacanza che hai
organizzato?»
«Non posso dirti niente, ma ti prometto che ti piacerà.»
«E chi paga?»
«Ci ho già pensato io.»
«Adesso sono seriamente preoccupato. Tu non hai risparmi.»
«Infatti, ho sacrificato il mio budget mensile per lo shopping e ti ho regalato la vacanza. A questo punto, se volessi ricambiare e darmi un bonus per lo shopping…»
«Ti ricordo che sono disoccupato…»
«Giusto.»

Nei giorni successivi, inizio ad avere qualche piccolo ripensamento sul nostro futuro: forse finiremo a vivere sotto un ponte e io dovrò partorire senza ostetrica e senza assistenze mediche. Quando sarà il momento di mettere alla luce nostro figlio, ci sarà solo Giaco insieme a un pentolone in cui sono stati messi a bollire un po’ di asciugamani. Saremo costretti a mendicare per mangiare e la colpa sarà solo mia per averlo convinto a lasciare il suo posto di lavoro a tempo indeterminato.
È la fine. Tutto quello che ci resta è questa vacanza.

Il giorno della partenza guardo la casa con aria malinconica. Questa potrebbe essere l’ultima estate che la saluto, l’anno prossimo l’avranno già pignorata a causa dei debiti accumulati. Scrollo la testa per non pensare che una tale sfiga possa davvero abbattersi sulla nostra stirpe, e salgo in macchina.
Giaco mi aspetta seduto al volante, con il viso paonazzo e la camicia intrisa di sudore.
«Cosa hai fatto?» gli chiedo stupita.
«Ho caricato le tue cose, amore. Ma quanto dura ’sta vacanza? Quindici anni?»
«Volevo essere sicura di prendere tutto l’indispensabile…»
«L’indispensabile? Tu hai preso pure l’impensabile: il bagagliaio sta per esplodere!»
«Ma non è colpa mia! È il bagagliaio che è ridicolo.»
«Lui? E la mole dei tuoi bagagli invece? A ogni modo, dove siamo diretti?»
«Andiamo in Campania!» gli comunico con un tono di evidente eccitazione.
«Ma come in campagna? Mi hai fatto prendere i costumi?»
«Giaco: nella regione Campania.»
«Ma ci vorranno dieci ore…» mormora. «Esagerato. Ce ne vorranno al massimo sei.»
Arriviamo dopo dieci ore e un quarto.
Il ritardo provocato dalle pause pipì e caffè sarebbe stato insignificante, ma quel brutto incidente sul rush finale, poco prima di uscire dalla Napoli-Salerno, ci ha dato il colpo di grazia. Tre ore di coda sotto il sole rovente e senza cambio automatico hanno messo a dura prova anche mio marito. Ma giunti davanti all’albergo, che ha una bellissima vista sul mare, il lungo viaggio sembra solo una fetta noiosa del passato.
Giaco scende dall’auto sfinito, ma allo stesso tempo pare soddisfatto della destinazione. Peccato per quella leggera tremarella alla gamba sinistra.
«Amore, stai tremando» dico preoccupata.
«È il freddo.»
«Giaco, non sto scherzando. Guarda il tuo piede sinistro.»
«Enrica, è la frizione… prova tu a stare tre ore in colonna e fare su è giù con il piedino!»
Sembra un tantino irritato, speriamo che questo posto sia divino o posso dimenticarmi la coppia con figli che
avevo immaginato. E mentre guardo il cielo in attesa che un angelo accorra in mio aiuto, dall’ascensore del parcheggio esce il facchino: Carmine, glielo leggo sul gilet.
«Buonasera, dotto’.»
«Buonasera a lei. Abbiamo una prenotazione a nome Alessi. Enrica Alessi» dico disinvolta.
«Prego, seguitemi, la signora Monica vi sta aspettando.»
Ci sta aspettando? Oddio, forse il pagamento con la carta non è andato a buon fine. Il saldo dell’estratto conto mentiva, e ora lei vuole i soldi che credevo di averle già dato.
Devo mantenere la calma.

 Estratto dal libro