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11 Gen

Ricordati di me — e non è il film con Laura Morante

enrica alessi storie di ordinaria follia
enrica alessi storie di ordinaria follia
 
E

mma lo sa già e con Carola siamo agli sgoccioli. Sarà questa la sua ultima letterina a Babbo Natale? Sarà l’ultima vigilia in cui preparerà latte, biscotti e carote per lui e per le renne? Sarà l’ultimo anno in cui correrà a svegliarci per dirci che è arrivato e che le ha portato i regali? Non so se sono pronta a separarmi da tutto questo, ma d’altro canto, mi rendo conto che undici anni sono undici anni: dovrei dirle la verità? Cerco di capirlo.
Sono gli inizi di dicembre, siamo tutti a tavola e stiamo cenando, quando con nonchalance le chiedo:
“Hai scritto la letterina a Babbo Natale?”
Questo dovrebbe farmi capire se ci crede ancora oppure no, ma Emma si mette a ridere e seppure la fulmini con lo sguardo, Carola la anticipa.
“Lo so che tu non ci credi più…”
“Io non ho detto niente.” dice lei alzando le braccia per scagionarsi.
“E i tuoi compagni di classe, che dicono?” continuo io cercando di tastare il terreno.
“Qualcuno ci crede, qualcun altro no.”
“E tu amore? Ci credi?” interviene Giaco, che come me ha il terrore di dire addio allo status di genitore con figli che credono ancora a Babbo Natale.
“Io ci credo: la mamma mi ha detto che esiste e io le credo.”
La sua affermazione se da una parte mi rallegra perché continuo a essere quella che in famiglia tiene accesi i sogni, dall’altra mi spaventa. Quando lo verrà a sapere, potrà rimproverarmi di averle mentito? Ma il senso di colpa mi abbandona un secondo più tardi: ogni mamma al posto mio, arrivata a questo punto dei giochi, si comporterebbe allo stesso modo, quindi, porto avanti la mia versione.
“Carrie… Babbo Natale è un po’ come Gesù, anche se nessuno lo ha mai visto, non significa che non esista.”
Lo dico con un tono così convincente, che anche i miei dubbi da adulta svaniscono.
Mica gli avrebbero dedicato tanti film se non ci fosse una base di verità, mi spiego?
“E tu papà? Cosa hai chiesto a Babbo Natale?” chiedo a Giaco cercando la sua complicità.
“Un pacchetto da 100 ore di sonno e un corso da dj e tu mamma?”
“Una Chanel 19.” rispondo prontamente.
“Ma con il trasloco e l’arredamento, non credo che te la porterà.” si affretta ad aggiungere lui.
“Anche Babbo Natale ha traslocato? Non sta più al Polo Nord?” chiede Carola meravigliata.
“Si è solo trasferito in una casa più grande.” concludo io rassicurante.
Chiuderei il discorso: siamo andati bene fino a ora, eviterei di rovinare il finale.
E se in casa c’è qualcuno che riesce ancora a farci sentire una giovane coppia di genitori dalle larghe vedute e con un briciolo di indipendenza, l’adolescenza di Emma ci mette di fronte all’evidenza che non è proprio così.
Ho testimonianze di genitori che sono sopravvissuti ai primi mesi di vita del figlio, alle notti in bianco, ai quintali di pannolini, allo svezzamento e anche alla prima gita a Gardaland, ma quando arriva il momento della discoteca, non c’è niente che tu possa fare: devi accettare la realtà che si riassume in tre punti:
1. Stai invecchiando
2. Sei al completo servizio di tuo figlio — perché oggi chi va dallo psicologo ci va perché ha avuto problemi adolescenziali che tu saggiamente vorresti prevenire
3. La tua individualità e i tuoi interessi vanno a farsi benedire — peccato che nel mio libro predichi ai genitori di lottare per mantenerli, ma questi sono dettagli.
Ma è anche vero che per qualche strana coincidenza, può succedere che Emma sia al cinema con le sue amiche e Carola dalla nonna, e a quel punto ti senti adolescente anche tu, perché con una casa libera, rivestire il ruolo di figlio o il ruolo di genitore non ha più importanza.
“Giaco oggi pomeriggio potremmo essere a casa da soli.” annuncio al telefono, faticando io stessa a credere alle mie parole.
“E saresti libera?”
“Stavo uscendo per finire di comprare i regali di Natale, ma alle cinque potrei esserlo…”
“A che ora tornano le bimbe?”
“Vado a prenderle alle sette.”
“Ti aspetto a casa alle cinque.” conclude in tono passionale lasciando presagire un pomeriggio di fuoco e fiamme.
Mi vesto: un paio di jeans skinny, un maglione di Missoni comprato dalle Rossetti una vita fa e un cappotto glitterato rosa che è arrivato con il corriere di Zara due giorni prima, un paio di sneakers e una borsa di Chanel, chiavi in mano — dentro non ci stavano.
Vado in centro, finisco di comprare i regali, li carico in macchina e metto in moto. Durante il tragitto verso casa, sono in fermento come Fantozzi davanti alla partita di calcio con la frittata di cipolle sulle ginocchia. Magari lascio stare il tutto libero, ma di fatto: sono tutta un bollore.
La macchina di Giaco è già in cortile, parcheggio la mia in garage ed entro in casa: che strano silenzio, penso, non ci sono abituata.
Salgo le scale lentamente per raggiungere la camera da letto, apro la porta e Giaco cosa sta facendo? Dorme.
Mi pare evidente che Babbo Natale gli abbia già consegnato il suo primo regalo: il pacchetto da 100 ore di sonno, ma almeno non russa.

 

Illustrazione: Valeria Terranova