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27 Apr

Match point… e non è il film di Woody Allen

enrica alessi storie di ordinaria follia
enrica alessi storie di ordinaria follia
  
I
n casa abbiamo due tennisti: Emma e Giaco. Anche Carola ci ha giocato per un po’, io sono la sola a non essere capace di tenere in mano una racchetta, ma ciò non significa che non mi appassioni.
Ho sempre tifato per Nadal: è figo, ha i tic scaramantici e quando tira la palla ha un gemito. Ci mette l’anima.
Lo avevo visto giocare dal vivo quando Borsalino, qualche anno fa, mi chiese di collaborare, designandomi come inviata speciale per gli Internazionali di Roma: mi innamorai.
Ma torniamo ai tennisti di casa, che, sei mesi fa, hanno proposto a me e a Carola di trascorrere le vacanze di Pasqua sui campi: abbiamo accettato.
La cosa che mi affascina del tennis è il tifo. La fede calcistica, per esempio, è legata a una squadra, nessuno cambia idea. Mai, anche se al novantesimo minuto sta perdendo rovinosamente.
Nel tennis, invece, in un attimo tutto può cambiare, perché il tifo è per il gioco.
Non si applaude su un errore di un giocatore, anche se l’altro guadagna il punto, e nonostante la preferenza, se uno dei due mette a segno un bel colpo, merita tutto l’applauso del pubblico.
È un tifo elegante, composto, ragionato.
Quasi sempre. Non per noi.
In famiglia siamo dei casinari. Noi gridiamo, incitiamo, battiamo i piedi insieme al resto della tifoseria. Siamo veraci e felici di esserlo. Noi siamo quelli che le emozioni le vivono fino in fondo, che non si risparmiano.
E poi la vita è un film e anche questa avventura può essere suddivisa in tempi. O forse, sarebbe meglio dire in set.
Primo set.
Fognini massacra Zverev, l’idolo delle bimbe, loro non la prendono benissimo. Ma il giorno dopo si presentano sui campi belle cariche, pronte ad assistere a due partite importanti, la prima con Djokovic, la seconda con Nadal.
A metà della prima, vorrei chiamare un’ambulanza: mi sento mancare. Il sole mi sta disidratando, ma invece di sentire l’esigenza di bere, mi assale una voglia pazzesca di insalata russa — possibilmente spalmata su tre strati di tramezzino. E seppure il panino rimarrà solo un miraggio, quando Nadal arriva in campo, mi sento decisamente meglio. Mi concentro su di lui, sui suoi tic, sul suo viso serio e concentrato e sullo sfogo che trasmette la sua voce ogni volta che colpisce la palla. Ora ci sono.
Dopo un’ora, sto dormendo come Homer Simpson. A svegliarmi sono le vocine divertite delle bimbe che dicono a papà: “guarda, la mamma si è addormentata.”
Oh cavolo: proprio mentre giocava Nadal?
Il pensiero del panino alla salsa mi fa riprendere del tutto, mi concentro su ciò che resta della partita: allora, dove siamo rimasti? Nadal sta vincendo, ma anche l’altro è bravo. Come si chiama? Leggo il nome sul tabellone: Pella.
L’adrenalina ha ripreso a circolarmi nelle vene, vorrei che lo scambio di colpi non finisse mai ed è in quel momento che mi metto a tifare per lui, ma purtroppo qualcuno deve perdere. Vince Nadal, che domani incontrerà Fognini.
Secondo Set.
Nadal contro Fognini.
Oggi ho deciso di abbandonare l’idea del panino con la salsa russa, è una partita importante, voglio rimanere lucida.
La nostra tifoseria è nettamente schierata: Giaco è per Fognini, io per Nadal. Le bimbe non dimenticano che è stato proprio Fognini a buttare fuori dal torneo il loro angelo biondo e piuttosto che tifare per lui, preferirebbero spararsi su un piede. Incitano Nadal con frasi tipo: ‘Vamos Rafa!’
Ma Fognini vince il primo set e a quel punto, un po’ perché vedono il papà esultare e un po’ perché realizzano di possedere un lato patriottico che non immaginavano, cambiano idea. Rimangono sedute in silenzio a guardare il gioco e per la prima volta, assisto al tifo elegante, composto e ragionato che da sempre distingue il tennis.
“Ma sì dai, è bravo e poi è anche italiano.” sussurrano.
Poi si mettono a incitarlo, chiamano il suo nome, applaudono. Solo io resto con Nadal fino alla fine, che però perde.
Il bisogno di una coccola mi assale: immagino una bella pizza fumante mentre lo vedo allontanarsi, pensando che Nadal sarà sempre Nadal. Ma quando i miei occhi tornano sul campo, mi accorgo che Giaco e le bimbe sono corsi giù dalle gradinate per raggiungere Fognini e farsi firmare una palla.
Non sembra che faccia autografi, ma lancia le sue cose: una sorta di spogliarello sportivo. Prima la fascia, poi l’asciugamano e infine i polsini.
Giaco lo chiama dieci volte, lui lo guarda con un’espressione traducibile in: ‘guarda che ho capito’. Lancia il polsino, ma se lo becca il tipo accanto a lui. Decido di intervenire, mi precipito giù anch’io per fargli sentire le mie ragioni: era mio marito quello che urlava come un disperato,
non puoi rubare il polsino a mia figlia. Ma Fabio lancia anche il secondo e indica Carola: lei torna da me sorridendo, tenendo in mano il suo piccolo trofeo.
Terzo set.
Il polsino di Fognini ha dato modo alle bambine di litigare ininterrottamente per almeno due ore.
“Lo farai lavare alla mamma, vero?”
“Dici così solo perché non lo ha dato a te, io lo voglio tenere con il suo sudore.”
“E comunque hai smesso di giocare a tennis, sarebbe carino se lo regalassi a me, non ti serve…”
“Il polsino è mio. Smettila.”
E confortata dall’idea che prima o poi riuscirò a farmi un camion di panini alla salsa, anche io passo il turno e arrivo al giorno della finale.
Siamo tutti per Fognini. Carola fallisce nell’impresa di preparare un cartellone ricavato da due figli di A4 tenuti insieme con lo scotch, ma promette di farsi perdonare con un tifo speciale.
Tutto il pubblico è per Fabio, riesce pure ad esibirsi in una spaccata per prendere una palla, mio marito esulta e le telecamere lo inquadrano: è in diretta mondiale.
Il lieto fine che speravamo, arriva alla conclusione del secondo set: Fognini vince, e prima della premiazione ufficiale, non dimentica lo spogliarello sportivo.
Ho ancora una possibilità, mi dico deglutendo e rimboccandomi le maniche per migliorare la presa. Se riesco ad avere un secondo polsino, le bimbe non litigheranno più.
Lo lancia, lo vedo roteare sulla testa delle persone che mi stanno davanti, viene verso di me: posso prenderlo. Mi tuffo, ma un tizio arriva prima di me.
“Enri! Ti sei fatta male?” mi chiede Giaco preoccupato.
“Guarda che da quando faccio yoga sono molto più snodata.”
 Illustrazione: Valeria Terranova