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23 Gen

La donna rodeo

not for fashion victim enrica alessi

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D

evo chiamare Cassandra.
Cerco il suo numero in rubrica e lì, mentre penso al dress-code, mi ricordo dell’altro, quello più importante, quello del suo addio al nubilato. Un momento, che fine ha fatto Jerôme? Gli ho scritto prima di Natale per ringraziarlo del libro che ci ha spedito, ma non ha mai risposto. Come posso essermene dimenticata?
Sarà stata la gravidanza di Lolita, il trasloco di Cassandra o è solo perché Cristina ha smesso di farmi pressioni?
Non avrei mai pensato di dire una cosa come questa, ma la vecchia Britney mi manca.
Tengo il telefono tra le mani con aria dubbiosa: ora o mai più.
Meglio ora.

“Caro Jerôme, come stai?
Spero che tu abbia letto il messaggio in cui ti ringraziavo per il libro che mi hai spedito. Cassandra era molto felice.
Come hai passato il Natale?
La data della festa si avvicina, manca meno di un mese e non vedo l’ora di conoscerti.
A presto
Melissa”

E ora vado a meta: chiamo Cassandra, speriamo che i suoi ormoni siano di buon umore.
Il telefono squilla e mi viene un’idea. Conosco il mio pollo e so che lavora meglio sotto stress. Se mi limitassi a chiederle un semplice consiglio, non si impegnerebbe, ma se invece sembrassi disperata, allora sì che costruirebbe la
‘mise genitori’ più adeguata.
“Ciao…” mormoro.
“Melissa che c’è?”
Non rispondo. Fingo di soffocare un singhiozzo e lei si allarma.
“Tutto bene?”
“Sì…”
“Non sarà perché ti manco?”
“Sì…” dico di nuovo a fil di voce.
“Cosa posso fare tesoro? Dimmelo.”
Adoro quando esce il suo istinto materno.
“Stasera sono a cena da Luca, conoscerò i suoi genitori e mi serve una mise adeguata per fare una buona impressione. Puoi aiutarmi?”
“Te la sei preparata questa telefonata, vero?”
“Ovvio.”
“Sei diabolica.”
“Disperata, ti correggo.”
“Quindi siamo già arrivati alla presentazione ufficiale dei genitori?”
“So che stai per aggiungere un ‘haha’, ma preferisco considerarlo un appuntamento informale…”
“Oh, non dire sciocchezze, non saresti qui a chiedermi aiuto, se non avessi preso questa storia sul serio.”
“Vedi, non è proprio così: colpa e merito sono soltanto tuoi. Sei stata tu a insistere dicendo che le persone ti giudicano per il tuo aspetto, che è necessario fare una buona impressione, e poi lo sanno tutti che le madri dei fidanzati difficilmente concedono una seconda occasione.
Serve un ‘buona la prima’. Puoi farcela?”
“Certo che posso farcela: è con me che stai parlando.”
Mi piace quando si sente onnipotente.
“Sai che genere sia la madre di Luca?”
“Se sto per conoscerla, come posso saperlo?”
“Luca non ti ha mai parlato di lei?”
“Senti Cassandra: lo vedo pochissimo, se quando succede mi parlasse di sua madre, sarebbe un problema, non trovi?”
“Okay, fammici pensare.”
“Credo che dovremmo scegliere qualcosa di semplice per andare sul sicuro.” suggerisco.
“Ma è la madre di un cowboy…”
“Sì è vero. Ma non viviamo in Texas, quindi, se stai pensando a una cosa tipo Sue Elen di Dallas, meglio lasciar perdere: faccio da sola.”
La mia presa di posizione deve averla infastidita: la sento sbuffare.
“Senti, qui l’esperta sono io e avrai il look più adeguato della storia.”
“Okay, mi arrendo. Alle sei sono da te.”

Guardo l’orologio: devo andare e devo fare in modo che nessuno si accorga che sto per andarmene: è questa la parte più difficile. Quando un medico finisce il proprio turno, per qualche strana ragione, sembra che i colleghi non possano continuare se te ne vai. Aspettano il momento della fuga per chiederti un parere e non lo fanno perché gli serve davvero, ma solo per il gusto di ritardare la tua uscita, e oggi non posso permettermelo: ho troppe cose da fare.
Infilo la giacca, prendo la borsa e tengo il cappuccio sulla testa per non farmi riconoscere. Apro la porta lentamente, uno sguardo a destra, uno a sinistra: il corridoio è libero. Mi sposto in punta di piedi e mi dirigo verso le porte scorrevoli che vedo in lontananza, e immagino il momento in cui si apriranno per farmi uscire da qui.
Si parla di secondi: quattro, tre, due.
“Melissa te ne vai?”
Mi volto e vedo Giulio dietro di me.
“Sì, devo scappare, ho una serata importante.”
“E non mi dici niente?”
“Giulio: domani avrai un resoconto dettagliato, ma adesso devo muovermi…”
Le porte si aprono e io sono invasa da un terribile senso di colpa. Faccio un passo indietro, le porte si richiudono e mi volto di nuovo verso Giulio che, come immaginavo, è rimasto in piedi ad aspettarmi con un’espressione delusa.
Si distende appena mi vede raggiungerlo.
“Quindi? Che fai stasera?” bisbiglia.
“Luca mi ha invitato a cena e vuole presentarmi i suoi genitori.”
“Haha. Allora è proprio una cosa seria.”
“Non ti ci mettere anche tu, sono già abbastanza agitata.”
“Hai già deciso cosa metterti?”
“No, stavo giusto andando da Cassandra per farmi dare una mano.”
“Metti un abito di Enrico.” suggerisce.
“Non ci avevo pensato. Ho il suo vestito blu: classico, elegante… sarebbe perfetto, e a proposito: come va tra voi?”
“Direi bene.” dice arrossendo.
E mentre sto per congratularmi per la sua nuova love story, sento dei passi lungo il corridoio, gli do un bacio e fuggo via.

Sono in macchina, controllo l’ora sul display e realizzo che ho solo trentacinque minuti per scegliere cosa indosserò: speriamo che la selezione di Cassandra non preveda trenta cambi. Devo passare da casa, portare fuori Max, fare la doccia e conciarmi per le feste. E mentre penso alla frenesia che accompagnerà ogni singolo momento di questa serata, inizio a credere che dovrei smettere di agitarmi.
Sì insomma, i genitori sono solo una piccola parentesi nella vita di coppia, e i suoi non saranno molto diversi da lui.
E allora perché sento il cuore battere a mille?
Arrivo da Cassandra, dopo sette minuti, suono il campanello e lei mi fa entrare.
Mi piace la sua nuova casa, anche il divano, che alla fine ha scelto di tenere, ma è la cucina il suo regno. Un vero concentrato di design e avanguardia racchiuso in venti metri quadrati: le piace stare comoda. L’appartamento è su un piano soltanto e vicino alla stanza della bambina, che ancora non sappiamo come si chiamerà, sorge la sua cabina armadio.
Mi fa accomodare e lì, su due piedi, mi viene da chiedermi come abbia potuto stipare una quantità così esagerata di vestiti nella sua vecchia stanza.
Cassandra mi indica uno stender dove sono stati appesi i tre look papabili della serata. Mi sento come Coco Chanel: anche lei doveva essere eccitata, quando le proposero le fragranze tra cui avrebbe scelto il suo profumo. Peccato che le mie sembrino decisamente cariche.
“Che ne pensi?” mi chiede entusiasta.
Appunto. Che ne penso?
“Vuoi spiegarmele? Ti va?”
Cassandra non sembrava aspettare altro, la vedo avvicinarsi decisa ai tre appendiabiti, si schiarisce la voce e attacca a parlare.
“Allora, faccio una premessa…”
Perché sto già tremando?
“Siccome non avevamo nessuna informazione su questa donna misteriosa, ho lavorato di fantasia: ho immaginato una donna sportiva, dallo stile country. Ho evitato marchi prettamente eleganti come Saint Laurent, Valentino, per non parlare di Givenchy.”
Mi rallegro: ne conosco uno su tre, ma solo perché ho rovinato un cappotto che porta il suo nome. Quindi?
“Ho preferito concentrarmi su Dsquared: lui sì che è sensibile alle tematiche country.”
Se lo dice lei.
A me sembrano costumi di carnevale pescati alla sezione cow-girl, ma potrei sbagliarmi.
Cassandra inizia dal primo sulla destra:
camicia scozzese, gilet di renna, jeans skinny e camperos borchiato.
“Che te ne pare?” chiede eccitata.
Io non ci vado vestita così.
“Be’ il camperos, il gilet di renna… non saranno troppo informali per una serata… formale?”
“Mi hai detto tu che non volevi una cosa formale.” ribatte agguerrita.
“Avevo anche detto che qualcosa di sobrio sarebbe stato perfetto, questa parte ti è sfuggita mia cara?”
“Possiamo togliere il camperos…”
“L’altra?”
“Questa. Questa la adoro!” dice afferrando il secondo appendiabiti. “Camicia di velluto con frange, mini gonna con inserti in pelle invecchiata, cintura borchiata e stivale con speroni, non è deliziosa?”
La faccenda è più seria del previsto. Questa non ha capito cosa mi serve, e quel che è peggio, è così sicura che sia di mio gusto, che diventa difficile farle capire che siamo lontane anni luce da ciò che avevo in mente. Era meglio lasciare aperta la porta di Sue Elen, ma ho paura che sia troppo tardi.
Le suddette considerazioni devono essersi materializzate sul mio viso, Cassandra capisce subito che è meglio passare alla terza e ultima proposta.
“Melissa: questa è la mia preferita. So che piangerai, appena te l’avrò mostrata.”
Credo anch’io.
“Camicetta di jeans con inserti in pelle.”
Ancora con sti’ inserti in pelle?
“Cintura alta color cuoio e dadadadan: una gonna poncho in stile messicano!”
Questo è troppo.
“Tesoro, una domanda a bruciapelo: a quanti rodeo hai partecipato per mettere insieme questo arsenale?”
“Prodigioso eh?” dice soddisfatta. “Ci ho messo qualche anno, ma ne vado così fiera…”
“Non ne dubito. Ma io non devo andare a un rodeo!”
Ecco l’ho detto.
Ma quello che voleva essere un time-out viene male interpretato: Cassandra lo traduce nell’esatto contrario.
“Appunto! Cerca di essere estrosa!”
Alza addirittura le mani al cielo: è fuori controllo.
“Stiamo parlando di una gonna poncho di Dsquared!”
“Questo lo hai già detto.”
“Una gonna che Dean e Dan hanno creato immaginando una donna decisa.”
“Senti: Din Don Dan l’avranno anche pensata per una donna decisa, ma io volevo una cosa alla Sue Elen: semplice, pulita.”
“Per esempio?”
“Un paio di pantaloni neri a vita alta, una camicia color crema, una cintura sottile.
A voler esagerare uno stivaletto grintoso, ma niente di più. Io sono io.”
“Sicura?”
E mentre immagino un abbraccio e una frase del tipo: ‘sono fiera di te’, lei scoppia a piangere.
Dannati ormoni: sono quasi le sette, è tardi.
“Che c’è adesso?” chiedo esasperata.
“Mi piace un sacco quella gonna, ti ci vedevo benissimo vestita così, almeno provala!”
“Ma non è proprio il mio genere.”
“Non puoi accontentarmi? Ti prego!”
“Non posso rinnegare me stessa.” ribatto.
Cassandra stava solo fingendo di piangere: stringe gli occhi per guardarmi meglio, arriccia la bocca e fa uno strano sorrisetto.
“Nemmeno se do il tuo nome a mia figlia?”
“Stai dicendo che se mi metto questa gonna stasera, tu chiamerai la tua creatura Melissa per tutta la vita?”
“Sì, esattamente.”
“Affare fatto. Lo metti per iscritto però, adesso.”
“E tu mi mandi la foto da casa di Luca: vestita così.” dice indicando lo stender.
“Doveva piacerti proprio tanto quella gonna…” dico divertita.
“Vedi… quella gonna ha una storia. L’ho comprata tre anni fa, stavo attraversando un periodo di crisi…”
Di crisi? No. Non lo voglio sapere.
“Cassandra, è tardi, la storia me la racconti un’altra volta: devo andare.”
Afferro l’appendiabiti e mi accorgo della sola cosa che mi piace nel mucchio.
“Quelli cosa sono?” le chiedo.
“Gli stivali da cavallerizza che avevo pensato per questa gonna. Ma non sei obbligata a metterli.”
Li guardo: sono senza speroni, senza tacco, senza borchie e hanno una linea elegante. Questi mi salveranno.
Io e Cassandra facciamo un breve accordo scritto, giusto per mantenere la parola data, le do un bacio e torno da Max.

Io e Max siamo usciti per una mini passeggiata, i miei sensi di colpa ci hanno seguito. Ora che Cassandra se n’è andata, ci sono soltanto io, che esco la mattina e torno la sera. Vorrei trascorrere più tempo con lui, so che si sente solo, ma i miei impegni me lo impediscono. Devo assolutamente farmi perdonare, domani chiamerò il dottore e gli chiederò di tenere Lolita per un paio di giorni: questo lo renderà felice.
Rientriamo in casa e corro a prepararmi.

Da quando ho riscoperto il piacere del sesso, faccio più attenzione alla cura del corpo: uso l’esfoliante una volta a settimana, mi depilo e passo la crema idratante dopo la doccia: avevo perso queste buone abitudini.
Mi asciugo i capelli, mi trucco e mi restano sì e no venti minuti per prepararmi.
Entro in camera come un pistolero entrerebbe in un saloon, pronta ad affrontare il mio nemico. Ed eccolo lì, steso sul letto: il look con cui ho barattato la mia dignità, in cambio di un nome di battesimo. Chiunque al posto mio avrebbe fatto lo stesso.
Inizio dalla camicia, la infilo e tengo slacciati i primi due bottoni per non soffocare. Mi guardo allo specchio: quei due piccoli inserti in pelle sulle spalle urtano la mia sensibilità.
Infilo i collant e infine lei: la gonna poncho.
È un po’ larga in vita, ma Cassandra non mi avrebbe dato la cintura, se non lo avesse saputo. La stringo, la chiudo e mi guardo di nuovo. La gonna messicana è più corta sul davanti e dietro ha una piccola coda, ci manca solo un sombrero e… — pensa alla bambina, pensa alla bambina… — tutto sommato l’insieme ha un suo perché.
Infilo gli stivali che mi salveranno, ma non bastano, ci vuole qualcosa per nascondere tutto. Questo cappotto nero andrà benissimo.
Scendo le scale, abbraccio forte Max ed esco di casa.

Durante il tragitto ho pensato a mille cose. Ma adesso non me ne viene neanche una: sono troppo agitata.
Attraverso il piccolo ponte che mi conduce alla cascina e sento il cuore fare leva sull’ugola. Il cancello si apre e la mia auto sembra entrare in punta di piedi.
Parcheggio, scendo e recupero la bottiglia di vino che ho riposto nel baule.
Quella che mi ha dato Cassandra, immaginando una cena a base di carne: un buon Chianti.
Mi dirigo verso la porta, lei si apre e Luca mi accoglie.
Non me lo ricordavo così bello: si è fatto la barba, ma ha sempre quell’aria da cowboy.
“Ciao.” dico porgendogli la bottiglia.
Lui la afferra, poi afferra me e mi bacia.
Prevedo una mezzanotte e mezzo di fuoco.
Luca mi fa entrare, lo seguo lungo il corridoio che conduce nel salone e mi sento arrossire.
Sto per incontrare i suoi genitori e io a cosa penso? Al salone.
Sì, al salone in cui sono stata tre sera fa. Al caminetto accesso, allo scoppiettio del fuoco, al profumo delle castagne. E alla luce dorata che illumina le lenzuola dentro cui siamo avvolti. Ho le vampate.
Il sogno a occhi aperti si interrompe, quando mi trovo di fronte a una coppia di signori che sta seduta sul divano.
Si alzano e vengono verso di me.
Luca si libera della bottiglia e ci raggiunge: “Melissa, questi sono i miei genitori: Mila e Achille.”
Porgo la mano, prima alla signora, poi al prode Achille e mi sento morire.
Se è vero che chi non si conosce si giudica dal suo aspetto, io sono fritta.
Lui è il sosia di Liam Neeson in Schindler’s list, lei quello di Diane Lane nell’Amore Infedele. Una chiccheria assoluta.
Io sono uno dei mariachi dello Spaccacuori.
“Vuoi darmi il cappotto?” mi chiede Luca.
E far vedere a tutti come sono vestita?
“No, grazie, preferisco tenerlo ancora un momento…”
Ma fino a quando?

TRENTATREESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova