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17 Ott

Cos’è un dress code?

Not For Fashion Victim Enrica Alessi scrittrice

Not For Fashion Victim Enrica Alessi scrittrice

C

 

assandra continua a pendere dalle mie labbra, il dottore, invece, ha la faccia di chi è appena stato rapito dagli alieni: è così frastornato da non riuscire a capire se ciò che sta vivendo sia finzione o realtà.
Suggerisco di sfruttare il suo stato confusionale e inventare qualcosa che possa convincerlo che è stato solo un brutto sogno. Non sarà facile, ma devo tirarmi fuori da qui, e alla svelta: Max mi sta aspettando.
Guardo Cassandra, è ora di filarsela: mi fa un cenno d’intesa con il capo e afferra le giacche che sono sulla sedia.
Mi volto verso il dottore e ha sempre la stessa espressione: quella di chi non ha capito.
“Dottore, visto che le mie costole stanno bene, ci vediamo la prossima settimana…”
“Melissa…”
“Sìììì…” dico mentre afferro la maniglia.
“Spero di aver capito male, ma lei mi ha appena accusato di essere un rapitore di cani…”
“Sì: deve aver capito male, arrivederci.”
Apro la porta, ma prima che possa varcare la soglia, lui mi richiama.
“Potrei denunciarla.”
Ci sono quei film in cui i protagonisti sono così temerari da non aver paura di nulla.
Attori che di fronte a una simile minaccia, si metterebbero a ridere, ma io me la sto facendo sotto dalla paura.
“No la prego non lo faccia.”
Vedo già la scena della polizia che mi ammanetta per condurmi in carcere.
Vedo anche quella successiva, dove continuo a gridare di essere innocente, che non mi importa nulla della facoltà di non rispondere e anche se tutto ciò che dirò potrà essere usato contro di me in tribunale, devo dire a Cassandra di avere cura di Max.
Ma mentre le mie proiezioni future si concludono, nel presente, è proprio Cassandra a prendere la parola.
“Dottore mi ascolti, la mia amica non voleva offenderla, era sotto shock per aver smarrito il suo cane…”
“Mi ha accusato gratuitamente e meriterebbe la mia comprensione?” la interrompe il dottore.
Vorrei aggiungere che dovrebbe sentirsi onorato di essere stato preso in causa, vista e considerata l’importanza di Max nella mia vita, ma preferisco tacere e lasciare continuare la mia amica.
“Max non è solo il suo cane: è un amico, un confidente, una zampa su cui piangere… ha idea di come ci si possa sentire di fronte alla possibilità di perdere una presenza così importante? Lei non ce l’ha un cuore?”
Il finale della sua arringa mi lascia a bocca aperta.
E nonostante il dottore continui ad avere un’espressione confusa, che si traduce in: ‘le pazze ora sono due’, sembra che le parole di Cassandra lo abbiano toccato.
“Certo che ho un cuore, ma ho anche un amor proprio e qualcuno lo ha appena calpestato.” ribatte contrariato.
A questo punto, solo le mie scuse formali possono evitarmi la galera.
“Mi dispiace per aver detto ciò che ho detto: sono sincera, ma ero disperata e mi sono lasciata prendere dalle emozioni, che per definizione non sono razionali…”
Il dottore mi guarda, incrocia le braccia e sembra curioso di sapere come continua.
“Ho sospettato di lei perché anche lei ha un cane — della stessa razza di Max — e ho immaginato volesse servirsene per…”
Vorrei lasciare la conclusione a sua completa discrezione, ma la versione dei fatti, per quanto labile e assurda, è la mia:
“… per avere dei cuccioli.” mormoro.
Chiudo gli occhi, non ho il coraggio di vedere la sua reazione. Ma lui scoppia a ridere, cogliendomi di sorpresa.
“Cara Melissa, definire fervida la sua immaginazione sembra riduttivo. E mi dica un po’: con i cuccioli avrei anche dovuto farmi una pelliccia?”
Quasi mi dispiaccio per non essere andata oltre, per non aver pensato alla versione maschile e oversize di Crudelia Demon, ma in effetti, con quel girovita, una sola cucciolata non sarebbe bastata.
“Era un tentativo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per ritrovare Max…” interviene Cassandra.
Il dottore fa un sospiro, si asciuga le lacrime che ha provocato la sua risata e apre le braccia in segno di resa.
“Fuori di qui… non vi sta aspettando?”
Non me lo faccio ripetere due volte, lo salutiamo e usciamo di corsa.
“Ho paura a chiedertelo, ma devo sapere quanto sei fuori di testa: avevi pensato anche alla pelliccia?” chiede Cassandra attraversando il corridoio per raggiungere l’uscita.
“No… a quella non ci ero arrivata… vedi che è uno spostato? Lo dicevo che…”
“Smettila!” mi interrompe. “Hai appena rischiato una denuncia, tieni a bada le tue paranoie e andiamo da Max.”
Stavolta ha ragione.

Si è fatto buio, il freddo comincia a farsi sentire e la luce pallida dei lampioni mette voglia di casa. L’indirizzo che ho inserito sul navigatore ci ha condotto in una zona di periferia: nessuna abitazione, solo qualche stabilimento.
“Come ha fatto a cacciarsi qui?” chiedo basita.
Ma nemmeno Cassandra sa rispondermi: si guarda intorno spaesata.
“Sei sicura di aver scritto bene l’indirizzo?”
“Certo che sono sicura, l’ho addirittura imparato a memoria per paura di perderlo. Non lo faccio neanche con il pin del bancomat.” rispondo decisa.
Le indicazioni dicono di girare a destra, su un lungo viale illuminato, il civico è al quattordici: sulla sinistra.
L’auto si ferma davanti a un grande edificio con la facciata in vetro, sull’insegna c’è scritto Mary Rose e non ho idea di cosa possa essere.
Scendo dalla macchina emozionata, il cuore mi sta uscendo dal petto, muoio dalla voglia di riabbracciare Max.
Cassandra mi raggiunge davanti al campanello, spingo il pulsante luminoso e la telecamera si accende.
“Sì…”
La voce è quella di una donna.
“Sono Melissa Bigi, sono venuta a prendere Max.”
Il cancello si apre, anche la porta d’ingresso si apre: Max esce di corsa e si fionda su di me.
Tengo il braccio sinistro sulle costole per proteggerle, l’altro intorno alla sua schiena per stringerlo a me.
“Amore mio! Dove sei stato?”
Anche Cassandra si ripara il ventre cercando di avvicinare Max senza farsi travolgere.
“Tesoro! Come stai?” chiede premurosa.
E mentre realizzo che Max è davvero davanti ai miei occhi, sano e salvo, scorgo la sagoma di un uomo, che rimane immobile sulla porta.
Mi fermo a guardarlo e nonostante non ne abbia la certezza, so che è stato lui a chiamarmi. Non ho nemmeno avuto modo e tempo di farmi un’idea riguardo al suo aspetto, eppure credo che il mio inconscio lo immaginasse così come lo vedo: giovane, bello, alto, con i capelli scuri.
“Enrico?” chiedo avvicinandomi a lui.
“In persona, piacere.”
La sua stretta di mano è decisa, sicura.
“Non so davvero come ringraziarti…” dico sull’orlo di un pianto di gioia.
Anche lui sembra commosso, scosta gli occhi da me per spostarli su Max, che si sta facendo coccolare da Cassandra.
“Non ringraziarmi, non ho fatto niente…”
Il suo accento è diverso dal mio, non deve essere di queste parti.
“Come lo hai trovato?” gli chiedo curiosa.
“È arrivato oggi pomeriggio. Ero qui fuori a telefonare e l’ho visto passare. Piagnucolava, sembrava essersi perso, ho cercato di avvicinarlo e lui ha collaborato.
Gli ho dato da bere e ho letto il nome sulla medaglietta, il tuo numero di telefono… ed eccoci qui.”
Sono assolutamente certa che non sia di queste parti parti: ha un accento veneto. E se non fosse per la pessima figura che ho appena fatto con il dottore, tempesterei di domande anche lui per saperne di più.
“Non so proprio come abbia fatto a raggiungere un posto così lontano da casa.” mormoro scuotendo la testa. “Ma grazie per esserti preso cura di lui, per averlo ritrovato: Max è tutto per me.”
Lo dico arrossendo, cercano di trattenere l’emozione che rischia di farmi piangere.
“Lo vedo che tieni tanto a lui.” dice sorridendo. “Vivo a Venezia, ma vengo qui ogni tanto perché lavoro con questo laboratorio che produce per me alcuni capi di maglieria…”
“Sei uno stilista?” interviene Cassandra.
La sua deformazione professionale cade a fagiolo.
“Sì sono uno stilista.”
Alla parola ‘stilista’ comincio a sentirmi male. Per la giornata che ho trascorso, la mia mise deludente meriterebbe comunque un applauso, ma mi sento un po’ in soggezione.
Cassandra inizia a fargli domande, io preferisco dileguarmi e tornare da Max.
Prendo il suo musino tra le mani, lo guardo negli occhi e ancora non riesco a credere alla fine di questo incubo che sembra essere durato un’eternità.
Enrico e Cassandra continuano a chiacchierare: è bello vedere due persone che parlano la stessa lingua, gli argomenti sono tecnici, la terminologia è specifica, io capisco poco e niente: voglio solo tornare a casa con Max.
E su quella felice constatazione, Enrico interrompe la sua conversazione con lei e si rivolge a me:
“Volete entrare? Posso offrirvi qualcosa?”
Cassandra sembra ben disposta ad accettare, ma io preferisco declinare l’invito.
“Ti ringrazio di cuore, ma togliamo il disturbo, hai già fatto abbastanza direi…” dico in modo cordiale.
“Come preferite…”
“Melissa, dobbiamo assolutamente sdebitarci e invitare Enrico a cena.” suggerisce.
I suoi ormoni devono essere in fase ascendente, visto l’entusiasmo della sua proposta. E credo abbia ragione.
“Possiamo invitarti?” chiedo ufficialmente.
“Molto volentieri.”
Lo ringraziamo per la milionesima volta, lo salutiamo e saliamo in auto, dopo aver caricato Max.
Tanto sono felice, tanto sono esausta, ma mentre Cassandra è alla guida, trovo il tempo di chiamare Luca per dargli la bella notizia. Suggerisce di raggiungermi, ma le mie condizioni psicofisiche — e l’immagine che vedo riflessa nello specchietto dell’aletta parasole illuminata — preferiscono rimandare.
Non mi dimentico nemmeno di avvisare Britney, a cui preferisco inviare un messaggio, in cui prometto di richiamarla l’indomani con calma.
E lì, mentre faccio il bilancio di una giornata tragica che si è conclusa nel migliore dei modi, mi ricordo di Jerôme e della sua risposta che non ho ancora considerato.

Giunte davanti a casa, sono io ad aprire il cancello da cui Max è scappato, vorrei sgridarlo e fargli capire che quella fuga poteva separarci per sempre, ma ora non capirebbe. Lo lascio entrare tenendolo per il collare, cedo il passo a Cassandra e io, che sono l’ultima, mi accerto di averlo chiuso come di deve. Lei apre la porta e Max la segue come se non aspettasse altro.
“Cosa mangiamo?” mi chiede.
“La tua parmigiana?”
Sembra felice della mia proposta.
“L’ho considerata colpevole almeno quanto Cristina, avevo giurato di buttarla, ma ci ho messo così tanto a prepararla, che ho preferito tenerla in frigo: basta metterla in forno, ci vorrà una mezz’ora, okay?”
“Perfetto: nel frattempo faccio una doccia e mi metto in pigiama.”
Salgo le scale insieme a Max, raggiungo la mia camera, lui sale sul letto scodinzolando. Mi siedo vicino a lui, prendo il telefono e apro il messaggio di Jerôme. Dunque vediamo.
Lo rileggo velocemente e penso che dovessi essere proprio disperata: mi sta dicendo che sta per spedire il libro, che l’idea di sabotare la festa di Britney lo entusiasma, che farà il possibile per raggiungermi e non ho fatto nessun salto di gioia?
Quasi mi dispiace di aver firmato un armistizio con Cristina, ma questo non significa che debba sentirmi in colpa se Jerôme sarà presente alla festa… c’è solo una cosa che non mi è chiara: che diavolo è un dress-code?
Lo scoprirò, ora vado a fare la doccia.

VENTITREESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova