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11 Feb

Ciao Mamma

enrica alessi storie di ordinaria follia

 

 

 

D

ifetti? Innumerevoli.
Pregi? Abbastanza, ma senza dubbio, uno dei più distintivi è la mia capacità di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.
Ho appena salutato Paolo, sto tornando a casa, ma il lato positivo è che sfrutterò parte del viaggio per raccontare a Michele il mio capodanno. Per messaggio ci siamo solo scambiati gli auguri, ma come potrebbe immaginarsi tutto il resto?
Sono quasi le undici, lo chiamo.
Tre squilli, la sua voce, il mio sorriso.
“Amore buongiorno e buon anno!”
“Ciao amore.” dice un po’ assonato.
“Ti ho svegliato?”
“No. Sono a letto con il virus intestinale.”
D’istinto, mi allontano dal vivavoce, quasi potessi essere contagiata per trasmissione radio.
“Mi sembra inutile chiederti come stai…” mormoro.
“Uno straccio.” risponde prontamente, lasciando trapelare una certa sofferenza.
Ma seppure mi dispiaccia sentirlo in questo stato, di fatto, è immobilizzato in un letto e quindi può starmi a sentire: è perfetto.
“Te la senti di stare al telefono? Devo raccontarti una cosa.”
Conosco Michele e so con certezza che quel ‘devo raccontarti una cosa’ lo rimetterà in piedi. Potrebbe essere in punto di morte, ma non si perderebbe mai ciò che suona come un pettegolezzo.
“Certo tesoro, sono qui.”
Non posso vederlo, ma so che ha appena sistemato i cuscini dietro la schiena per mettersi comodo.
Mi schiarisco la voce.
“La sera di Capodanno, dopo aver raggiunto l’albergo ed essermi messa l’abito che mi hai consigliato, arrivo alla festa. Entro e vedo Paolo che si struscia con una brunetta…”
“Che cosa?”
Lo immaginavo al buio, ora credo che abbia acceso la luce.
In effetti, ‘strusciare’ è un termine un po’ forte. Riformulo.
“Cioè… stavano ballando belli stretti.”
“Anche un po’ amoreggianti?” mi incalza.
“Oh sì, decisamente… ma non è questo il punto. Ciò che voglio dire è che niente è come sembra.”
“Si strusciavano o no?”
“Un pochino… ma era solo la moglie di Celiane. È solo un’amica.”
“Chi è Celiane?”
“Uno dei suoi amici di Cortina, il fotografo di Royal Picture…”
“Capito: quello carino.” mi interrompe. “E lei com’è?”
Che razza di domanda è?
“Sei sicura che fosse sposata? Hai controllato? Aveva la fede al dito?”
“Come sei diventato diffidente…” dico in tono provocatorio.
“Ho le difese immunitarie al limite.”
Mi metto a ridere: chissà perché, ma credo che si stia scolando quattro fialette di fermenti lattici mentre lo dice.
“E comunque sì, ho controllato.”
“E come lo hai scoperto che è solo un’amica?”
“Dopo un inseguimento in auto, un rapimento, un chiarimento e una notte con i fuochi d’artificio.” rispondo soddisfatta.
“Dunque, ricapitoliamo: tu sei fuggita, lui ti è corso dietro e poi ti ha rapita?”
“Esatto, davanti all’albergo: siccome non avevo intenzione di farlo salire da me, mi ha caricato sulle spalle, poi sulla sua auto e alla fine mi ha portato a casa sua: dove si è consumato il chiarimento e la notte di fuoco.”
E mentre sento crescere la foga di raccontare la parte più importante della storia, realizzo che non avere Michi di fronte e non poter cogliere le sue sfumature espressive è limitante. Mi danno sempre un quadro preciso dei suoi pensieri.
Ma non è tutto.” mi precipito ad aggiungere. “La mattina seguente, sono la prima a svegliarmi, lascio la camera da letto e indovina cosa trovo?”
“La bionda nel cassetto?”
Noto con piacere che il virus non ha intaccato la sua mente fervida.
“Sbagliato. Non solo la foto è scomparsa, ma è stata proprio Camilla ad avvisare Paolo di avermi vista uscire dal ristorante.”
“Quindi è fuori combattimento?”
“Ufficialmente.” confermo mentre mi guardo nello specchietto retrovisore sorridendo.
“E cosa trovi invece?”
“Il mio regalo di Natale. Che però non posso aprire: Paolo sta ancora dormendo.” preciso. “Ma sbircio il biglietto che mi ha scritto, in cui dice che anche se il suo regalo è arrivato in ritardo, il suo cuore sarà sempre qui ad aspettarmi.”
“Mi sembra di vederla la tua faccia sognante…” mormora.
Come dargli torto?
“Lascio il pacco dove l’ho trovato e vado in cucina a preparare la colazione, lui arriva poco dopo, mi chiede di seguirlo in salotto e mi consegna il regalo.”
“Okay… credo di capire che il pezzo che muori dalla voglia di raccontarmi sia questo, ma per correttezza, devo informarti che sto per correre in bagno: non mi sento benissimo…”
“Vuoi che ti richiami?” chiedo preoccupata.
La telefonata si interrompe ancora prima che possa concludere la domanda: doveva proprio trattarsi di un’emergenza.
Mi richiama due minuti più tardi, la sua voce è debole, ma non ha dimenticato il punto esatto in cui siamo stati interrotti.
“Quindi, stavi dicendo: ti chiede di seguirti, ti consegna il regalo…”
“Ma prima che possa aprirlo, lui accende la radio e si mette a cantare.”
“Mezzo limone canta?” chiede stupito.
“Il tempo di morire… Vasco Rossi.” dico ridendo.
“Ma non era di Battisti?”
“Sì, ma lui ha usato una versione di Vasco.” puntualizzo.
Eviterei di aggiungere che si è presentato mezzo nudo come uno dei California Dream Men, non credo reggerebbe, ma il resto deve starlo a sentire.
“Apro il pacco e trovo il modellino di una moto Gilera 125: sul faro, c’è un anello.”
Lo dico così, senza tergiversare, un po’ perché non ce la faccio più e un po’ perché il tempo che speravo di avere a disposizione per una descrizione accurata, il virus se lo sta portando via.
“Accompagnato dalle parole del testo, Paolo mi chiede di essere sua per sempre, di dirgli di sì, e io lo abbraccio, lo stringo a me e dico sì.” concludo.
“Non ti avrà chiesto di sposarti, spero…”
“Sapevo che lo avresti detto.”
“Se ti regala un anello, ti sta chiedendo di sposarti…”
“Non ti facevo così retrogrado.” mormoro.
“Retrogrado? Mi stai accusando di essere retrogrado? Un anello è un anello, anche per il ‘nostro’ mondo.” ribatte concitato.
Ho di nuovo l’impressione di vederlo: con quella smorfia sul viso, mentre si domanda se Paolo sia impazzito.
Lo so che potrei essere interrotta dal suo stomaco sottosopra, ma non posso tralasciare i dettagli: sono loro a fare fare la differenza. Devo raccontargli minuziosamente il resto.

Ci sono abbracci che vorresti potessero durare per sempre.
Quegli abbracci che fondono gli animi e che, in una sola manciata di secondi, chiudono una parentesi e ne aprono un’altra. Quegli abbracci che ti fanno sentire così al sicuro, che quasi ti spaventa chiederti cosa succederà quando lascerai la presa. E quando senti giungere quel momento, ti accorgi che il lume della ragione, che hai sempre immaginato come una piccola luce fioca all’interno di una lanterna, è invece una grande insegna al neon intermittente che cerca disperatamente di farsi notare.
Continuo a tenere Paolo tra le braccia, ma non capisco se sia un gesto dettato dal semplice desiderio di stringerlo o se, piuttosto, sia un mezzo per prendere tempo e rielaborare i fatti che hanno preceduto l’abbraccio, chiedendomi se possa aver frainteso le sue parole.
E se la bellissima dichiarazione d’amore che ho appena ricevuto fosse comprensiva di proposta di matrimonio che non potrei accettare in un momento simile?
Sofia è la mia priorità, ho ancora troppe questioni in sospeso e sono certa che Paolo non si sognerebbe mai di chiedermi di sposarlo. Ma se mi sbagliassi?
Dove sono finite le mie certezze?
È Paolo a lasciare la presa per primo, mi sorride, appoggia l’anello sul tavolo e mi prende le mani. Il tepore delle sue mi fa notare quanto siano fredde e umide le mie. Cerco di tenere a bada lo sguardo, che appena può sguscia via dal suo per valutare l’anello che sta sul tavolino.
Su un campione di cento donne, novantotto morirebbero dalla voglia di ricevere una proposta, ma io e l’altra non siamo ancora pronte per questo.
Cerco di rimanere concentrata su di lui, sul suo viso, ma in modo quasi involontario è come se il mio battito di ciglia lanciasse un messaggio in codice Morse per suggerirgli la domanda che non trovo il coraggio di porgli.
Non mi stai chiedendo di sposarti, vero?
“Sei strana.” mormora.
“No… perché?” chiedo in tono innocente.
“Posso darti il mio anello?”
Ho un tuffo al cuore. D’istinto chiudo gli occhi. Difficile capire se sia per imitare i bambini che aspettano la sorpresa, o più per la paura di trovarmi di fronte a un solitario. Ma quando li riapro, l’anello è ancora sul tavolo e lui mi guarda con un’espressione divertita.
“Eva, sarò sincero: starti dietro non è semplice, ma ci ho messo vent’anni per ritrovarti e ora che sei qui, l’ultima cosa che voglio è perderti. E siccome credo di conoscerti, non ti chiederei mai di sposarmi.”
Sono travolta da uno tsunami di felicità.
Non solo la cosa mi solleva, ma le fossette che gli spuntano sulla guance, che solo quel sorriso audace sa produrre, mi provocano un pizzico di eccitazione.
“Non sono i matrimoni che uniscono le persone, ma i sentimenti sinceri, e io ti sto chiedendo di far parte della mia vita.” conclude.
D’improvviso, tutte le certezze che credevo di aver smarrito chissà dove, sono di nuovo davanti a me. D’improvviso, la domanda implicita nascosta nella sua dichiarazione, che ho tatuato nella mia mente e che mai scorderò: ‘dimmi che sei mia, che sarai mia per sempre, dimmi di sì…’ trova la stessa risposta di poco fa.
“Sì, mille volte sì: voglio far parte della tua vita e voglio che tu faccia parte della mia.”
Piango mentre lo dico: la consapevolezza di poter credere ancora nell’amore, nonostante tutto, ti apre il cuore e anche la mente. Anch’essa, citando Einstein, è come il paracadute: funziona solo se si apre.
Mi asciuga le lacrime e il suo sorriso contagia il mio. Paolo afferra l’anello, lo infila al mio dito e dice: “non volevo che ti facessi strane idee…”
E ora che lo vedo sulla mia mano, da una distanza ravvicinata, non solo mi accorgo che non è un solitario come avevo temuto, ma che si tratta di una semplice fedina con una piccola pietra verde incastonata, su cui è incisa la frase: ti amo. E se fosse quello che apparteneva alla sua nonna, morta durante l’Olocausto? Sto per commuovermi di nuovo, ma prima che possa succedere, Paolo aggiunge: “è il modellino il vero regalo: è lui che vale una fortuna.”
Mi strizza l’occhio, mi bacia e si alza per andare in cucina. Mi sento sollevata.
Qualcuno la chiama ‘questione di feeling’, ma è come se uno di noi due fosse sempre pronto a suggerire all’altro il modo migliore per agire e facilitare le dinamiche altrui.
Nonostante abbia sempre cercato di razionalizzare, ci sono cose che vanno oltre la ragione, che succedono e basta e so che con lui tutto andrà bene.

“C***secco: non smetterai mai di sorprendermi.”
Il suo tono di voce, decisamente più rilassato, lascia intendere che anche il ‘loro’ mondo è disposto a considerare le eccezioni che confermano la regola.
“Sai che non amo gli standard.”
“Nemmeno ti ricordavi chi fosse…”
“Non dirmelo.”
“Non volevi nemmeno dargli una possibilità…” aggiunge con enfasi.
“Lo so, è assurdo, a volte mi capita addirittura di chiedermi cosa sarebbe successo se mi avessi portato a Miami.”
“Tutto questo romanticismo mi fa pensare che il campione di ping pong della Versilia si sarebbe fatto trovare anche in capo al mondo.”
“Lo pensi davvero?”
“No. Era per dire.”
“Di’ la verità… so che ci hai creduto dall’inizio…” dico incalzante.
“La verità? Non credevo nemmeno che arrivasse a Natale, ma mi sbagliavo: ha addirittura trovato il modo di legarsi a te, mi toccherà congratularmi.”
Amo ricevere la sua approvazione. Anzi, a essere sincera, è la sola di cui mi importa.
“E ora che farai?” mi chiede.
“Sto tornando a casa, Sofia rientra nel pomeriggio, le spiegherò che succede e le chiederò di fare qualche giorno al mare per presentarle Paolo.”
“Ecco, di una cosa sono certo: le piacerà, vedrai…”
“Vorrei che fossi qui per abbracciarmi.” mormoro.
“Invece, tornerò in bagno, e con una certa urgenza, ma fammi sapere come va.”
La telefonata si interrompe definitivamente e io resto sola con la strada che mi condurrà fino a casa.
Fuori c’è il sole e lo sento brillare anche dentro di me. Penso a ciò che succederà, a come succederà: sono carica di vita e voglio viverla come mai prima d’ora.
Questa è la mia chance. Tutto il pacchetto è la mia chance.
Ma se la felicità non fosse fatta di attimi, forse non sapremmo riconoscerla. E lì, mentre mi affaccio alla finestra di un futuro radioso, uno dei fantasmi del mio passato bussa alla porta.
Leggo il suo nome sul telefono e non voglio rispondere. Cosa vuole da me?
Mia madre se ne è andata di casa undici anni fa, sono passati sei anni dall’ultima volta che l’ho sentita. Solo adesso si ricorda di me?
La sua telefonata quasi mi offende.
Non sa niente di Sofia, del mio divorzio e non voglio mettermi a discuterne ora. Devo organizzare una nuova partenza, e il solo suono della sua voce mi rovinerebbe l’umore.
Il telefono continua a squillare: vorrei solo sentirlo smettere. Sto per riattaccare, ma poi ci ripenso. Io affronto i problemi, io non sono come lei.
“Pronto.” dico decisa.
“Ciao amore mio, come stai?”
Ecco il tono affettuoso a cui mi ha sempre abituata.
“È passato qualche anno dall’ultima volta che me lo hai chiesto: è carino che te ne sia ricordata ora. Comunque sto bene, grazie.”
“Potrei dire la stessa cosa: neanche tu mi hai più chiamata.”
“Ho avuto da fare.”
“Ho desiderio di vederti.”
“Nel volo da Los Angeles a qui potresti cambiare idea… ci avevi pensato?” dico con il solito tono provocatorio.
Ma lei non sembra infastidita.
“Non correremo questo rischio: sono già in Italia.”
Mia madre è in Italia? Ho appena rischiato di sbandare.
“Sono nella tua città, a Torino.”
“Io non ti ho mai detto che vivo a Torino, come lo sai?” chiedo confusa.
“Ho chiamato Clara.”
Un’alleanza tra suocere insomma.
Spero solo che non sia tornata per mettere il becco nel mio matrimonio finito. È l’ultima persona che può farmi la predica sulle relazioni.
“Come sta Sofia?”
“Stava bene sette anni fa, sta bene anche adesso. Grazie.”
“Posso vederti?” mi chiede.
“Purtroppo ora non posso, dobbiamo rimandare, mi dispiace.”
Il modo secco e sbrigativo con cui pronuncio quelle parole, dovrebbe farle capire che non ho intenzione di vederla, eppure lei non si arrende.
“Se ora non puoi, capisco, la prossima settimana invece, puoi concedermi un po’ del tuo tempo?”
“Non era solo una visita di passaggio?”
“No Eva, non sono qui di passaggio, mi sono trasferita.”
Quella notizia mi colpisce come un boomerang al setto nasale.
“Mamma non so cosa ti sia messa in testa, ma ho già un sacco di casini, ti prego non aggiungerne altri. Continua a vivere la tua vita in modo autonomo e indipendente come hai fatto finora e lasciami in pace.”
Una parte di me vorrebbe non aver detto ciò che ho detto. Ma sono troppo arrabbiata per vestire i panni della figlia comprensiva disposta a cancellare il passato.
“C’è una cosa importante che devo dirti.”
L’ultima volta che ha usato questa espressione, è stato per dirmi che avrebbe lasciato papà e che si sarebbe trasferita a Los Angeles con un altro uomo.
“Visti i precedenti, potresti biasimarmi se volessi non saperla?”
“Al tuo posto reagirei allo stesso modo, ma resto sempre tua madre: merito una possibilità.”
“Non puoi spuntare così dal nulla e irrompere nella mia vita che non hai considerato per anni!” Sbotto. “Dovrei assegnarti un posto d’onore?”
“Non pretendo un posto d’onore, vorrei solo che mi concedessi una possibilità.”
Il suo tono tranquillo e sereno invece di calmarmi, mi innervosisce, ma il fatto che la mia vita giri attorno al concetto di ‘chance’, non può essere una semplice coincidenza. E allora perché non concedergliela?
“Senti.” dico dopo aver preso un bel respiro. “Sto partendo, vado via per qualche giorno, ti chiamo quando torno, okay?”
“Lo farai?” chiede dubbiosa.
“Mi parlerai della cosa importante e poi mi lascerei in pace.”
La chiamata si interrompe con un tiepido arrivederci. Ho bisogno di un po’ d’aria: apro il finestrino. Ma invece di pormi la domanda più lecita: ‘che cosa dovrà dirmi?’, continuo a chiedermi perché se ne sia andata senza mai tornare.
Vorrei tenere a freno la memoria che, inevitabilmente, mi riporta a quegli anni tristi, ma è come se sentissi l’esigenza di riviverli. E torno lì: ai miei diciannove anni,
nel bel mezzo del divorzio dei miei genitori.
È vero: l’amore è eterno finché dura, ma io avrei scommesso che quello dei miei potesse essere amore eterno. E invece mi sbagliavo: si amavano moltissimo, ma non abbastanza da restare insieme per sempre.

Mia madre si innamora perdutamente di Filippo, con cui ha già una relazione da diverso tempo e decide di seguirlo a Los Angeles, dove lavora come architetto.
Mi chiede di andare con lei, io rifiuto. Ho la mia vita qui, non sono disposta a lasciare tutto e poi mio padre non può cavarsela senza di me, voglio restare con lui.
Nei primi tre anni, vado a trovarla durante le vacanze estive, ma mi è difficile trascorrere gran parte dei momenti della giornata insieme all’uomo con cui mia madre si è rifatta una vita. Ogni volta che vado da lei, invece di godere della sua compagnia, mi sembra di fare un torto a mio padre che, in segreto, continua ad amarla. Decido quindi di aspettare che sia mia madre a tornare in Italia, ma in sette anni, succede solo due volte: per il mio matrimonio e per la nascita di Sofia.
In entrambe le occasioni, Filippo non è presente, ma nonostante la sua assenza — certamente non casuale — si traduca come una forma di riguardo nei nostri confronti, è difficile fingere che sia tutto come prima. I rapporti si fanno più tesi, le telefonate diminuiscono, smetto di cercarla, lei fa altrettanto.
Mi sarei aspettata che tornasse, che sentisse il desidero di stare con me, ero appena diventata mamma, mi sarebbe piaciuto averla al mio fianco, e invece c’è sempre stata Clara: una donna che conoscevo appena, ma che mi ha trattato come una figlia. Eppure mi stupisce che mia suocera, pur conoscendo tutta la storia, abbia fatto la spia a mia madre. No, non me lo spiego.

Giunta a casa, chiamo Davide per avvisarlo e salutare Sofia. Hanno lasciato l’albergo da poco, sono sulla via del ritorno e dovrebbero arrivare in un paio d’ore. Ho il tempo di riordinare i bagagli e se mi sbrigo, anche di fare una doccia.

Ho ripristinato l’interno delle valigie, sostituendo piumini e tute da sci con cappotti eleganti e abitini dal sapore romantico. Ora che ho abbandonato definitivamente il concetto montagna, posso spostarmi in Versilia.
La macchina è pronta a partire, Sofia mi aspetta sulla porta tenendo tra le braccia Olivia che, nel frattempo, è tornata al suo look naturale. Mi avvicino per chiudere la porta e prendo Sofia per mano.
“Andiamo amore?”
“Andiamo.”

Un viaggio di due ore potrebbe essere un ottimo pretesto per iniziare una conversazione di tipo introduttivo.
Dovrò pur dirle dove stiamo andando. Ma lei mi precede.
“Mamma a Forte ci sono i cavallini, mi fai fare un giro?”
Mi correggo: dovrei dirle da chi stiamo andando.
“Certo! Anche a me piacciono tanto… e sai che conosco un ragazzo che è amico dei proprietari?”
Mi sarei aspettata un po’ di stupore, un briciolo di curiosità, invece se ne esce con un: “Mamma… è il tuo nuovo fidanzato?”
Deglutisco, arrossisco.
“Sì è il mio nuovo ragazzo.” confesso.
“Ti piace?”
“È simpatico.”
“È anche bello?”
“Non lo so.” mi fingo dubbiosa. “Mi darai il tuo parere, okay?”
“Okay.” dice divertita. “Come si chiama?”
“Si chiama Paolo.”
“Mamma!” esclama. “Lo sai che il bimbo che mi piace, quello dell’altra sezione, si chiama Paolo anche lui!”
“Non ci credo!”
“Sì mamma: è bellissimo…”
Speriamo che il fascino del nome sia contagioso e che anche il mio Paolo le piaccia.

Sofia si addormenta poco dopo con Olivia sulle gambe, e i miei pensieri pesanti tornano a farmi visita.
Mia madre pare che sia tornata per restare e continuo a chiedermi come riuscirò a reintrodurla nella mia vita.
Fatico a fidarmi di lei e questa volta non si tratta solo di me, ma anche di mia figlia.
Sta vivendo un momento delicato, non posso permettermi di presentarle una nonna pronta a sparire da un momento all’altro. E poi mi fa arrabbiare. Mi fa tremendamente arrabbiare. Lei non c’era, ma sono stati mesi difficili, il mio matrimonio è finito, eppure sono riuscita a riavere il mio lavoro, la mia autonomia e una vita sessuale soddisfacente. E ora che vedo la luce in fondo al tunnel, in fondo al tunnel c’è mia madre. Una squilibrata pronta a rompere il mio equilibrio — seppure labile.
Posso impedirlo, ma non voglio pensarci adesso. Ho appena firmato una tregua con Davide, Paolo mi sta aspettando a Forte ed è il nostro primo weekend insieme a Sofia. Devo rimanere concentrata.

Chissà se questi due si piaceranno?
Per scoprirlo, devo solo premere il campanello della casa di Paolo e fargli sapere che siamo arrivate. Ho il cuore a mille.
“Suoni tu?” chiedo a Sofia scendendo dall’auto. Ma la mia voce squillante anticipa il suono del campanello, la porta si apre ed esce lui: simpatico e bello come il sole.

QUARANTASETTESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova