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3 Apr

Alive — e non è il film con Ethan Hawke

enrica alessi storie di ordinaria follia

 

enrica alessi storie di ordinaria follia

 

 

 

 

G

ardaland: quanto l’ho amato.
E uso il passato di proposito, perché ciò che è stato uno dei sogni più solidi della mia infanzia, con gli anni, è evaporato.
Avevo otto anni l’ultima volta che ci sono stata da bambina, ci tornai dieci dopo con Giaco e una coppia di amici. Le bimbe non c’erano ancora e io riuscivo ancora a emozionarmi al pensiero dei ricordi trascorsi in quel grande parco giochi.
Giovi, il fidanzato di Marinella, aveva deciso di prendere la macchina e io e Giaco ce ne stavamo seduti sui sedili posteriori con la faccia degli scolaretti in gita.
Era l’inizio degli anni ‘90, era un giorno caldo e afoso, l’aria condizionata era diventata da poco un accessorio di serie e la macchina di Giovi ce l’aveva.
Per mostrarci gli effetti di questa prodigiosa innovazione, Giovi portò la temperatura a due gradi sotto lo zero e arrivammo a Gardaland congelati. Né io né Giaco avevamo trovato il coraggio di chiedere a Giovi di alzare la temperatura: non eravamo così in confidenza.
La giornata a Gardaland andò bene, ci divertimmo, la calura estiva fu l’ultimo dei problemi, ma quando fu il momento di tornare a casa, cominciammo a guardarci negli occhi chiedendoci chi dei due si sarebbe occupato della questione ‘climatizzatore. Al quarto ‘diglielo tu, no diglielo tu’, pronunciato sottovoce, Marinella lo fece per noi.
“All’andata ho avuto un po’ freschino, possiamo alzare il clima Giovi?”
“Certo.” rispose.
Salimmo in auto, ci mettemmo in marcia.
Mi emozionai pensando al momento in cui avrei portato a Gardaland i miei figli — senza sapere che Carola, diciassette anni dopo avrebbe vomitato nella casa di Prezzemolo — e fu in quel momento che fissai terrorizzata la levetta del climatizzatore manuale che continuava a rimanere nella stessa posizione: Giovi doveva essere troppo impegnato alla guida per ricordarsi che presto saremmo morti assiderati. E io non potevo permetterlo, avevo tutta la vita davanti.
“Ho freddo, puoi alzare la temperatura del clima?” gli chiesi.
Afferrò l’interruttore come il timone di un’astronave, portandolo da sinistra a destra: sospirai.
Dopo venti minuti, ero fradicia di sudore.
Non ebbi il coraggio di chiedere al capitano di invertire la rotta del climatizzatore e di spegnere il riscaldamento, mi accontentai di agognare la fine di quella corsa in auto, che giunse un’ora più tardi.
Ci salutammo, promettendoci di rifarlo presto. Scendemmo dalla loro macchina e salimmo sulla nostra.
Ora, diretti verso casa — stanchi e puzzolenti — quella temperatura ambiente sembrava il refrigerio migliore.
Non avevamo bisogno di climatizzatori…
“Enri, cos’è questa puzza?”
… avevamo solo bisogno di aprire i finestrini.

 

Illustrazione: Valeria Terranova