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1 Ott

Un nome può cambiarti la vita

enrica alessi romanzo l'amore ai tempi supplementari

enrica alessi romanzo l'amore ai tempi supplementari

L

 

a sveglia, puntata a due orari differenti, a intervalli di cinque minuti l’uno dall’altro, è al suo ultimo avvertimento: devo alzarmi dal letto subito, di corsa.
La mia forza interiore riesce a convincermi, infilo le pantofole e apro la finestra: il sole pallido fa chiaramente capire che oggi sarà una giornata uggiosa e il cielo grigio fa nostalgia, nostalgia di Cortina.
Mi dirigo in camera di Sofia per svegliare anche lei, Mina, invece, è già sulla strada dei miei passi. Il campanellino agganciato al suo collare è l’equivalente del ‘Salva Bimbo Beghelli’ per cani: so sempre dove si trova. Ora è di fronte a me, scodinzola, alternando il movimento delle zampe, quasi volesse saltarmi tra le braccia.
E nonostante sia tentata dal farlo, non è solo il ritardo a fermarmi, ma ciò che vedo alle sue spalle: la dimostrazione che Mina ha digerito la cena di ieri.
Il mio sguardo si sposta sul suo, le sue orecchie si abbassano.
“Signorina! Dobbiamo parlare…” dico con tutta l’autorità possibile. “Se proprio ti scappa, devi farla su questo tappetino triplo strato, assorbente e profumato.”
Lo indico per due volte e aggiungo:
“Serve per i bisognini, hai capito?”
Mina mi guarda con un’espressione traducibile in ‘quando scappa scappa’ e io non resisto: la prendo in braccio e corro da Sofia.
“Tesoro buongiorno.” mormoro accarezzandole i capelli.
Mina fa un balzo sul letto e va dritta verso il suo viso per riempirlo di baci.
Questo funziona: Sofia apre gli occhi e dice buongiorno sorridendo.
“Sofia, devi alzarti o faremo tardi, io corro a preparare la colazione, okay?”
“Okay.”
Faccio per lasciare la stanza, mentre la mia mente si è già catapultata in corridoio per rimediare al danno di Mina, ma il suo ‘mamma aspetta’ arresta i miei passi.
“Dimmi amore…”
L’agitazione, causata dalla paura di arrivare in ritardo, è abilmente camuffata dal mio tono di voce che si mantiene calmo e gentile.
“Ho deciso il nome della mia principessa.”
dice abbracciandola.
Il momento è catartico. I nomi in lizza erano due, entrambi terribili, credo di non avere la forza di sentire pronunciare il suo verdetto ora, ora che ci restano solo venti minuti per uscire di casa.
“Sofia, me lo dirai in macchina…”

Alla scadenza del tempo, ci siamo vestite, abbiamo fatto colazione e siamo salite in auto portando con noi il cane innominato.
Metto in moto, esco dal cortile e le faccio la fatidica domanda:
“Allora, come hai deciso di chiamarla?”
Sofia ci mette un po’ a rispondere, guarda quella piccola creatura innocente che gli sta sulle gambe, ignara della sorte che la attende.
“Ariana sarebbe un nome bellissimo…”
Anch’io lo preferisco.
“Ma Selena è molto più bello!” esulta. “Conosci qualcuno che abbia un chihuahua con questo nome?” chiede eccitata.
Vorrei precisare che il chihuahua biondo a pelo lungo è già una rarità, è praticamente introvabile, ma aggiungere che nessuno si sognerebbe mai di bruciare una tale opportunità, assegnando a un esemplare così bello un nome tanto terribile, mi sembra troppo crudele per una bambina della sua età.
“Amore, non credo che troveremo altri chihuahua che si chiamano così…”
“Allora è perfetto… Ti chiamerai Selena.”
La saluto davanti all’ingresso della scuola, la vedo incamminarsi con il suo zaino sulle spalle, io, invece, resto lì a guardarla, tenendo il suo cane tra le braccia.
“Mina, andiamo a fare la spesa.” bisbiglio.
Lo avevo detto che avrei continuata a chiamarla a modo mio.

Un altro tragitto in auto, un’altra situazione da risolvere: le mie Louboutin.
Chiamo Michele, attivo il vivavoce, lui risponde.
“Stavo dormendo…”
“Scusa! Non volevo svegliarti.”
“Che c’è?” chiede assonnato.
“Ieri sera, mentre sistemavo i bagagli, mi sono accorta di aver dimenticato le mie scarpe sulla tua macchina… le hai trovate?”
Non dice niente.
“Michi ci sei?”
“Ehm sì!”
Due sillabe, due sillabe soltanto, ma la sua voce squillante mi fa capire che è uscito dal letargo, che si è messo seduto e sta per dirmi qualcosa di importante.
“Hai tu le mie Pigalle?” chiedo di nuovo.
“Sì, le avevo io.”
“Perché stai usando il passato?”
Il suo silenzio fa chiaramente capire che ciò che sta per dirmi non mi piacerà.
“Quindi?” insisto.
“Le Pigalle sono fuori moda.”
“Che cosa? Le abbiamo comprate insieme tre giorni fa, mi hai convinto tu dicendomi che sono iconiche…”
“Esatto, ma ormai le hai sfoggiate, metterle una seconda volta sarebbe di cattivo gusto.”
“Costano una follia! Per ammortizzarle non basta indossarle una volta soltanto. Che fine hanno fatto?”
“Le ho regalate a mia madre.”
In sottofondo, mi sembra di sentire Carmina Burana: è una catastrofe.
Ma riflettendoci, Michi non farebbe mai una cosa del genere. Non a me, non a un paio di Louboutin. Ma prima che possa convincerlo a confessare la verità, lui mi anticipa.
“Ieri sera sono passato da lei, non la vedevo da una vita, mi ha chiesto di restare un paio di giorni…”
“E…”
Gli sto letteralmente tirando fuori le parole di bocca.
“Mi ha aiutato con la valigia… sai come sono fatte le mamme…”
“Sì, direi di saperlo…”
“E quando ha visto la scatola sui sedili posteriori, ha immaginato che fossero per lei.”
“Ma erano usate!”
“L’hai detto tu di averle messe una volta soltanto.”
“La suola era rovinata…” mormoro.
“Le ho detto di averle comprate in un negozio dell’usato: erano in buono stato… Eva, non potevo deluderla!”
Quindi ora sono io che dovrei capire?
E mentre un attimo dopo, immagino la scena di sua madre che indossa le mie Pigalle, ammirandosi allo specchio, complimentandosi con lui, mi viene da ridere.
“Hai ragione: non potevi deluderla, al tuo posto avrei fatto lo stesso.”
“Davvero non sei arrabbiata?”
“Certo che no: l’hai detto tu che indossarle due volte di seguito sarebbe stato di cattivo gusto… ecco perché me ne comprerai un paio nuovo.”
“Ma costano una follia.” ribatte.
“Non puoi deludere una mamma: l’hai detto tu…”
E con quella frase, anche lui si mette a ridere. Credo che la mia reazione gli abbia ricordato chi ero, chi sono di nuovo, e anche se questa volta sarà la sua carta di credito a piangere, la soddisfazione di vedermi decisa non ha prezzo.
“Okay, Hai vinto tu.”
Sono ormai in prossimità del supermercato, il tempo dedicato alla nostra chiacchierata sta per finire, ma prima che possa congedarlo per concentrarmi sul parcheggio, vedo Davide e Andrea vicino all’ingresso che si tengono per mano.
“Ora devo proprio andare…”
“Hai una voce stridula, perché?” mi chiede.
Se le corde vocali non collaborano, fingermi impassibile non basta.
“Sono davanti al supermercato, il mio ex marito e la Lego Friend hanno avuto la mia stessa idea: stanno entrando a fare la spesa mano nella mano…”
Michele non dice niente, la scena a cui miei occhi stanno assistendo deve aver destabilizzato anche lui.
“Se a consolarmi non fosse la sua mise orribile, avrei già schiantato la macchina contro un palo della luce.” concludo secca.
“E allora? Che te ne importa? Se Paolo fosse con te, non faresti lo stesso?”
In effetti ha ragione: dovrei mettere un post it come promemoria: ‘anche tu hai fatto l’amore con un altro’, mi farebbe stare meglio.
“Giusto… sai che faccio?”
“Ho paura di saperlo, ma dimmelo.”
“Farò la spesa ignorandoli.”
“Da sola? Sei sicura?” mi chiede dubbioso.
“Non sono sola: c’è Selena con me, andrà tutto bene, non preoccuparti.”
“Selena? Chi è Selena?”
“Il cane di Sofia, ha deciso di chiamarla così.”
“Ma è il nome di una porno star…”
“Lascia perdere, ora devo andare, ti richiamo.”
La comunicazione si interrompe, parcheggio l’auto dentro le strisce gialle e scendo dall’auto abbracciando il mio chihuahua.

Mi avvicino all’entrata del supermercato, il riflesso delle vetrate è un’ulteriore conferma che il mio aspetto è migliore di quello di Andrea e confortata da una magra consolazione, raggiungo le porte scorrevoli, che si aprono.
“Eva ciao.”
Mi volto e vedo Davide dietro di me. È appostato vicino alla lunga fila di carrelli, ha il telefono in una mano e una sigaretta nell’altra. Andrea deve essere entrata da sola e lui è rimasto qui ad aspettarla, lascio perdere la spesa e lo raggiungo.
“Da quando fumi?” gli chiedo.
“Da poco e tu da quando hai un cane?”
“Da quando l’ho promesso a Sofia.”
Non mi ero fatta illusioni, sapevo che non sarebbe stata una chiacchierata piacevole, ma i toni bruschi, per quanto inevitabili, non fanno altro che evidenziare la distanza che c’è tra noi.
“È carino, come si chiama?”
La sua domanda è lecita, non c’è nessuna provocazione nelle sue parole, ma l’imbarazzo della mia risposta rende difficile anche questa parte di conversazione.
“Si chiama Selena.” dico accarezzandola.
E come da copione, lui scoppia a ridere.
“Che c’è?”
“Non è un po’ troppo audace per un chihuahua?”
“Selena come la ex fidanzata di Justin Bieber: lo ha scelto Sofia.”
“Avresti potuto suggerirgliene un altro.” ribatte divertito.
Se tutto fosse come prima, potrei dirgli la verità: che anche a me non piace, che Mina è il nome più adatto, potrei dirgli anche che avevo suggerito Hailey come alternativa, che Sofia non ha voluto sentire ragioni, ma niente è più come prima.
“Certo, per te è facile, le persone prendono le loro decisioni e a te non importa, tu sei quello che si permette di fare loro il lavaggio del cervello, di convincerle che la tua visione è giusta e che tutte le altre sono sbagliate, ma io non sono come te.”
“Cosa stai dicendo?”
“Quello che ho detto.”
Il cuore mi sta uscendo dal cappotto, è come se non aspettassi altro, gli sto sbattendo in faccia ciò che ho sempre pensato e che non ho mai avuto il coraggio di dirgli.
“Mi sembra che non si stia parlando del nome di un cane, o sbaglio?”
Quel tono provocatorio: l’ho sempre detestato e ho sempre cercato di evitarlo cambiando discorso, mettendo in secondo piano le mie esigenze, nel tentativo di non discutere, ma oggi, ha lo stesso effetto della benzina su un fuoco già acceso: forse desideravo anche questo.
“Infatti, era soltanto un esempio banale per farti capire come sei.”
“E come sono? Sentiamo…”
“Sei un vile manipolatore che pensa solo a se stesso.”
“Ah sì?”
È sorpreso, furioso e incapace di ribattere.
“Sì, ma non sei più un mio problema.” concludo secca.
Mi ricompongo, sistemando la borsa che sta sulla mia spalla, e giro i tacchi per andarmene, per lasciarlo solo con le mie considerazioni.
Mi allontano, pensando che è troppo ottuso, troppo pieno di sé per capire quale sia il vero torto a cui mi riferisco, ma mi sbaglio.
“Non sono stato io a importi di lasciare il lavoro.” grida in mezzo al parcheggio.
Anche una coppia di signore anziane, si volta a guardarlo prima di entrare, io invece torno sui miei passi, mi tolgo gli occhiali da sole che ho tenuto sul naso finora e sono davanti a lui per affrontarlo di nuovo.
“Hai fatto di peggio: sapevi quanto ci tenessi, sapevi che sarei stata in grado di gestire famiglia e lavoro, ma mi hai convinto del contrario, hai fatto leva sulle tue esigenze e hai ignorato le mie.”
“Non è andata così…”
La sua risata: tipica di chi tenta di nascondere l’imbarazzo, causato da una verità che non si ha il coraggio di ammettere. Detesto anche quella.
“È andata così. Ed è finita peggio: mi hai tradito, pensando che fossi troppo stupida per accorgermene, mi hai fatto sentire ridicola, insignificante.”
Ora sì che ho detto tutto, ora sì che posso chiudere una parentesi dolorosa del mio passato e non riaprirla mai più. O forse no?
“Ma andrò a riprendermi il lavoro che ho lasciato a causa tua e quando succederà, ti farò sapere tempi e modi in cui dovrai occuparti di tua figlia.” aggiungo.
“Non posso, lo sai che il mio lavoro mi porta via troppo tempo.”
“Se hai trovato il tempo di tradirmi, riuscirai a organizzarti anche per il resto.”
Quelle parole pronunciate mentre me ne sto andando, sembrano scritte su un copione che conoscevo a memoria, ma non avevo idea del momento in cui tutta la scena sarebbe diventata reale. Ora lo so.
Mi dirigo verso la macchina parcheggiata, farò la spesa da un’altra parte, ma prima c’è una cosa più urgente: chiamare Olivia e confermare il mio appuntamento di mercoledì.

VENTICINQUESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova