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6 Giu

Si salvi chi può

Enrica Alessi romanzo a episodi Not Fot Fashion Victim

Enrica Alessi romanzo a episodi Not Fot Fashion Victim

F

accio per uscire e mi accorgo che Giulio è ancora lì dove l’ho lasciato: davanti al distributore automatico con un caffè tra le mani.
“Mi sei piaciuta.” bisbiglia.
“Dalle un’occhiata, piuttosto: non voglio un dalmata sulla coscienza.”
“Certo capo.” dice, gettando il bicchiere nel cestino.
Capo… Mi piace farmi chiamare capo: dovrei metterla come regola.
Lo vedo allontanarsi, dirigersi verso Britney, ma sulla porta, incontro Nicola, il collega di dermatologia.
“Melissa, avevo giusto bisogno di te.”
Proprio adesso che ho attivato la modalità ‘furia cieca’ per dirne quattro a Cassandra?
“Stavo uscendo…” dico esitante.
“Sarò velocissimo. Ti ricordi del mio amico?”
Diet Coke? Il fattore bello e imbranato a cui devo l’onore della lite furibonda che sto per mettere in scena?
“Sì certo, perché?”
“Si è complimentato per il tuo lavoro e mi ha chiesto il tuo numero di telefono.”
“Il vitellino ha qualche problema?” chiedo preoccupata.
“Non credo, ad ogni modo, ti chiamerà.”
“Certo… okay.”
Nascondo l’imbarazzo dentro il cappotto, lo saluto ed esco dalla clinica.
Diet Coke vuole il mio numero di telefono… Strano. Non ha motivo di ringraziarmi, lo ha già fatto. E anche se una parte di me vorrebbe valutare l’ipotesi di un probabile appuntamento, l’altra preferisce trascurarla, per evitare la delusione in caso contrario.
Meglio concentrarsi sulla missione, mi dico salendo in macchina.
Il solo punto che ho definito è quello in cui sfonderò le vetrate del negozio con la mia auto. Credo che agire d’istinto sia giusto.
Ma riflettendoci, preferisco entrare, urlando a squarciagola il nome dell’amica che mi ha tolto il privilegio di organizzarle l’addio al nubilato. Tutto per uno stupido cappotto di Saint Laurent.
La macchina si ferma davanti al negozio.
Parcheggio e mi dirigo all’ingresso.
A ricevermi c’è una signora con un elegante completo bianco. Ha uno chignon biondo platino sistemato come un’aureola e i suoi occhi cristallini la fanno sembrare una divinità. Non posso essere scortese.
“Buongiorno, cerco Cassandra.”
“Cassandra è impegnata con una cliente, posso aiutarti?”
Come posso dirle che ho intenzione di scatenare un inferno?
Meglio procedere per gradi.
“Ecco, stavo cercando un abito, un abito per un addio al nubilato.”
“Fantastico! Vieni ti mostro qualcosa…”
La seguo, ma con lo sguardo non smetto di cercare Cassandra, senza risultato.
“Sicura che non vogliamo iniziare dalle scarpe?” mi chiede sorridendo.
È un modo carino per dire che le mie fanno schifo?
“Certo, perché no.”
Continuo a seguirla come un cane al guinzaglio; visitando una nuova ala del negozio, potrei incontrare Cassandra, ma di lei non c’è traccia, nemmeno al reparto calzature.
Lei ama le borse. È lì che deve essere.
Mi fiondo decisa su un paio di décolleté di Dolce & Gabbana. Devo fare presto.
“Queste.” dico, fingendomi entusiasta.
“Numero?”
“37.”
La Venere Bianca si allontana per recuperare il mio primo acquisto involontario, e io ne approfitto per guardarmi intorno.
La vedo tornare e penso che se non fosse per la sua aria angelica, che riesce a infondere serenità, starei già gridando il nome di Cassandra con il megafono.
Appoggia la scatola sul tavolino di un piccolo salotto in velluto nero, la apre e mi fa accomodare su una delle poltrone, per aiutarmi a infilare l’esemplare di décolleté più bello che io abbia mai visto.
Mi suggerisce di provare anche l’altro, poi, mi mostra lo specchio che ho di fronte.
Mi alzo e guardo la mia immagine riflessa: mi stanno benissimo, sono splendide, anche sotto i jeans. Sono morbide, comode… Un momento, cosa mi sta succedendo? Devo rimanere concentrata.
“Perfette. Ora, mi serve una borsa.” dico, mentre mi siedo per toglierle.
“Suggerirei di scegliere prima l’abito, poi, definiremo la borsa, che ne pensi?”
Penso che ero qui per un’altra ragione.
“Certo.” dico in tono accondiscendente.
La Venere si rimette in marcia e io sono di nuovo dietro di lei, per tornare nella sala che ho lasciato sette minuti fa.
Mi consiglia di dare un’occhiata ai capi appesi, nel frattempo, andrà sul retro a recuperare qualcosa di speciale.
Le sorrido e faccio come mi dice.
Ad attirare la mia attenzione è un tubino bicolore di Givenchy: lui, lui andrà bene.
Decido di accelerare i tempi, di entrare in un camerino e di concludere la mia seduta di shopping per liberarmi di lei.
Scosto la tenda, mi svesto e in un attimo, il tubino è su di me.
Esco e mi specchio: questo non è solo un pezzo intramontabile del guardaroba, è una vera opera d’arte.
Mi piaccio. Mi piaccio da morire. E mentre sono lì ad ammirarmi, la Venere ritorna.
Tiene in mano quattro abiti a fantasia, ma il mio tempo è finito, come i soldi del resto. Vado a meta.
“Che ne pensa?” le chiedo.
“Ti sta divinamente.”
“Allora prendo questo.”
“Sei molto decisa, mi piacciono le ragazze come te.” conclude soddisfatta.
Torno in camerino, mi guardo ancora una volta, e mentre sto per separarmi dal mio abito perfetto, in lontananza, sento la voce di Cassandra.
Mi rivesto alla velocità della luce, esco e chiedo il conto.
“E la borsa?” mi domanda Venere delusa.
“Preferisco aspettare.”
Mi fa cenno di seguirla alla cassa, dalla mia posizione, riesco a monitorare Cassandra che sta congedando la cliente, non c’è dubbio: questo è il mio momento.
“Contanti o carta di credito?”
“Carta, grazie.”
La tengo sotto tiro, non stacco gli occhi da lei, nemmeno per un secondo, solo la cifra che sta dicendo la commessa ad alta voce riesce a darmi una leggera scossa.
“Sono mille e seicento euro.”
Mi sento mancare. Non ho mai speso una cifra simile in un negozio di vestiti.
Sento la salivazione azzerarsi, le mani sudare, se poi aggiungo che ho fatto tutto in modo autonomo, solo per litigare in santa pace, sto pure peggio. Ma poi, ripenso all’abito bicolore, alle décolleté di pelle, ed ecco che la mano destra trova il coraggio di estrarre la carta di credito dal portafoglio, per fare il primo acquisto serio della mia vita.
Venere mi porge la ricevuta della transazione, faccio uno scarabocchio e aspetto la mia borsa.
“Melissa, che ci fai qui?”
Mi volto e Cassandra è lì: davanti a me.
Difficile rispondere.
La situazione suggerirebbe lo shopping come ragione principale, ma Cassandra sa bene che non sono qui per questo.
“Ha chiesto di te entrando…” interviene Venere, “ma tu eri impegnata, spero che non ti dispiaccia…”
“Grazie Serena, al contrario.”
“È stato un piacere mia cara, torna presto a trovarmi.” conclude porgendomi la borsa.
E ora, che siamo rimaste sole, non riesco a dire niente.
“Che ci fai qui?” mi chiede di nuovo.
È arrabbiata: lo capisco dal tono di voce, ma anche io sono arrabbiata e non sono venuta per stare in silenzio.
“Sono qui per ringraziarti.”
“Ringraziarmi? Di cosa?”
Fantastico. Ora si mette pure a fare la svampita.
“Per aver affidato a Cristina l’intera organizzazione del tuo addio al nubilato.”
Cassandra impallidisce.
“Posso spiegarti…”
“Che cosa? Che mi hai messo da parte per uno stupido cappotto?”
“Non è andata così.” ribatte furiosa.
“È invece sì. Prima mi mortifichi dicendo che il mio stile è completamente da rivedere, io ne prendo atto, cerco di migliorare e tu che fai? Mi punisci.”
“Non volevo punirti.”
“Hai scelto lei per organizzare la tua festa, quindi sì: mi hai punito e mi hai tradito.” concludo urlando.
“Tu hai tradito la mia fiducia. Mi hai detto un sacco di bugie: prima la felce, poi il libro e ora il cappotto.”
Lei mi rimpiazza con l’ultima arrivata e io dovrei sentirmi in colpa per queste sciocchezze?
“Hai ragione: me lo merito. E sai che ti dico? Non voglio rovinare anche la tua splendida festa. Senza di me starai benissimo.”
“Melissa, che stai dicendo?” chiede isterica.
“Tieni anche i vestiti, regalali alla tua futura cognata… lei ti darà più soddisfazioni di quante non possa dartene io.”
Lascio cadere la borsa ai suoi piedi, le sfioro la spalla ed esco dal negozio.
Quattro, cinque, sei passi e Cassandra ancora non mi segue. So che sono io a essermene andata, ma mi sento come Rossella O’Hara nel finale di Via col vento. E la sola cosa che posso dire, è anche la più banale: domani è un altro giorno.

Mi sono presa la mattina libera. E anche il pomeriggio, per stare un po’ con Max.
La mia passione per Fox Crime mi ha portato a immaginare mille modi per uccidere Britney. E ho preferito stare lontano dai guai, non voglio passare il resto dei miei giorni dietro le sbarre.
Per tutto il tempo, non ho smesso di chiedermi perché? Perché ha scelto lei?
Un cappotto può avere un peso così grande? E un libro?
Sono stata terribile, lo so, ma sto cercando di rimediare. Cassandra, invece, mi ha messo in castigo in un angolo, costringendomi a guardare la mia peggior nemica, mentre organizza la festa più importante. Non posso perdonarla.
Max e io siamo sul viale del ritorno, sono quasi le sette. Tra poco Cassandra sarà a casa e non voglio vederla.
Preferisco tornare in clinica, sono stata fuori tutto il giorno: troverò qualcosa da fare.
Consegno la ciotola di pappa a Max, rabbocco quella dell’acqua e mi preparo un panino.
Dopo mezz’ora, sono in clinica.
Roberta ha il turno di notte e non c’è nessun altro a parte noi.
Mi metto il camice e controllo la degenza del dalmata: è ancora vivo.
Dimesso oggi pomeriggio.
Poi, faccio un giro dai pazienti che passano la notte qui, auguro loro sogni d’oro, e in quel momento, tra pochi intimi, mi concedo un momento di piacere ripensando ai bellissimi acquisti di oggi — che ora non ho più.
Ma per un attimo, fingiamo il contrario: quell’abito meraviglioso mi faceva sentire come Audrey Hepburn, e le scarpe erano perfette. Come si può essere tanto stupidi?
A togliermi dalla testa questo pesante interrogativo è il suono del campanello.
Guardo l’orologio: manca un quarto alle nove, chi può essere?
Dopo una giornata come questa, ci manca giusto un’emergenza.
Non finisco la frase, ma già mi immagino con un defibrillatore tra le mani.
Premo l’interruttore delle porte automatiche e spunta Tommaso con la mia borsa dello shopping.
Sarebbe stato meglio un intervento a cuore aperto. Cosa vuole da me?
“Ciao Tommi. Come mai sei qui?”
Se è venuto con la borsa, significa che Cassandra non vuole più vedermi e ha mandato lui come messaggero.
Tommaso fa un passo avanti, varca la soglia e mi fa un sorriso.
E se fosse venuto in pace?
“Come stai?”
Sembra dispiaciuto, ne deduco che conosca tutta la storia.
“Abbiamo litigato, ma questo già lo sai.”
“Melissa: Cassandra ti vuole bene, mi dispiace che sia mia sorella la causa della discussione, ma dovete chiarire, non posso vedervi stare così.”
Quindi ora dovrei ricredermi? Dovrei abbracciarlo? O addirittura smettere di chiamarlo Danny?
È venuto da me come ambasciatore di pace. Tiene alla nostra amicizia: non posso dirgli che sua sorella è il diavolo in persona.
“Dacci un po’ di tempo. Tutte e due abbiamo sbagliato, dobbiamo pensarci su.” dico in tono rassicurante.
Lui annuisce e mi porge la borsa.
“Questa è tua.”
Lo so, ci sono mille e seicento euro lì dentro.
“Non posso prenderla. Sono arrabbiata.”
“Cassandra mi ha detto di dirti che sono pezzi bellissimi, che devi tenerli.”
“Prima o dopo avermi insultata?”
“Per essere precisi: durante.” risponde ironico.
Mi strappa un sorriso, è ufficiale: non potrò più chiamarlo Danny.
“Lei come sta?”
“La porto via per il weekend, ha bisogno di riposo, si è affaticata un po’ nell’ultimo periodo.”
“Non sapevo che non si sentisse bene…”
“È solo stanchezza, non preoccuparti. Partiamo stasera.”
Mi porge di nuovo la borsa, mi strizza l’occhio e mi fa cenno di prenderla.
Già la situazione è triste, privarmi pure del vestito e delle scarpe mi pare eccessivo.

 

DODICESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova