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8 Ott

Qualcosa di sconveniente

enrica alessi l'amore ai tempi supplementari

 

enrica alessi l'amore ai tempi supplementari

S

 

pingersi oltre la propria zona di confort — specie se decidi di mandare al diavolo il tuo ex marito — può essere salutare.
La scarica di adrenalina, provocata da quella lite inaspettata, mi ha offerto un tour tra gli scaffali che definire eccitante è riduttivo. E anche se il mio nuovo supermercato è più distante da casa, credo di potermi abituare.
Ho chiamato Olivia tre volte, ma scatta la segreteria. Ho deciso di pensare positivo, ho scartato l’idea che non abbia voluto rispondermi e mi sono convinta che i bambini le abbiano gettato il telefono in uno stagno. Quando sarà asciutto, mi richiamerà.
Ho sistemato la spesa, preparato il pranzo e ho lasciato a casa Mina con un nuovo porcellino di gomma, di cui si è già innamorata, spero solo che mia figlia non si senta in dovere di battezzare anche lui,
ho paura del nome che potrebbe dargli.
Ho ripreso la macchina e sono tornata a scuola per ritirare Sofia e sono addirittura arrivata in anticipo.
Mi avvicino all’ingresso con l’aria di chi ha appena scalato una montagna — senza fiato corto — e lì, seduta sul muretto, vedo Glenda che sta leggendo un libro.
È da un sacco che non ci sentiamo, direi che l’ultima volta sia stato in occasione della festa organizzata dal comitato scolastico.
“Ciao Glenda, come va?”
“Bene.”
Solleva lo sguardo dalle pagine per un nano secondo, forse meno, e si rimette a leggere come se niente fosse.
Non che mi aspettassi le sue braccia intorno al collo, ma un sorriso, una risposta più ampia, questo sì. Mi sta ignorando o è solo il libro a catturare la sua totale attenzione?
Faccio un altro tentativo:
“È un po’ che non ci vediamo…”
Glenda alza gli occhi, ma non guarda me, sembra piuttosto che voglia accertarsi che nessuno la stia guardando parlare con me. Che pezzo mi sono persa?
E se ce l’avesse con me per la faccenda delle torte?
So di averla corrotta, di averle
chiesto esplicitamente di comprare un paio di torte in pasticceria e di spacciarle per nostre. Se poi aggiungo di essere stata io a imporre che le torte dovevano essere fatte in casa e di averle dato questo ordine in veste di presidente del comitato, il mio comportamento è da considerarsi ancora più disdicevole, ma bruciare due torte nel forno perché stai facendo l’amore con tuo marito, senza immaginare che dopo poche ore se ne andrà di casa, è un fatto eccezionale. Merito un po’ di comprensione.
“Sei strana, c’è qualcosa che non va?”
Ma prima che Glenda possa rispondere, qualcuno alle mie spalle, la anticipa.
“Ciao Eva.”
Mi volto e rimpiango il silenzio di Glenda.
Lucia: la mamma che tutte temono.
La mamma presente a tutte le assemblee, a tutti le riunioni scolastiche, a tutti i mercatini. La mamma che non è mai in ritardo, la mamma che prepara le torte migliori: Santa Lucia. La mamma che vuole il mio posto di presidente.
“Sei tornata?” mi chiede con un sorrisetto malizioso.
Non le ho mai detto che partivo…
D’istinto, mi volto verso Glenda che ha improvvisamente smesso di leggere, guardandoci con occhi sbarrati.
Credo che se ci fosse l’opzione di avere dei pop-corn per godersi la scena, lei accetterebbe.
“Ho visto tua suocera la scorsa settimana, tutti i giorni, era sempre puntualissima.”
Credo che voglia sottolineare che io non lo sono quasi mai.
Sorrido. Palesemente per circostanza.
“Che donna adorabile.” aggiunge.
Su questo non posso darle torto, anche se il suo ghigno tenta di nascondere un sorrisetto malefico.
“Tu dov’eri?” mi chiede.
Nel frattempo, il cortile della scuola si è riempito: decine di mamme sono arrivate a ritirare i loro bambini. Chiacchiere, risate, squilli di telefonino: abbiamo compagnia. E nonostante ci sia una parte di me che vorrebbe fuggire da lei e da quella domanda indiscreta, l’altra sembra morire dalla voglia di soddisfare la sua curiosità.
“Mi sono presa una settimana di vacanza.” rispondo sorridendo.
Un paio di mesi fa, non avrei mai confessato una cosa del genere in sua presenza, ma ora, sembra che la nuova Eva abbia un disperato bisogno di mostrarsi.
“Lo so…” dice Lucia con un sorriso falsamente compiaciuto.
E da chi lo ha saputo?
Glenda interviene:
“Sofia ha detto a Beatrice che eri in vacanza con un amico…”
“E Beatrice lo ha detto a Francesca.” aggiunge Lucia.
È un’allusione? A cosa?
Mi sembra chiaro che una chiacchierata innocente tra bambine sia diventata un argomento di cui sparlare.
“È vero.” confermo decisa.
Mi guardano sorprese, forse non si aspettavano tanta sincerità, ma più le osservo, più mi rendo conto che qualcosa sia stato travisato. Mi stanno giudicando e non capisco il motivo.
Lucia cambia espressione, anche il suo linguaggio del corpo fa chiaramente intendere che stia per muovermi una critica severa. Mette le mani sui fianchi, sposta il busto in avanti e bisbiglia:
“Non è un po’ sconveniente?”
“Da quando passare una settimana con un amico è sconveniente?” chiedo basita.
“Da quando tua figlia racconta a sua figlia che hai un amante…”
Lucia sta sibilando, punta il dito su Glenda, cercando di reclutare un nuovo membro a questa giuria immaginaria che ha messo insieme dal nulla. Anche io mi volto verso di lei, curiosa di capire quale sia la sua reazione di fronte a tutto questo, ma abbassa lo sguardo, evitando il confronto.
Ora capisco. Le donne come loro, prive di vita sociale, traggono sempre conclusioni affrettate. Così ineccepibili e così capaci di vedere il torbido ovunque: che strana combinazione.
“Non ci vedevamo da tanto tempo. E ci siamo presi un po’ di tempo per stare da soli.” dico divertita.
Nemmeno io mi riconosco più, sto dicendo tutto questo con un chiaro doppio senso, studiato per innescare una reazione. O una bomba — a seconda dei punti di vista.
Glenda è decisamente sotto shock.
“Complimenti. Vuoi un applauso?” chiede Lucia con evidente frustrazione.
“Sì, credo di meritarlo.”
“Spero tu stia scherzando…”
“Affatto. Michele, il mio migliore amico, è gay e mi ha accompagnato a un’asta di beneficenza.”
Ora è lei a rimanere a bocca aperta.
“Abbiamo comprato un bellissimo albero di Natale e la nostra donazione è andata a un’associazione che si occupa di aiutare i bambini in difficoltà: non mi sembra che ci sia nulla di sconveniente.” concludo fiera.
Colpita e affondata.
Entrambe restano senza parole.
Mi godo quel momento di silenzio, che però viene interrotto troppo presto dal suono della campanella.
E mentre loro si allontanano da me, cercando di camuffare l’imbarazzo causato da quell’assurda figuraccia,
le altre mamme si avvicinano all’ingresso fingendosi indifferenti al simpatico teatrino a cui hanno appena assistito.
Sventolano le braccia per per farsi vedere dai bambini in uscita, li abbracciano, si caricano lo zaino sulle spalle e se ne vanno. Anche Sofia mi raggiunge, mi dà un bacio, la prendo per mano e la conduco alla macchina.

Sono sempre più convinta che le scariche di adrenalina siano un vero toccasana: è già la seconda oggi e mi sembra di toccare il cielo con un dito. Ma in quella macchina diretta verso casa, mentre Sofia racconta la sua giornata, mi sorge un dubbio: “Ero anch’io una di loro?”
“Come mamma?”
L’ho detto ad alta voce, senza nemmeno accorgermene. Fingo di non aver sentito e cambio discorso:
“Amore, sei proprio sicura del nome che vuoi dare alla tua cagnolina?”
“Mamma: ho deciso!”
Vorrei potergli dire che chiamarla Selena pregiudicherà il suo futuro, ma ha solo sette anni e non ne capirebbe il motivo.
Dannata vetrina Hot Club di Sky.
“Selena sarà un nome bellissimo.” dico sforzandomi di sorridere.
Per psicologia inversa, Sofia reagisce come avrei voluto:
“E tu come la vorresti chiamare?”
Mina. Mina, amore mio. Mina e basta.
Ma mentre cerco di trovare l’enfasi appropriata per convincerla che la mia scelta è in assoluto la migliore, il telefono squilla.
So che sto guidando, ma devo rispondere, potrebbe essere lei. Afferro il telefono, lo guardo e dico eccitata: “Olivia!”
Impiego dai tre ai quattro secondi per attivare il vivavoce e rispondo:
“Pronto?”
“Tesoro ciao!”
La sua voce squillante fa chiaramente intendere che sia felice di sentirmi.
“Ciao! come stai?”
“Io bene, è il mio telefono che è finito nelle mani sbagliate: i bambini lo hanno gettato in uno stagno…”
Credo di possedere dei poteri paranormali. Lo avevo detto così, tanto per dire, non immaginano che delle creature innocenti potessero davvero arrivare a tanto: ma stiamo parlando dei figli di Olivia e con loro tutto è possibile.
“Ossanticielo!” esclamo.
“Non me ne parlare, sono arrabbiatissima.”
“Lo immagino.”
“Ho visto che mi hai cercato stamattina…”
“Sì… volevo confermare il nostro appuntamento di mercoledì.”
Pronuncio quelle parole togliendo gli occhi dalla strada, guardo Sofia, che ancora non sa nulla della mia decisione, e ho un nodo di gola. Non ho nessuna garanzia che Olivia possa offrirmi un lavoro, ma ho la netta impressione che questa telefonata stia dando una svolta alla mia vita. E nonostante quel sottile senso di colpa nei confronti di mia figlia, sento di averne bisogno.
“Fantastico! Sono felice di rivederti.”
“Anche io. Alle dieci può andare?”
“Alle dieci è perfetto. A mercoledì.”
“A mercoledì.”
La chiamata si interrompe, il vivavoce si disattiva e Sofia mi guarda con una strana espressione che fatico a comprendere.
“Hai ragione mamma.”
Ragione? Riguardo a cosa?
“Olivia è un nome bellissimo: non ci sono altri chihuahua che si chiamano così, vero?”
“No amore, non credo.” rispondo divertita.
“Brava, sei stata brava. La chiameremo Olivia.”
Trattengo una risata, Sofia ha frainteso, ma sono d’accordo con lei: Olivia è il nome più azzeccato.
Forse il mio ex capo non sarà felice di sapere che abbiamo chiamato il nostro cane come lei, ma il fatto di essere riuscita a mettere Selena fuori gioco è una grande vittoria.
“Chi era al telefono?” mi chiede.
Pare che il momento di dirle la verità sia arrivato, e anche se avevo immaginato di affrontarlo in modo diverso, con un discorso su misura, cogliere questa occasione, improvvisando, darà alle mie parole un significato ancora più autentico.
“Era il mio ex capo di lavoro.”
“Avevi un lavoro?” mi chiede sorpresa.
Anche io sono sorpresa, almeno quanto lei: in quegli occhi, vispi e curiosi, mi sembra di notare un interesse che non avevo messo in conto.
“Sì, prima che tu nascessi, avevo un lavoro che amavo tantissimo.”
“Davvero? E cosa facevi?”
Il mio cervello ha già elaborato la risposta e solo adesso realizzo che Sofia potrebbe impazzire di gioia.
“Ero uno stilista di accessori: scarpe, borse, cinture, pantofole…”
Le mie intuizioni erano buone, Sofia è rimasta a bocca aperta e sembra voglia saperne di più.
“Mamma è bellissimo! Perché non me lo hai mai detto?”
È una domanda semplice, partorita dalla mente sveglia di una bambina di sette anni, ma mi ha messo in crisi.
“È una vecchia storia, pensavo che non fosse importante…”
“E sei ancora capace?”
“Certo.” risposto sorridendo.
“E ti manca?”
“Tantissimo.”
Sofia prende il telecomando del cancello, preme il pulsante per aprirlo e mentre faccio manovra per entrare in cortile, continuo a sentire il suo sguardo su di me.
Scendiamo dall’auto, recupero lo zaino, lei mi segue e mi prende la mano.
“A me piacerebbe avere una mamma stilista.” dice entusiasta.
Ammetto che nemmeno nella migliore delle aspettative, avrei immaginato che potesse pronunciare una frase del genere.
“Dici sul serio?” chiedo commossa.
“Certo, tutte le mie amiche vorrebbero avere una mamma stilista. Puoi fare anche dei vestitini per Olivia?”
“Credo di poterci provare.” confermo soddisfatta.
Infilo le chiavi nella serratura, apro la porta e lascio entrare Sofia.
“Olivia! La mamma ti farà dei vestitini, lo sai?”
La vedo correre verso quel piccolo chihuahua che ha finalmente trovato un nome che le si addice, e non so dire chi tra le due sia più appagata.
Lascio cadere lo zaino sulla sedia girevole del soggiorno e mi dirigo in cucina, Sofia mi segue, tenendo Olivia tra le braccia.
“Tra poco è pronto, vai a lavarti le mani?”
“Un attimo… quando ricominci a lavorare?”
“Ho appuntamento mercoledì, vediamo che succede…”
Continuo a non volermi dare false speranze, ma il suo tono incalzante rende tutto più difficile.
“Incrocio le dita per te mamma.”
Appunto.
Sono felice di avere la sua approvazione, ma una parte di me sente il dovere di dare altre spiegazioni: una lista dettagliata di pro e contro, per essere esatti.
E mentre le bollicine dell’acqua in ebollizione mi fanno segno di buttare la pasta, comincio il discorso che avevo preparato.
“Vedi amore, c’è una cosa che devi sapere…”
“Dimmi…”
Il lavoro mi porterà via tanto tempo, tempo che potrei trascorrere con te, tempo che ci verrà a mancare. Ma non è la quantità di tempo in cui si sta insieme a essere importante, è la qualità. E se io riavessi il mio posto, mi sentirei nuovamente realizzata come donna e senza dubbio sarei una mamma più felice… Come ripeterlo ad alta voce? Ha solo sette anni, come può capire un discorso così complicato?
Sofia è ancora lì, vicino a me, continua ad aspettare le parole che non dirò.
“Se la mamma riavrà il suo lavoro, troverà il modo di gestire il suo tempo nel modo migliore. Ti fidi di me?”
“Certo che mi fido, sei una super mamma!”

Gli spaghetti sono quasi pronti, Sofia corre in bagno a lavarsi le mani, io, invece, resto lì a pensare ai grandi cambiamenti che ci aspettano. E questa volta, non voglio avere paura.

VENTISEIESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova