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24 Set

Una lunga giornata

enrica alessi

A

vrei voluto tenere duro e leggere il messaggio di Paolo stasera. Dopo essere tornata a casa, dopo aver riabbracciato Sofia e averle presentato la sua piccola principessa, ma a quel punto, Michele non sarebbe stato lì a suggerirmi le battute: ecco perché l’ho letto subito.
Mezz’ora di chat, quattro cuori e la promessa di rivederci tra un paio di settimane.
Anche la missione chihuahua è andata a buon fine: è biondo, a pelo lungo, proprio come Sofia avrebbe voluto, e fino a che non avrà scelto il nome da assegnarle, la chiamerò Mina, in onore della signora che ha neutralizzato il gatto nero di Andrea.
Sta sulle mie gambe, i suoi occhi mi fanno tenerezza, la accarezzo: un gesto che vorrebbe tranquillizzare tutte e due, ma sono io ad averne più bisogno.
Ora che siamo di nuovo in auto, sulla via di casa, devo mantenere la promessa.
Vorrei che Michi si fosse dimenticato. Vorrei che ci avesse ripensato: tenuto conto delle novità che mi aspettano, è prematuro cercare di riprendermi il lavoro che adoravo e che ho lasciato per qualcuno che a sua volta ha lasciato me. Ma la riflessione che voleva giustificare la mia titubanza è la stessa che mi ha fatto cambiare idea.
“La chiamo.” dico in tono solenne.
Michi mi guarda compiaciuto.
Mi volto a cercare la borsa che ho appoggiato sui sedili posteriori, è aperta e il telefono è a portata di mano, ma il coraggio spavaldo che si è appena impossessato del mio essere, si affievolisce, scompare e rimane la paura di non riuscire a farcela.
Ho già visto questa scena, la stessa che ho vissuto quando le ho detto che me ne andavo, e oggi come allora, nonostante stia ipotizzando ogni singola sfaccettatura di ogni probabile reazione, temo comunque il verdetto.
Se mi dicesse che è passato troppo tempo, che non c’è più bisogno di me?
Se fossi stata sostituita da una figura migliore? Non sopporterei la delusione. Forse non sono ‘un grande esempio di approccio alle difficoltà’.
Ma anche se mi dicesse di tornare, sarei spaventata: come la prenderebbe Sofia?
Come organizzerei le trasferte senza tenere conto del tempo che inevitabilmente passerebbe con Davide e quindi con Andrea?
Mina continua guardarmi e so che dovrei essere io a farle capire che andrà tutto bene, ma anche ora, sembra che stia succedendo il contrario: pure il cane che mi conosce appena mi sta dicendo di buttarmi.
Non posso.
Ricordo bene le parole di Olivia:
“Vuoi rinunciare alla tua felicità a causa di un marito?”
“Non voglio rinunciarci a causa di un lavoro!”
Battuta e risposta: lei sapeva già come sarebbe finita, io vivevo di illusioni.
Quella frase ha sempre avuto un posto
fisso nella mia mente, catalogato alla voce: ‘e se avesse ragione?’
Ho sempre saputo che la sua profezia si sarebbe avverata: l’arcolaio mi ha punto e ho dormito il tempo necessario
affinché una Lego Friends mi soffiasse il marito.
Voleva mettermi in guardia e io non ho voluto ascoltarla.
“Che figura ci farò?” chiedo ad alta voce, come se la porta dei miei pensieri fosse rimasta aperta, consentendo loro di uscire e di prendere la parola.
“La figura di chi vuole riprovarci. E una donna come Olivia… lo sai, apprezza queste cose.”
Michele conclude la frase in modo banale, con l’imbarazzo di chi non sa cosa dire. Neanche lui ha la certezza che Olivia possa offrirmi un lavoro, ma giusto per la fiducia, lo assecondo.
Mina si è appena addormentata, cerco di afferrare il telefono senza svegliarla, ma ha il sonno troppo leggero. Allungo la mano verso la borsa e riesco ad prenderlo.
Il cuore batte all’impazzata, il cervello elabora il suono della sua voce: quasi volesse simulare ciò che sta per succedere, nel tentativo di prepararmi psicologicamente, ma non ci riesce.
“E se la mandassi un messaggio? Giusto per rompere il ghiaccio in modo più leggero…” suggerisco.
“Non si è mai visto qualcuno che rompe qualcosa con leggerezza.”
Vorrei correggerlo: lui rompe sempre i miei schemi con fare delicato.
“È da troppo tempo che non la sento. Potrebbe essere impegnata, magari la disturbo…”
“Devi coglierla alla sprovvista: questo è il piano.” mi interrompe sibilando.
Anche Mina ha alzato le orecchie.
“Ti ricordo che è già successo e non le è piaciuto.”
“Le stavi dicendo che te ne andavi, ma adesso è diverso: Eva è tornata.”
L’enfasi con cui pronuncia queste parole, trasforma l’ultima frase in quello che potrebbe essere il titolo di un sequel.
Mi ha convinto.
Premo il tasto dei contatti, la cerco e metto l’indice sul suo nome.
Lascio andare un soffio di fiato, porto il telefono vicino all’orecchio e sento l’inizio della chiamata.
Due trilli. Deglutisco. Chiudo gli occhi.
Mi convinco che le palpebre chiuse riusciranno a trattenere quel po’ di coraggio che mi è rimasto, ma appena sento il suono della sua voce, il mio sguardo si accende.
“Eva!”
“Olivia! Che bello sentirti.”
“Tesoro! Come stai?”
So che è la solita domanda di routine, ma se dovessi rispondere sinceramente, sarebbe complicato, meglio attenersi al copione standard.
“Bene e tu?”
“Un disastro come al solito.”
Sorrido. Riconosco quel tono: vuole sembrare tragica, quando invece è compiaciuta.
“I bambini?”
“Le piccole pesti? Sempre le stesse, ma sono cresciute, spero di firmare un armistizio… prima o poi. Sofia?”
“Ha sette anni, fa la seconda elementare… è adorabile.”
“Ero convinta che aspirassi a una squadra di calcio, ma non ti biasimo, i bambini sono così impegnativi…”
“Già.”
E ora che le domande di circostanza sono finite, giunge il momento di fare quella che Michele sta aspettando. Mi guarda, mi stringe la mano per farmi coraggio e vado a segno.
“Il lavoro come va?”
“Non posso lamentarmi: siamo un team affiatato…”
Team? Affiatato?
“Bianca ha fatto passi da gigante, non la riconosceresti, e Serena, la ragazza che ha preso il tuo posto, è molto creativa, poi è arrivata Teresa: l’esperta di marketing, mi danno grandi soddisfazioni.”
Vorrei essere felice per lei, ma non ci riesco: mi ha rimpiazzato.
“Fantastico.” dico prontamente mentre guardo Michele desolata.
“Perché non vieni a trovarci?”
E mentre arriva la domanda che mi dà ancora una speranza, Mina fa pipì sulle mie gambe. Anzi, per essere esatti, sul cappotto verde: quello che ho comprato stamattina dalla Kraler, prima di partire,
solo per sfregio nei confronti della bellona di ieri che ci provava con Paolo.
Convinta che la pipì evaporerà, mi faccio coraggio e riprendo il controllo della conversazione.
Allontano il telefono, faccio un bel respiro e lo riporto vicino al mio orecchio, cercando di mantenere la calma.
Michi prende un fazzoletto nel vano portaoggetti per rimediare al danno, ma quello strofinare non fa altro che peggiorare le cose: Mina si agita e la pipì è dappertutto.
“Eva, ci sei ancora?”
Uccido Michele con lo sguardo, lui smette all’istante.
“Sì, sì, scusa… Stavo pensando a una giornata della prossima settimana…”
“Mercoledì sarebbe perfetto.” suggerisce.
“Mi organizzo con Sofia e ti faccio sapere, okay?”
“Okay. Tesoro, scusa, mi stanno chiamando i ragazzi, devo andare. Chiamami.”
Riattacco.
“Che ha detto?” mi chiede Michi impaziente.
“Guarda cosa hai fatto al cappotto?” lo rimprovero.
“A quello pensiamo dopo… dimmi cosa ha detto?”
“Mi ha rimpiazzato… ma mi ha chiesto di passare a trovarla.”
“Puoi ritenerti soddisfatta.”
“Cappotto a parte.”

Ci fermiamo al primo autogrill.
Mina fa pipì, Michi beve un caffè, io cerco di pulire il cappotto.
Mi precipito in bagno, prendo una manciata di salviette e la metto sotto il rubinetto: è un fantastico strofinaccio fai da te. Asciugo la macchia con il fon e rimane solo un leggero alone: sono commossa.
Raggiungo Michele e ci rimettiamo in viaggio.
Arriviamo da Clara nel tardo pomeriggio.
Le mie disposizioni iniziali avevano tenuto conto di evitare che fosse Davide a consegnarmi Sofia e così è stato: la scena del nostro incontro, che ho immaginato almeno mille volte, ha accontentato le mie aspettative.
Sofia è corsa tra le mie braccia, mi ha riempito di baci, ripetendomi all’infinito quanto le fossi mancata, poi si è concentrata su Michele e alla fine è arrivata la sorpresa: il chihuahua dei suoi sogni.
Si è letteralmente innamorata di quel piccolo batuffolo, non ha nemmeno nominato il gatto nero di Andrea e nonostante questo aspetto mi abbia reso particolarmente felice, i nomi che ha scelto per la piccola lasciano un po’ a desiderare: uno è peggio dell’altro.
È indecisa tra Selena e Ariana: se non fossero i nomi delle ex fidanzate di Justin Bieber, si potrebbe pensare a quelli di due protagoniste della vetrina Hot Club di Sky.
“Potresti chiamarla Hailey…” ho suggerito.
“È il suo grande amore, le ha chiesto di sposarla…” ho aggiunto in tono supplichevole.
“No mamma, Hailey non mi piace, i nomi in gara sono quelli: stanotte ci penso e domani decido.”
Mi rassegno di fronte alle sue volontà, ma mi conforta sapere che quando saremo sole, io continuerò a chiamarla Mina.
La sua cuccia, un piccolo letto imbottito di colore rosa, è già stato posizionato ai piedi del letto di Sofia e ora, che entrambe dormono beate e Michi è ripartito, sono pronta a vuotare la valigia e a sistemare i miei nuovi acquisti.
Sono nello Studio: la stanza dove la mia vecchia vita è andata in pezzi, ma la sensazione di tristezza mescolata a delusione, rabbia, ansia e voglia di piangere che avevo entrando qui, dopo quel tragico black friday, è scomparsa.
Il mio rifugio, in cui abiti e accessori sono divisi per tipologia e colore, per marca e modello, ha ripreso le sue sembianze.
Vedo solo i vestiti e mi è tornata voglia di metterli di tutti. Penso a cosa indosserò per il mio appuntamento con Olivia e voglio sorprenderla. D’improvviso, mi sento motivata, d’improvviso è come se la mia vita avesse riacquisito un senso.
Ma forse doveva andare così.
E su quella constatazione, che abbraccia fato e dinamiche di vita, realizzo che c’è solo una cosa che mi manca: le mie Louboutin.
Devo averle dimenticate sulla macchina di Michele, lo chiamerò domattina, ora voglio andare a dormire: è stata una lunga giornata.

 

VENTIQUATTRESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova