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4 Set

Ciao Saint Tropez!

Ciao Saint Tropez!

Ciao Saint Tropez!

 Illustrazione: Valeria Terranova

C

he poi uno si mette a pensare alle vacanze, immaginando l’ultimo giorno come quello più triste, ma per la mia famiglia l’ultimo giorno è il più pieno di tutti. Sveglia alle sette: nessuno fa cenno di alzarsi. Rifacciamo, sveglia alle otto e mezza:
“Buongiorno amori miei!”
Mio marito vorrebbe legarmi al letto come in “Misery non deve morire” e darmi quelle di Dio, le mie figlie hanno uno sguardo che assomiglia a quello di Linda Blair ne “L’esorcista”, ma non importa, poi mi ringrazieranno. Come da scaletta arrivano: l’ultima colazione, l’ultimo bagno al mare, l’ultimo sole, l’ultimo caffè sulla spiaggia, le ultime foto, l’ultimo pranzo, l’ultima merenda e l’ultimo tuffo in piscina. E mentre sto lì a godermi ogni singolo attimo, cercando di fare rifornimento di emozioni da riempirci il cuore fino all’anno prossimo, loro hanno la faccia di chi si è già rassegnato all’inevitabile partenza. Ma io me ne frego, vado avanti. Dopo l’ultima doccia, è il momento dell’ultima passeggiata: quella in cui si va a salutare tutto il paese perché poi ce ne andiamo.
E ignorando quei “Se Dio vuole…” pronunciati sotto voce, inizia il percorso a tappe che avevo già definito il giorno prima. I ragazzi del gelato, la signora del negozio che mi piace, l’estetista. La signora del vintage – Giaco da lei non è manco voluto entrare per paura che gli riproponessi la borsa che probabilmente non avrò mai. Il tabacchino, le ragazze di Sephora, il signore che sta sempre seduto a quell’angolo con i due cagnolini che le bimbe adorano. Il pianto di addio di Carola. Cosa manca? Una Tarte Tropézienne! Presa. Dove la mettiamo? Intanto in frigo, poi vediamo. Rientro in albergo: siamo tutti sudati.
“Ragazze, dai, una doccia veloce così andiamo a cena!”
“Mamma hai detto che quella di prima era l’ultima…”
“Mi sono sbagliata.”
E in quell’ultimo banchetto: la quiete prima della tempesta. Nel momento esatto in cui mio marito chiama la reception per comunicare che siamo pronti a partire e che possono ritirare i bagagli, io vorrei sparire, volatilizzarmi, morire. Il signore bussa alla porta ignaro di quello che lo aspetta, e appena apriamo per accoglierlo, lui sviene. Stecchito sul pavimento. Cerco di farlo rinvenire facendogli aria con una delle mie giacche di pelle, ma non c’è niente da fare. Mandano un sostituto, probabilmente un addetto alla sicurezza: un armadio da 150 chili dalle braccia enormi, che certo non si lascerà intimidire da un po’ di vestiti appesi. Lo stesso che ritrovo sette minuti dopo in reception mentre consegno le chiavi, tutto sudato e con gli occhi iniettati di sangue. Mi odia: è ufficiale. È un momento catartico, anche mio marito non se la sente di intervenire, preferisce tenere il cane al guinzaglio fingendosi impegnato con un espressione traducibile in: “io non c’entro! Ha fatto tutto da sola.”La macchina, ormai carica, è sul punto di esplodere. Ci avvicinano timidamente cercando di immaginare dove sederci visto che i sedili non si vedono più, ma in quel momento, Carola comincia a piangere.
“Amore cosa c’è?”
“Mamma, il mio cicciobello! L’ho lasciato in camera. Non possiamo lasciarlo qui: è mio figlio!”
“Mi sembra giusto, che razza di madre saresti!”
Trovo il coraggio di chiedere a Rocky Balboa le chiavi per l’ultima volta e mando le bimbe in camera a recuperare il figlio abbandonato. Dopo cinque minuti, ritornano con lui.
“Dove lo avevi lasciato?” le chiedo.
“Spiaggiato sul tavolo… ”
Emma ci interrompe mettendosi una mano alla bocca:
“Mamma, la Tarte Tropézienne! Abbiamo dimenticato anche lei, non possiamo lasciarla qui!”
“Hai ragione: con quello che è costata dobbiamo recuperarla.”
Emma corre giù per le scale e ritorna dopo cinque minuti tenendo tra le mani il pacchetto in cui si intravede l’alone della crema pasticciera: è il Santo Graal.
Ora pare sia davvero giunto il momento di dire addio. I sedili sono miracolosamente riapparsi, sistemiamo la torta sotto il sedile di Emma, il Cicciobello in braccio a Carola, Boy si accuccia ai loro piedi e partiamo. Fuori è buio, Giaco ha una mano sul volante, l’altra sul cambio, e io gli accarezzo il viso. Metto le cuffie per ascoltare la playlist che ha fatto la storia della nostra estate e penso che la vacanza è finita, ma il mio cuore è pieno di amore. Non dimenticherò un solo attimo… Mi dico sorridendo in modo quasi involontario. E mentre mi tolgo uno degli auricolari per fare una domanda, Carola mi precede:
“Si può sapere chi ha sganciato?”