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17 Set

Arrivederci Cortina

enrica alessi scrittrice

 

enrica alessi scrittrice

N

on ho ancora chiuso la valigia, sta lì, sul letto, aperta in due come un panino: da una parte, ciò che avrei dovuto indossare a Miami, dall’altra, le combinazioni stravaganti che hanno reso indimenticabili i miei momenti a Cortina. E nonostante lo shopping sfrenato di questi giorni, so che riuscirò a chiuderla.
“C’erano queste nell’armadio… le avevi dimenticate?”
A interrompere il mio momento utopistico è Michele che tiene in mano la scatola delle Louboutin.
Le stavo davvero lasciando qui?
Colpa della pelliccia multicolor che ha esaurito tutto lo spazio disponibile.
“Non essere sciocco, certo che no! Con quello che mi sono costate…”
Prendo la scatola che mi sta porgendo e guardo la valigia colma di abiti: non c’è posto nemmeno per uno stuzzicadenti.
Anche Michi sembra dubbioso, la sua faccia dice: ‘povera illusa, cosa credi di fare?’ ma lui è quello delle soluzioni facili per problemi difficili, troverà un sistema.
“Devi liberarti della scatola…”
Il sistema che ha trovato è troppo drastico.
“Non posso farlo!”
“Perché?”
“Stiamo parlando di accessori, di accessori importanti, tutti gli accessori importanti hanno la scatola…”
“È solo una scatola…”
“Sono le mie Pigalle.” ribatto.
“Le metterei nella mia valigia, ma si è chiusa per miracolo, infilala in una borsa e andiamo, ti ricordo che hanno già chiamato dalla reception: dovevamo lasciare la stanza un’ora fa.”

Paghiamo il conto, uno dei facchini ci aiuta a caricare i bagagli, lo ringraziamo e saliamo in auto. E mentre guardo fuori dal finestrino per salutare Cortina, che mi ha offerto un delizioso fuoriprogramma, Michi si mette in marcia.
Fa freddo, anche il riscaldamento dell’auto sembra aver bisogno del suo tempo per raggiungere la temperatura selezionata, le mie guance, invece, stanno già avvampando al pensiero dell’ultimo bacio di Paolo.
Apro la borsa che sta sulle mie gambe, raggiungo il telefono e controllo i messaggi, ma quello che immaginavo di ricevere non è ancora arrivato.
“Credi che dovrei scrivergli?”
La domanda vorrebbe sembrare disinvolta, ma l’impegno che ho messo nel formularla non basta a ingannare Michele.
“Assolutamente no.”
È categorico. Non amplierà la sua risposta per spiegarmi le ragioni che già conosco.
So bene che non tocca a me fare la prima mossa, devo farmi desiderare, gli uomini corteggiano le donne… ma la realtà è che non mi importa niente delle regole base del corteggiamento. La notte che ho passato con lui mi ha riempito la testa, liberandomi dal pensiero struggente di Davide, di Andrea e della nuova famiglia che vogliono mettere insieme, e questo elemento cambia tante cose.
“E invece dovrei…” dico decisa.
Michi distoglie lo sguardo dalla strada, vorrebbe osservarmi meglio per capire la ragione che mi spinge a difendere la mia posizione, ma sta prendendo l’autostrada e non può distrarsi. Approfitto del momento e vado avanti.
“Se gli interesso, sarà felice di sentirmi, se non è così, risponderà in modo distaccato o non risponderà affatto, ma voglio saperlo.”
“Lo sapresti comunque: se ti scrive, gli interessi, se non ti scrive…”
La sua frase, lasciata in sospeso di proposito, non solo mi fa capire che ha ragione, ma pure che né io né lui abbiamo il coraggio di considerare la seconda ipotesi, e tutto sommato, credo che abbia ragione: aspettare resta l’ipotesi migliore.
Annuisco, giusto per fargli capire che sono d’accordo con lui, lascio cadere il telefono nella borsa e cerco qualcosa di orecchiabile per radio.
Con tutte le canzoni natalizie a disposizione, tipiche del periodo, invece della classica ‘All I want for Christmas is you’ di Mariah Carey cosa trovo? ‘Can’t take my eyes off you’ di Gloria Gaynor. Sono di nuovo catapultata nel passato, e neanche troppo remoto.
È la sera della festa e il tema non poteva essere più azzeccato: ‘una cosa a tre’.
Io, Paolo e il Bocconcino Dai Dai.
Se non cambio stazione, tra sette secondi esatti, avrò di nuovo voglia di lui.
Spingo il pulsante e faccio ciò che devo.
“Perché? Era bellissima!” protesta Michele.
Fingo di non starlo a sentire e cambio discorso: “perché non chiami Mina per avvisarla che siamo per strada?”
“Io chiamo, tu, nel frattempo, cerca su Internet extension e decolorante per cani.”
Socchiudo gli occhi per dare al mio sguardo un aspetto più truce: è stato lui a suggerirmi dove trovare il chihuahua per Sofia, peccato che lei ne desiderasse uno biondo a pelo lungo e invece, a trattativa conclusa, viene fuori che il cane è nero a pelo corto.
“Sofia lo amerà così com’è.” dico fiera cercando di sorvolare su questo piccolo dettaglio. “Le ho insegnato che non si può giudicare basandosi solo sull’aspetto esteriore.”
“Ha solo sette anni e ha capito questa frase?”
La sua ironia pungente: tanto la amo, tanto la detesto. Mi fa perdere tempo. E per cosa? Solo per accontentare il suo gusto sadico di sentirmi rispondere con la cantilena di chi è costretto a puntualizzare l’ovvio.
“L’ho detto in modo diverso, ma il senso era quello.”
“Quindi mi stai dicendo che l’idea di tingerlo e infoltirlo non ti ha nemmeno sfiorato?” chiede divertito.
“No. Il cane nasce nero e rasato e morirà nero e rasato.”
La mia conclusione fa chiaramente intendere che sono una donna che non tradisce i suoi principi, neanche per un chihuahua a pelo lungo.
Michele mi chiede di cercare il numero sul telefono, premo l’indice sul tasto verde della chiamata, ma il vivavoce non si attiva. Gli passo il cellulare.
“Parlaci tu, io sto guidando.”
“Pronto…”
“No, l’amica è tua.” bisbiglio imbarazzata.
Avvicino la cornetta al suo orecchio, ma lui, divertito dalla scena, lo scansa.
E mentre quella poverina continua a dire ‘pronto’, senza alcuna risposta, prendo coraggio e la saluto.
“Mina buongiorno, sono Eva, l’amica di Michele.”
“Oh, sì: vi stiamo aspettando.”
“Siamo per strada, saremo da lei nel pomeriggio…”
“Lo so, Michele mi aveva già avvisato…”
Cosa mi sono persa? Quando?
Guardo il mio amico cercando la risposta a quel grosso punto interrogativo che mi sento sbucare sulla testa, ma lui, impassibile, continua a guidare con un sorrisetto ambiguo, senza togliere gli occhi dalla strada.
“Davvero?”
“Certo. E come da sue istruzioni, mi sono permessa di procurarti tutto il necessario per la piccola principessa.”
Istruzioni? Le sue istruzioni?
“Un paio di ciotole in acciaio smaltato, una cuccia lettino, un collare, un guinzaglio con dispenser di sacchetti da passeggio, salviette umidificate e profumate, e una spazzola per sciogliere i nodi.”
“Nodi?”
La mia domanda vorrebbe essere più ampia: la storia della spazzola mi ha messo un po’ di dubbi. Come può essere un chihuahua a pelo corto, se si sta parlando di nodi?
“Certo cara: il suo pelo ha bisogno di essere spazzolato almeno una volta al giorno, specie nella zone vicino alle orecchie, nella parte posteriore delle zampe, nella coda e nella criniera intorno al collo.”
Sono quasi commossa per la sua lezione dedicata alla manutenzione del pelo, ma lo sono di più per la mia intuizione riguardo la sua lunghezza: il chihuahua deve essere per forza a pelo lungo.
“Non so davvero come ringraziarla.” dico tra emozione e frenesia.
“Devi ringraziare Michele: è un caro ragazzo.”
Mi volto verso di lui, lo vedo gongolare in silenzio mentre tiene tutte e due le mani sul volante, saluto Mina, riattacco e gli schiocco un bacio.
“Non so cosa dire…” dico commossa.
“Puoi smettere di cercare schiarenti e parrucche.” suggerisce sorridendo.
Lo ha sempre saputo, ma ha preferito farmi credere il contrario. Perché?
“Mi viene il dubbio che il tuo scherzo, anche se ben riuscito, nasconda qualcosa di più, ammettilo: adori torturarmi psicologicamente…”
“Non è solo questo… Volevo capire se era rimasta traccia del tuo spirito di adattamento: quello che ho sempre considerato un grande esempio di approccio alle difficoltà.”
“E ce n’è ancora?”
“Più di quanto mi aspettassi.” conferma soddisfatto.
Ancora una volta mi spiazza. E non è il complimento che non mi aspettavo di ricevere a farmi emozionare, ma l’assoluta certezza che questo sia solo un passaggio per arrivare alla fase successiva del suo piano, che ancora fatico a comprendere.
Dove vuole arrivare?
“Sofia sarà felice.” dico quasi per circostanza, ma al momento, è solo questo che la mia mente suggerisce.
“E tu? Sarai felice?”
“Continuerò a essere ‘un grande esempio di approccio alle difficoltà’: farò del mio meglio per essere felice.” dico in tono accondiscendente.
In quella macchina, vicino a lui, sembra tutto possibile. Il mio umore sta ancora godendo dei benefici di questa piccola vacanza, ma non sarà così per sempre.
Michi tornerà a Milano, io rimarrò a Torino e dovrò vedermela con gli sviluppi imprevedibili della mia vita.
Quelli che non dipendono da me sono gli stessi che più mi spaventano e uno più di tutti: il rapporto tra Sofia e Andrea.
“C’è la possibilità che Sofia diventi sua amica…”
Il tono della mia voce muove compassione, ma non voglio fingere che questo aspetto non mi faccia soffrire.
“Sono quasi coetanee, può essere.” interviene prontamente, quasi a voler sdrammatizzare. “Ma non potrà mai sostituirti, non prenderà mai il tuo posto.”
“Già…”
Ma prima che possa aggiungere un però, lui mi anticipa:
“Ci sono cose che non dipendono dalla tua volontà: succederanno e basta, e tu saprai come affrontarle. E ci sono quelle che invece dipendono da te… io mi concentrerei su quelle…” dice strizzandomi l’occhio.
“Stai dicendo che posso scrivergli un messaggio?”
Ora che ho la sua benedizione, mi sento anch’io un chihuahua: mi sembra quasi di scodinzolare.
“Olivia sarà felice di sentirti.”
Il sorriso eccitato va in mille pezzi.
Olivia: chissà da quanto aveva quel nome sulla punta della lingua?
“Stavo parlando di Paolo…”
“Avevo capito.” dice sbuffando.
“Olivia non vorrà più saperne di me, sono passati troppi anni, mi sono trasferita e ammesso e concesso che sia disposta a riprendermi, come posso gestire un lavoro a distanza?”
“Se non la chiami, non lo saprai mai.”
Come dargli torto?
“Lo farò. Prima o poi lo farò…”
Chi voglio rassicurare? Lui? Me?
Sto mentendo: non sono pronta ad affrontare la questione lavoro, non adesso.
“Arriverà il momento in cui penserò anche a questo, ma ora ho una figlia di cui occuparmi, un cane da gestire e un’infatuazione da tenere a bada, se aggiungessi il lavoro…”
“Avresti una nuova vita.”
Come sono diverse le prospettive a seconda dei punti di vista: io avrei detto un gran casino.
“Lo farò.”
“Quando?”
“Presto.”
“Non mi basta.”
Posso sempre tergiversare e prendere tempo per pensarci: è una decisione importante.
“Quando?” ripete.
“Domani.”
“Oggi.”
“Certo! Chiamiamola ora…” dico afferrando il telefono.
“Ottima idea.”
Perché la mia ironia non viene mai capita?
Alzo gli occhi al cielo: sono esasperata dalle sue pressioni.
“Michi: è troppo presto.” insisto.
“Devi fidarti di me.”
La sua mano abbandona il pomello del cambio e si appoggia sulla mia, la stringe.
Sento il suo affetto, il desiderio di vedermi rinascere, sento che se lui è con me, tutto andrà bene.
“Okay, hai vinto: la chiamo. Nel viaggio di ritorno.”
“Prometti?”
“Prometto.”
Gli ho dato la mia parola: non posso tirarmi indietro, io sono ‘un grande esempio di approccio alle difficoltà’.
E mentre mi immagino su quell’ipotetico podio, il telefono che ho in mano vibra: è un messaggio di Paolo.

VENTITREESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova