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7 Set

La nonna Anna

La nonna Anna

La nonna Anna

L

a nonna Anna è siciliana. Ha le sue abitudini, i suoi modi di dire e uno stile pazzesco: un mix tra Joan Collins e Kylie Minogue. Quando ero piccola e finiva la scuola, io, mio fratello e mio cugino andavamo al lago di Garda con la nonna. Stavamo con lei due mesi, e ancora oggi mi domando come riuscisse a gestire tre bambini di 5, 10 e 11 anni, che insieme erano l’inferno in terra. Gliene abbiamo combinate di tutti i colori. E nonostante lei lo immaginasse, passava a prenderci con la sua Citroën Visa rosso fuoco – carica di bagagli e di tanta, tanta, tanta pazienza. Si cominciava a farla impazzire dal viaggio in macchina. Ogni pretesto era buono, specie se ci veniva servito su un piatto d’argento con situazioni come questa:La nonna sta guidando, quando si concede un attimo per dare uno sguardo alla distesa verde che scorre alla nostra destra.
“Io lì ci andavo col nonno a fare i picchinicchi.”
Io guardo mio cugino, mio cugino guarda mio fratello. Tutti e tre guardiamo la nonna.
“Nonna cosa sono i picchinicchi?”
“I picchinicchi! Una tovaglia sul prato e un pranzo leggero: arancini, pane e panelle… un picchinicchi!”
“Nonna, si dice: pic-nic!”
“Eh! E io cosa ho detto? Picchinicchi.”
In quel momento: quella parola pronunciata con il suo accento siciliano diventa la miccia della bomba che si è appena innescata in macchina. Tutti e tre ci mettiamo a ridere. Ma non con una bella risata che dopo sette secondi al massimo si spegne. Quelle risatine intermittenti che come spilli punzecchiano il sistema nervoso. Le nostre erano così. E pure peggio. L’attacco di ridarella poteva durare anche per tutto il tragitto Modena-Sirmione. Anche il Dalai Lama ci avrebbe riempito di schiaffoni. Ma lei no. Si limitava a minacciare di buttarci fuori dall’auto in corsa o, peggio, di riportarci a casa dai nostri genitori. E in entrambi i casi ci saremmo fatti molto male. Era meglio mettersi buoni e tranquilli. Almeno per un po’. Ma quello era solo l’inizio. Perchè quelle risatine a tavola scatenate da qualsiasi cosa, la facevano andare fuori di testa. Ci guardava con un’espressione traducibile in: “mi state sfidando?” e noi ridevamo ancora di più. E fossero state solo le risate.
I bagni fatti di nascosto, i tetti dell’auto ammaccati per le pigne tirate dal terrazzo, l’orto distrutto per una guerra all’ultimo ortaggio. Una volta abbiamo addirittura appiccato un incendio.
Per ripristinare l’ordine, la nonna usava oggetti rupestri risalenti al neolitico: pietre, ciottoli, cucchiai di legno, a volte anche zoccoli. E l’unico modo per evitare la collisione con l’oggetto non identificato era quello di rimanere immobili, dato che l’irruenza rendeva i lanci imprecisi. Qualche volta ci prendeva, altre no. E quando non ne poteva più, ci faceva preparare le valigie, ci caricava in macchina facendoci pensare che stesse facendo sul serio, mentre cercava di smaltire la crisi isterica – o presumibilmente un principio d’infarto – sdraiata sulla poltrona sotto il gazebo sventolavando il ventaglio. Eravamo stati noi a fare questo? Scendevamo dall’auto, l’abbracciavamo e le chiedevano scusa. Lei si scioglieva e ci faceva scaricare i bagagli.
Dopo un paio d’ore di buoni propositi, tutto ricominciava da capo. E nonostante tutto, ogni estate ripeteva portandoci con sé per regalarci una collezione di momenti che ancora oggi ci fanno morire dal ridere. Grazie nonna!

Illustrazione: Valeria Terranova