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20 Apr

Eravamo quattro amiche al bar Part 2

enrica alessi scrittrice crem's blog

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L

a Claudia non ha nessuna idea sulla destinazione da raggiungere — e francamente, la invidio. Io vorrei non saperlo che sto per prendere un aereo: il solo pensiero mi terrorizza. Non amo volare e da quando sono mamma, la situazione è peggiorata: ho delle vere crisi di panico. La Tilla, che ha organizzato il viaggio, credo non abbia tenuto conto della cosa, — o avrebbe scelto una località raggiungibile via terra — ma è un addio al nubilato, e io non posso perderlo. Per non sbagliare, ho salutato la mia famiglia come se fosse l’ultima volta, non si sa mai. Ma non ho smesso di pensare ‘positivo’, mi sono pure vestita di verde. Verde speranza: ‘io speriamo che me la cavo’. Sul pulmino c’è l’amante per eccellenza di questo colore, si chiama Lucy ed è l’amica del cuore della Claudia. È una guest star: esce solo per le puntate d’eccezione.La guardo e sorride, è come la Tilla: si vede che non hanno paura di volare. Pure la Stephi ha gli occhi sereni. Possibile che sia solo io ad avere un problema con un pezzo di ferro con le ali, che potrebbe precipitare da un momento all’altro? Il viaggio in macchina dura circa quaranta minuti e io non riesco a sorridere. Meno male che la Claudia è bendata: non sarebbe felice di vedermi con questa faccia. E a essere sincera, immaginarla con uno sguardo più terrorizzato del mio, mi fa sentire meglio. In questi casi, hai bisogno di sapere che qualcuno sta peggio, o forse, vuoi solo convincerti che quel ‘qualcuno’ non sei tu. Tolgo gli occhi da lei, guardo fuori, e sulle note di “Non ti scordar mai di me” di Giusy Ferreri, vedo l’aeroporto in lontananza. Considero l’idea di buttarmi dalla camionetta in corsa, ma poi, penso alla nonna Anna. Nella nostra famiglia, è lei l’appassionata di viaggi, e cerca sempre di farmi coraggio: “Enrica, come ti devo dire: siamo destinati.”
Okay nonna, Ma se il mio destino è scritto, chi mi garantisce che la sua ultima parola non sia ‘precipitare’? E su quel punto interrogativo, la camionetta di squilibrate arriva davanti all’aeroporto, e io non credo di riuscire a scendere. L’autista apre il portellone, la Stephi toglie la benda dagli occhi della Claudia, e sfodera il suo sorriso da Pretty Woman. Anch’io mi fingo divertita, ma la storia del ‘destinati’ non mi lascia in pace. Che faccio? Intanto scendo. Poi, se trovo l’altro pezzo di coraggio che mi serve per salire, è fatta: proviamoci. Mi metto in fila, dietro la Tilla che sventola i biglietti per l’imbarco: io sento le viscere che vengono attratte dall’asfalto che ho sotto i piedi. Una strana forza paranormale mi conduce verso l’ingresso, e così, quasi senza accorgermene, trasportata dalle risate, dalle chiacchiere, dallo scricchiolio dei trolley che ci seguono sul marciapiede di porfido, le porte si aprono e sono dentro. Quindi, partiamo davvero? Mi giro e guardo la vetrata. Se fossi un fumetto, sulla mia nuvola ci sarebbe scritto: ‘io non ci salgo su quel ‘coso’”.
Devo calmarmi.
“Chi vuole un caffè?”
“Un caffè? Sei sicura Erri?”
Che carina la Stephi si preoccupa sempre. Forse ha ragione, il caffè agita, ma ho bisogno di bere l’ultimo, prima di morire.
“Stai tranquilla: a me fa l’effetto contrario.”
Mi accompagna al bar e le ragazze ci seguono. La Lucy prende le ordinazioni e va alla cassa, ma sentiamo chiamare il nostro volo: siamo in ritardo. Per il caffè non era destino, speriamo bene per il resto. Ci dirigiamo all’imbarco, la Tilla consegna il biglietto alla Claudia, che scopre dove la destinazione: Londra. Esplode di felicità — per poco non si becca un taser — ma riusciamo a sedare il suo entusiasmo, bendandola di nuovo. Saliamo sull’aereo: la scena che ho di fronte, mi fa pentire di non essermi scolata quel mignon di liquore che mi aveva dato la nonna Anna — quello che ho abbandonato all’ultimo, dentro un cestino. È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che sono salita su un aereo e ricordo che i posti erano assegnati. Qui, invece, sembra di essere sul pullman delle medie, in cui si rischia la vita per stare vicino al finestrino. Voglio bene alla Claudia, ma non so se ce la faccio. E la Lucy, che sta un più avanti, ci fa segno di seguirla.
“Forza venite! Ci sono dei posti liberi qui.”
Mi sento svenire. La musichetta in sottofondo è irritante, qualcosa mi sta dicendo di scendere. Penso a ‘Cast Away’, ad ‘Alive’ e a ‘Final Destination’… poi il sorriso della Stephi mi riporta alla realtà: “Vieni Enri, ti ho trovato un posto vicino al finestrino.”
No. No. No. Dove si vede tutto, io non ci voglio stare.
“Te lo lascio Stephi.” dico con un sorriso forzato.
“Allora siediti vicino a me.” suggerisce entusiasta.
Perché nessuno capisce che sto male? Devo sedermi. Appoggio la borsa sotto la mia poltrona e provo a stendermi.
“Sto male, voglio scendere.”
Lo dico sottovoce, mentre guardo la vignetta che ho di fronte, che mi mostra cosa fare, se l’aereo dovesse precipitare. Mi manca l’aria. La Claudia, che è ancora bendata, è seduta dietro di me, prende lo schienale della mia poltrona e si mette a scuoterlo. La Stephi si volta, la ferma e dice:
“Aspettate: l’Erri ha paura.”
Poi, mi prende la mano.
“Se vuoi scendiamo Erri, dico davvero.”
Le lacrime finiscono sulla mia giacca verde di velluto.
“Possiamo passare per la Manica…”
“Sì, e arriviamo a festa finita.” dico mentre cerco un fazzoletto per salvare muco e make-up.
La Stephi sa che ho ragione: partiamo oggi, torniamo domani: si può fare solo con un aereo. Se non trovo il coraggio di restare, mi perderò la serata a sorpresa che abbiamo organizzato.
“Ce la faccio. Andiamo!”
Le stringo la mano, porto la testa indietro, chiudo gli occhi e controllo il respiro. I momenti peggiori sono due, decollo e atterraggio: meglio affrontarne uno per volta. Sento i motori che si scaldano, apro gli occhi e vedo le hostess che passeggiano per i corridoi con quel sorriso che dice: ‘paura di volare, eh?’. Ti danno il biscottino di incoraggiamento e via, si parte. Ho arpionato i braccioli della poltrona, della mia manicure non resta più niente, ma dopo il ‘primo momento peggiore’, faccio anche un pisolino — tragicamente interrotto da uno schiamazzo della Tilla.
“Vedo la pista di atterraggio!”
E adesso, strano a dirsi, non vorrei più scendere: sta arrivando il ‘secondo momento peggiore’. La Stephi dorme, ma devo svegliarla per farle mettere la cintura. Le afferro la mano e lei apre gli occhi, in due riprese, e un attimo dopo, mi mette a fuoco.
“Secca, legati stiamo per cadere.”
“Come ‘per cadere’.”
“Per atterrare, scusa, volevo dire: stiamo per atterrare.”
Ecco, lo sapevo, è una premunizione: tutta colpa dei ‘destinati’. Questo coso cadrà tra cinque, quattro, tre. Al due siamo già atterrati. E rimettere piede sulla terra, mi fa sentire come Armstrong, il 20 luglio del ‘69. Ora sì che sono felice.
“Ragazze, controlliamo la partenza di domani.” suggerisce la Tilla indicando i cartelli luminosi.
Ora sì che sono cacchi. Il pensiero di rivivere lo stesso incubo anche domani, mi increspa il sorriso. Vabbe’. Domani è domani. Adesso: carpe diem. Recuperiamo le valigie, ma ci vogliono altre due ore di treno per raggiungere il centro: voglio morire. Decido di sopravvivere e arriviamo nella zona Earls Court, dove la Tilla ha prenotato un delizioso albergo. Delizioso sì — solo da fuori. Definiamo le camerate: le alte e le basse. Io finisco inevitabilmente nella seconda, insieme alla Claudia e alla Lucy. L’incontro è tra mezz’ora nella hall, tempo di sistemare i bagagli e noi stesse. La nostra stanza è piccola, l’armadio inesistente. E in bagno ci entri solo se sei trenta chili: è strettissimo. Ma il desiderio di fare una doccia non conosce confini. E così, immaginando quello spazio infinito, entro per prima. Mi lavo. Mi trucco ed esco. Lascio entrare la Lucy, e sistemo i bagagli. Dopo mezz’ora, siamo tutte nella hall. Pronte per una passeggiata a Notting Hill. E dopo un hamburger vegetariano, una tappa in un mercatino, e una borsa rossa in vernice del Trenino Thomas per Emma, giunge l’ora di prepararci per la serata. La Claudia è stata costretta a vestirsi con una mise da ballerina, ma abbiamo avuto pietà: consegnandole un body e una gonna di tulle — tutto rigorosamente nero. Il motivo è lo stesso della sorpresa del viaggio. Lei ama i balletti e stasera, la portiamo a vedere il musical di Billy Elliott. La benda sugli occhi torna in scena, e questa volta sono io a toglierla, davanti al teatro. Il suo viso si illumina e io sono felice, felice di essere qui, seduta su una poltrona, pronta a godermi lo spettacolo. Le luci si spengono, anche il brusio, e il sipario si apre. Poi, dopo gli applausi, le immagini sono confuse e i ricordi sempre più vaghi.
Un paio di Stewart Weitzman dolorose, una cena prenotata in un ristorante chiuso da sei mesi — dirottata su un Asia de Cuba. Un temporale… E poi, una promessa: quello che succede a Londra rimane a Londra.

Illustrazione: Valeria Terranova