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5 Nov

La chance

enrica alessi l'amore ai tempi supplementari

enrica alessi l'amore ai tempi supplementari

E

ro sicura di averlo messo qui, nella sezione del guardaroba dedicata ai marchi francesi, ma mentre le mie mani fanno scorrere gli appendiabiti di Rochas, Chanel e Dior, tra quelli di Givenchy, il vestito con la crinolina non si trova.
Ripenso alla domanda di Michele : ‘ce l’hai ancora?’ e in quel preciso momento, realizzo di averglielo prestato per uno shooting fotografico e non me lo ha mai restituito. Potrei ucciderlo.
Controllo l’orologio: non ho molto tempo per inventarmi un piano B, alla mia vendetta dovrò pensare più tardi.
Mi volto di trenta gradi: sezione British, nella fila di abiti appesi, c’è un mini abito rosa di Stella McCartney che sta bene con tutto ciò che io e Michi avevamo deciso, cambierei solo la giacca. Al posto di quella di pelle, meglio questo cappotto nero di Paul Smith: li accosto e dico sì.
Alle nove meno cinque sono pronta e favolosa, e mentre aspetto, non posso fare a meno di chiedermi, se quei minuti che mi avanzano siano stati risparmiati di proposito dal mio inconscio per farmi domande sull’uscita di stasera.
Dopo la fine di una relazione importante — specie se quest’ultima ha dato vita a un discendente diretto di cui prendersi cura — è necessario tenere in considerazione alcuni accorgimenti per evitare di essere fraintese. Non si può essere troppo romantiche o si rischia di dare l’idea della ragazza single che ha un bisogno disperato di sistemarsi. E non si può nemmeno essere troppo disinvolte, il messaggio potrebbe essere frainteso e tradotto come mancanza di serietà femminile: la posta in gioco è altissima.
Come dosare nel modo giusto gli atteggiamenti, quando le emozioni prendono il sopravvento?
Ci vorrebbe uno schema con cui valutare le sfumature di ogni singola situazione, o anche solo Michele e un suo discorso d’incoraggiamento per farmi passare ogni dubbio, ma anche se lo chiamassi a due minuti dall’appuntamento, non risponderebbe. E prima che mi venga un’altra domanda riguardo al tipo misterioso con cui è uscito stasera, suonano alla porta.
È arrivato: sono emozionata come una quindicenne al suo primo appuntamento — anche se ho il doppio degli anni ed è il secondo per essere esatti.
Sollevo il citofono e rispondo.
“Scendo?”
“Sì, puoi portarmi la spazzola di Olivia?”
Che cosa? C’è Davide qui sotto e Paolo sarà qui a minuti.
“Sto arrivando.” dico tentando di nascondere l’evidente stato d’ansia causato dalla sua improvvisata.
Mi infilo il cappotto, recupero la spazzola ed esco di casa alla velocità della luce.
Vorrei prendermi a sberle per aver convinto Sofia a portare Olivia con sé e mi prenderei a pugni per non aver ricordato che spazzolare il suo chihuahua è diventato un rituale che precede la nanna, e credo pure che mi sfiori il pensiero di farmi esplodere, se considero che è quasi matematico che quei due stanno per incontrarsi davanti a casa mia. E mentre prego che Dio mi stia guardando per intervenire ed evitare il disastro, apro la porta e mi rendo conto che deve avere questioni più importanti da risolvere: sono tutti e due di fronte a me.
L’aria non è solo gelida, è pesantissima.
Che dovrei fare adesso? Presentarli?
È in momenti come questo che rimpiango di non aver chiesto a Babbo Natale il neuralizzatore di Men in Black. Se lo avessi in tasca, potrei sparaflasharli entrambi dicendo: siete due alieni e il bagliore che avete visto non è quello dei fari delle vostre auto, ma un ufo.
“Ecco la spazzola…” dico porgendogliela.
“Sofia ha insistito o non sarei tornato.”
“Non preoccuparti…” mormoro.
Siamo entrambi in imbarazzo, come Paolo del resto, che con una risata a denti stretti, mi saluta.
Ricambio fingendomi a mio agio, ma sono consapevole che non si aspettasse un aperitivo a base di ‘ex marito’.
“Ci vediamo domani.”
Davide fa un cenno con la mano, risale in auto e se ne va.
Resto immobile per un paio di secondi a fissare i fari della sua macchina che si allontana, poi, mi volto verso Paolo.
Di fronte agli imprevisti, i miei tempi di reazione sono quelli di un bradipo: avevo immaginato l’incipit del nostro incontro in modo diverso, ma ora sembra difficile cominciare da capo e mettere in scena il bacio e l’abbraccio che avevo in mente.
“Non lo aspettavo, scusami…”
Come inizio non è granché.
“Hai fame?” chiede strizzandomi l’occhio.
Questo invece è decisamente un inizio migliore.
“Sì, ho fame.”
Sorrido e salgo in auto.
Decido che per salvare la serata, fingerò di auto sparaflasharmi per cancellare dalla memoria gli ultimi quattro minuti di vita vissuta, metto da parte l’imbarazzo e faccio una domanda:
“Come stai?”
“Bene e tu?”
“Bene, com’è andata con il tuo cliente?”
“Ho concluso la vendita, sono soddisfatto… e felice di vederti.”
Le luci dell’abitacolo sono spente o il bollore che sento sulle guance si tradurrebbe in un chiaro ed evidente rossore che è meglio nascondere.
Sorrido e d’istinto metto la mia mano sulla sua, che sta sopra al cambio.
“Allora, dove mi porti a cena?”
“Qui gira a destra.” dico mentre l’auto si ferma sotto il semaforo rosso. “Andiamo da Lavazza: fanno delle uova al tartufo buonissime.”
Ci guardiamo e in attesa che arrivi il verde, non so cosa mi prende. Sì insomma, si capisce dai suoi occhi — e anche dai miei — che siamo fortemente attratti l’uno dall’altra, che la voglia di entrambi non è quella di metterci a tavola, tantomeno di mangiare delle uova al tartufo, ma nell’eventualità — ripeto: nell’eventualità — in cui si stesse pensando a una storia presumibilmente seria — ho detto presumibilmente — certe cose sarebbe bene chiarirle da subito. Il semaforo è ancora rosso, ma io prendo il via:
“Ti ringrazio per non aver fatto domande, ma tralasciando il fatto che non ci siamo visti per vent’anni, ci conosciamo da tanto tempo e in nome della vecchia amicizia, credo sia giusto chiarirti la situazione…”
So cosa succederà: ora spingerà uno di quei pulsanti luminosi della consolle e attiverà la leva di espulsione per lanciarmi fuori dall’auto che è appena ripartita. Ma non sono capace di fingermi disposta a una storia di solo sesso — seppure tantrico e meraviglioso.
“Ti ascolto.” dice prendendomi la mano sinistra che sta quasi stritolando il mio ginocchio.
Diciamo che sono un po’ nervosa, ma queste erano esattamente le parole che volevo sentirmi dire: non una di più, non una di meno.
“Sono sposata con lui da otto anni, ho lasciato il mio lavoro per seguirlo, per costruire la famiglia che entrambi volevamo. È andata bene per un po’, fino a che non ho scoperto che mi tradiva…”
Eviterei di dirgli con una più giovane, non è il caso: sarebbe come sparare sulla croce rossa.
“Ho superato la cosa.” continuo. “E domani avrò un colloquio nell’azienda che ho lasciato dopo il matrimonio. Ero… anzi, sono una designer di accessori e il mio lavoro mi manca moltissimo.”
All’improvviso, è come se mi fossi tolta un peso dal petto e uno dal cuore: sto decisamente meglio.
“Non lo sapevo… e qual è la tua specialità?”
“Me ne sono andata troppo in fretta per scoprirlo, ma ho lavorato a un bellissimo prototipo di…”
Pantofola in raso con inserti in lapin?
La pantofola è un’accessorio di concetto, gli uomini non capiscono queste cose, penserebbe a una Fly Flot e la Fly Flot è il deterrente numero uno per il sesso.
Arrossisco al pensiero di stare sotto le lenzuola con lui, ma posso ancora concedermelo: siamo in macchina, anche se per poco.
“Qui a destra, poi subito a sinistra e siamo arrivati.”
Le indicazioni stradali da impartire tempestivamente, mi concedono ancora qualche secondo.
“Cosa stavamo dicendo?” chiedo, fingendo di aver dimenticato l’argomento principale.
“Hai lavorato a un bellissimo prototipo di…”
“Potrei dirtelo, ma poi dovrei ucciderti.”
Sembro davvero Clint Eastwood ne Il brutto, il buono e il cattivo.
“Ecco il ristorante.” dico indicandolo.
E ora che abbiamo archiviato il ‘protocollo pantofola’, possiamo entrare e gustarci la cena. Afferro la maniglia per aprire la portiera, ma una delle sue mani mi accarezza la nuca, mi volto e il bacio che avevo lasciato in sospeso nel mio immaginario si materializza sulle mie labbra.
In quel momento, vorrei soltanto che avessero tolto le uova dal menu.
“Ho fame, andiamo.” dice dandomi una pacca sul ginocchio che stavo martoriando fino a poco fa.
Peccato.
Scendiamo dall’auto e attraversiamo la strada per entrare.
Dannati sanpietrini, dovrei chiedere un rimborso al sindaco per tutti i tacchi che mi hanno distrutto: pare che la condizione necessaria per indossarne un paio sia di camminare in punta di piedi: in un’altra vita farò la ballerina.
Lui apre la porta e mi cede il passo.
Entriamo.
Ciò che più amo di questo ristorante è che non sembra un ristorante: all’ingresso c’è un bancone da bar e sulla parete che sta alle sue spalle, ci sono le immagini al neon dei caffè speciali di Lavazza.
Le persone di passaggio, che si fermano attratte dall’insegna, non possono immaginare che ci sia molto di più di un caffè, ma sulla sinistra, c’è un passaggio che conduce a una saletta deliziosa che pare destinata a pochi intimi. Anche Paolo ha la stessa espressione dubbiosa, gli sorrido per rassicurarlo e raggiungo la sala per controllare che ci abbiano sentito arrivare.
Non saprei dire se ringraziare o maledire ciò che ho appena visto, ma quel che è certo è che non rimarremo a cena qui.
“Dobbiamo andare via.”
“Perché?” chiede basito.
Tra quattro secondi il cameriere verrà a chiederci il nome della prenotazione e ci farà accomodare al tavolo che sta vicino a quello di Donna Lucia e di suo marito: non si può fare. Sono sicura che lei non mi abbia visto e questa fortuna non si ripeterà. Prima a Cortina, poi nel ristorante sotto casa, sembra una congiura: le madri perfette mi perseguitano.
“Hanno tolto le uova dal menu…”
Lo prendo a braccetto e mi fiondo fuori dal ristorante.
“Mi dici che succede?”
Il suo tono è tra il curioso e il divertito, ma prima che mi prenda per pazza, dovrò dargli una spiegazione.
“Dentro c’è Donna Lucia…” bisbiglio.
“Chi è?”
Mi guardo le spalle per assicurarmi che nessuno ci abbia visto e attraversiamo la strada.
“Una delle mamme della scuola che non sopporto.”
Lui scoppia a ridere.
“Una come te che ha paura di una mamma? Credevo fossi tu quella da temere.”
Vorrei ringraziarlo per la considerazione, ma è chiaro che non ha presente di chi stiamo parlando.
“Credimi sulla parola: non sai con chi abbiamo a che fare…”
Ride di nuovo.
Che sia la mia espressione che copre tutte le sfumature che vanno dall’atterrito al drammatico a divertirlo tanto?
“Allora ti credo… cucini tu per me?”
chiede ironico, mentre preme il pulsante delle chiavi per aprire la macchina.
Non ho un menu, ma qualcosa mi inventerò.
“Certo, non vedo l’ora.”

Risaliamo in auto, Paolo mette in moto e accende la radio.
“Ecco: ho impostato l’indirizzo di casa mia sul navigatore del telefono…” dico appoggiandolo sulla consolle.
E sulle note di Closer dei Chainsmokers, sento di aver messo in salvo me stessa e anche la nostra serata.
“Sei bella come il giorno in cui ti ho incontrata, non ricordo proprio il motivo per cui ti ho lasciata, ero pazzo…”
Vorrei emozionarmi per le parole che gli ho appena sentito dire, ma sono la traduzione esatta della canzone che, forse, sta solo canticchiando. Approfitto della fila all’incrocio per accertamene.
“Canti bene…” dico in tono provocatorio.
“Dimmi… perché ci siamo lasciati?”
Allora erano davvero rivolte a me quelle parole.
“Che io ricordi non ci siamo lasciati.” preciso. “Ci siamo solo persi di vista.”
“Ma ora sei qui… ci sarà un motivo se ora sei qui?”
La sua domanda mi spiazza.
Sì ecco: io sono quella che è appena stata lasciata da suo marito, quella che sta cercando di ricomporre il puzzle della sua vita, quella che avrebbe bisogno di innamorarsi di nuovo e lui è il candidato ideale, ma per quanto mi sforzi di tenere a freno le mie emozioni, i miei desideri, le mie prospettive future, queste parole fanno pensare che anche lui sia disposto a concedersi un rapporto con la R maiuscola, ma se non fosse così? Se mi stessi illudendo? Se fosse il mio subbuglio emotivo a farmi credere alla favola?
“Per le indicazioni stradali?” chiedo cercando di sdrammatizzare.
Paolo dà uno sguardo al navigatote per controllare la strada, ma sembra infastidito dalla mia domanda.
“Mi piaci Eva…”
Perché non glielo dico? Perché non riesco a dire ‘anch’io’?
L’amore è tanto semplice e io non faccio altro che complicarlo. E mentre prendo coraggio per capire se stiamo facendo sul serio oppure no, il suo telefono, che sbuca dalla tasca della giacca, si mette a squillare. Mi chiede di prenderlo e leggo il nome della chiamata: Camilla.
Glielo porgo rimanendo impassibile, ma lui non risponde. Lo vedo sbuffare, mette il telefono in modalità silenziosa e lo ripone in tasca.
Chi è? Cosa vuole da lui? Ma sopratutto,
al secondo appuntamento, posso o non posso fare queste domande ad alta voce?
Al diavolo i pensieri: se sono in questa macchina con lui dopo vent’anni, ci sarà un motivo: gli piaccio e anche se tra sei minuti saremo sotto casa mia, sono disposta a sabotare la nostra serata, pur di sapere chi è Camilla.
“Chi è?” chiedo.
Sbuffa di nuovo, ma sembra infastidito dalla situazione, più che dalla domanda.
“Anche io ho avuto una storia seria… per quasi cinque anni.”
Sta usando il passato, ma lei lo sta chiamando al presente e il mio istinto mi dice che in tutto questo ci sia qualcosa di imperfetto.
“Ci siamo lasciati tre mesi fa…”
Chi è stato? Perché? E lui è ancora innamorato di lei?
“Quando abbiamo capito che volevamo cose diverse.” conclude.
Senza saperlo ha risposto a due domande su tre, ma all’appello, manca quella più importante.
“Però lei ti chiama ancora…” mormoro.
“So che stai pensando: che tra noi non è finita, ma lo è, almeno per quanto mi riguarda.”
Non c’è risentimento nelle sue parole, sembra sincero e io non ho motivo di dubitarne: non mi avrebbe chiesto di prendere il telefono, se avesse qualcosa da nascondere.
“Ti credo.”
Questa chiamata inaspettata è inaspettata quanto la visita di Davide di stasera: non sono nella posizione di muovere critiche.
E poi lo sanno tutti che il mio istinto fa schifo, forse è solo un caso, il caso che mi sta dando l’opportunità di chiarire la nostra situazione.
“Anche tu mi piaci. Mi piaci tanto e vorrei che fossi la mia nuova chance. Quindi ti prego: nel caso in cui non mi vedessi allo stesso modo, dimmelo subito.” dico decisa.
È sottinteso che in caso contrario, almeno per stasera, sarei disposta a fare un’eccezione e a mettere da parte la chance, in cambio di quel meraviglioso sesso tantrico.
“Facciamolo.”
Che cosa? La chance o il sesso?
“Sei la mia chance.”
Lo ha detto veramente?
Potrei svenire dall’emozione. Ma al sesso non ci rinuncio.

VENTINOVESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova