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16 Feb

Insalata di polipo o insalata di pomodori?

enrica alessi scrittrice

 

enrica alessi scrittrice

P

ositano by night straccia tutte le cartoline del mondo: toglie il fiato da quanto è bella. E io che pensavo di aver già visto tutto. Invece, ho pure organizzato una cosa a tre senza rendermene conto. Si vede che questa è la giornata delle sorprese. Per le vie del centro c’è profumo di citronella, e anche di shopping: i negozi a cui ho pensato tutto il pomeriggio sono qui, e questo sulla destra merita una piccola tappa. Sono di fronte alla vetrina, mi chino e fingo di sistemare il cinturino dei sandali per posare i miei occhi su quell’abito di Emilio Pucci. Lo voglio. Non ora. Non posso adesso, ma ti porterò via con me, te lo prometto. Gli dico sottovoce mentre mi rialzo. Giaco mi prende la mano e dopo una decina di gradini, siamo su una splendida terrazza. Il ristorante è il primo sulla destra, Sergio ci sta aspettando all’entrata con un bellissimo completo bianco: la versione estiva di Tony Manero. Ci salutiamo e Mario, il proprietario, ci fa accomodare in uno dei tavoli all’aperto. Mi siedo accanto a Giaco e Sergio prende posto di fronte a lui.
“Allora ragazzi, che ne dite?”
Il suo completo 100% lino è assolutamente discutibile, ma il posto è delizioso.
“Molto carino.” rispondo entusiasta.
Mario arriva con il menù e ce lo consegna. Faccio per aprirlo e scegliere la mia portata, ma Sergio mi anticipa.
“Allora Mario, questi ragazzi sono appena arrivati a Positano, diamogli il benvenuto con una bella pizza fritta e una treccia di mozzarella…”
“Ci sto.” dice Giaco con aria soddisfatta.
“Certo, faccio preparare subito, intanto vi lascio dare un’occhiata al menù.”
Come se dopo una pizza fritta e una treccia di mozzarella ci fosse altro da aggiungere, ma non eravamo venuti per gli spaghetti? Quelli sono arrivati solo dopo gli antipasti, seguiti da una frittura mista, un pescato del giorno, una degustazione di dolci, caffè e ammazzacaffè. Mi sento esplodere e non sembro essere la sola ad avere un problema di digestione. Giaco ha un espressione imbarazzata che fatico a decifrare, forse gli è rimasto qualcosa sullo stomaco. Al momento del conto, mi colpisce sulla coscia: questo è un segnale, un segnale che non riesco a decifrare. E se stesse cercando di dirmi che ha dimenticato il portafoglio? Magari chiedendosi se per caso ho un po’ di soldi nella mia clutch a forma di stella. Io l’avevo detto che stavamo esagerando. Che bisogno c’era di ordinare tutta quella roba? Sarebbero bastate pizza e treccia per sfamarci. E mentre mi immagino in cucina a lavare i piatti per pagare il conto, Giaco mette la carta di credito sul tavolo. Siamo salvi.
“Vi va di andare a ballare? C’è una discoteca proprio su quella terrazza laggiù.” chiede Sergio indicandola. ”Il Music on the Rocks, è famosissima.”
Ballare significa bruciare calorie e io ho mangiato per quattro: non posso rinunciarci.
“Sì! Buona idea!”
Ed ecco un altro colpo alla coscia, questa volta è più forte. Che c’è? Cosa vuole dirmi?
“Io passerei, oggi ho guidato per quasi undici ore, sarei un po’ stanchino.” dice Giaco.
E di nuovo quella strana espressione: non è solo stanchezza, dietro c’è dell’altro, ma non riesco a capire. Devo aver inarcato le sopracciglia un pelo di troppo, è chiaro che ha frainteso il mio sguardo psico-investigativo con quello di una psicopatica che va assecondata, accompagnata a ballare, o non te lo perdonerà mai. Forse ha ragione. Andiamo. Entriamo, balliamo e Giaco non mi molla un secondo. Mi piace quando riesce a essere romantico in pubblico. Stasera ha dato il meglio di sé, era chiaro che volesse far sapere a tutti che sono sua. Mi ha pure bisbigliato una cosa che finiva con ‘tavolo’, ma il volume della musica non mi ha fatto capire nient’altro. Sono curiosa, i piedi mi fanno male, forse è arrivato il momento di andare. Salutiamo Sergio, ci incamminiamo verso quell’interminabile salita, e una volta soli, Giaco si gira per guardarsi le spalle. Vedo ancora quello sguardo preoccupato, ora deve dirmi che succede.
“Mi dici che c’è?”
“Ho provato a fartelo capire in mille modi, ho cercato di dirtelo in discoteca…”
“Ma cosa?”
“Sergio mi toccava la gamba sotto il tavolo.”
Ecco il ‘tavolo’ di cui parlava e io che pensavo mi stesse proponendo un remake di ‘Nove settimane e mezzo’.
“Ma ti sarà sembrato…”
“Sembrato? Mi ha tastato la gamba tre volte Enri, ci ha provato!”
La situazione è più grave del previsto. Non so cosa dire. Se fossi entrata in quel negozio a provarmi l’abito e fossimo arrivati tardi all’appuntamento, Sergio se ne sarebbe andato, il vestito ora sarebbe dentro una shopping e tutto questo non sarebbe successo. Ma ormai le cose sono andate in modo diverso e lì per lì mi viene solo una domanda:
“In quale momento?”
“Tra il secondo e il dolce.”
“Torniamo in albergo e poi mi racconti tutto.” dico abbracciandolo. La mattina seguente, mi sveglio con un desiderio di vendetta che potrebbe fare impallidire Rambo. Quello stupratore di ginocchia dovrà vedersela con me, mi dico mentre apro la finestra per controllare che la Scogliera sia al solito posto. Fisso la coppia di lettini che da questa distanza mi sembra la nostra, e immagino il momento del confronto. Come ha potuto toccare la gamba di mio marito, lì davanti ai miei occhi, come se io non esistessi? Ma chi si crede di essere? Pensa di portarmelo via così? Non ha capito chi sono io. Sono solo le nove del mattino. Giaco ha avuto una serataccia, decido di lasciarlo dormire e di sfruttare la sua ora sonno per fare una passeggiata in paese. Ho bisogno di tirarmi su. Ripenso al vestito di Emilio Pucci e al mio budget mensile dedicato allo shopping: potrei giocarmelo in un colpo solo e per quell’abito ne varrebbe la pena. Mi vesto in silenzio e scendo in paese. Il profumo di citronella mi dice che sono sulla strada giusta: eccolo qui il negozio sulla destra. Guardo la vetrina, ma l’abito è sparito. Non può essere vero.
Forse hanno solo cambiato l’allestimento, entro e chiedo. C’è un ragazzo carino che mi saluta, io mi avvicino e vado dritta al sodo: “Ciao, l’abito di Pucci che era in vetrina ieri sera è stato venduto?”
“Quello rosa e turchese?”
Sento l’acquolina in bocca e un brivido corrermi lungo la schiena. Forse c’è ancora una speranza.
“Proprio lui.”
“No, mi dispiace: è stato venduto ieri sera, qualche minuto prima della chiusura.”
A rodermi tanto non è il fatto che se lo sia comprato un’altra, ma che sia successo mentre ero a tavola a ingozzarmi di fritti e mozzarella – mentre un tipo sfacciato tastava la rotula di mio marito. Esco delusa, guardo l’orologio e mi accorgo che si è fatto tardi. Vado a svegliare Giaco.  Lui dorme ancora quando torno dal fallimento della missione. Mi avvicino piano piano e lo bacio sulla guancia, lui si scosta, poi apre gli occhi e mi sorride: quanto è bello.
“Buongiorno.” bisbiglia.
“Mi accompagni a fare colazione?”
“Non ho fame, ma ho bisogno di un caffè. Dammi dieci minuti e sono tuo.”
Mentre si prepara, ne approfitto per controllare il mio aspetto. Il mio abito bianco non si è ancora stropicciato, la cintura è ancora nelle posizione di origine, e anche il make-up non ha ceduto. Preparo la borsa della spiaggia, infilo il coltello tra i denti e scendiamo a fare colazione. Un caffè forte ci aiuterà a preparare il nostro piano di battaglia. Cerco di arrivare sull’argomento con delicatezza.
“Ti sei chiesto come faremo oggi? Quando lui si presenterà facendo finta di niente.?”
“Saremo noi a fare finta di niente, non se capisci…”
Devo essere stata un po’ troppo impulsiva, o non starebbe sulla difensiva.
“Senti caro: io non sono venuta fin qui a farmi prendere in giro da uno che prima mi ruba l’accendino e poi si allarga provandoci con mio marito…”
“Parla piano.”
“Okay.” dico abbassando la voce, “Però non può passarla liscia: troverò il modo di fargli capire che sei felicemente sposato – magari potrei trascurare il ‘felicemente’ – ma qualcuno deve fargli sapere che ha preso un granchio.”
Giaco butta giù l’ultimo sorso di caffè e mi sorride, credo che la mia voglia di difendere il suo onore lo diverta. Mi alzo e gli tendo la mano, lui la afferra e ci muoviamo verso la spiaggia.
Sergio è già sceso, lo vedo seduto al bar con un caffè, un costumino attillato e un paio di occhiali a specchio che avrei voglia di sbriciolargli. Giaco cerca di raggiungere il lettino, evitando la tappa obbligata, ma sono io a condurlo nella tana del lupo.
“Ciao Sergio, come stai?” dico in tono svenevole.
“Ciao a voi. Io bene, è un po’ che vi aspetto.”
Anch’io ti aspettavo… al varco.
“Eccoci qui. Che si fa oggi?”
Giaco mi stringe la mano, è un altro segnale, credo che voglia dirmi: che cavolo stai dicendo pezzo di squilibrata? Ma deve fidarsi di me, ho deciso di calarmi nella parte della moglie ignara e svampita: è una tattica per farlo sentire a suo agio, per farlo uscire allo scoperto. L’entusiasmo che sento nella mia voce quasi mi spaventa, è un’interpretazione perfetta, e se non fosse che la cavia è mio marito, sarebbe anche divertente.
“Io vado a prendere il sole.” dice Giaco irremovibile. Sergio lo guarda mentre si allontana e azzarda una proposta per non perdere l’occasione.
“Io parto nel pomeriggio, volete pranzare insieme più tardi?”
“Certo, è un’ottima idea.” dico io pregustando la mia vendetta.
Raggiungo Giaco al suo lettino, ha già steso l’asciugamano e sta spalmandosi la protezione solare.
“Più tardi siamo a pranzo con lui.” dico appoggiando la borsa sul tavolo.
“Io non vengo.”
“Giaco, devi fidarti di me.”
“Ma non ce n’è bisogno. Oggi se ne va e fine della storia.”
“Fine della storia un cavolo! Non vorrai davvero fargliela passare liscia? Mi ha oltraggiata.”
“E io che dovrei dire?”
“Appunto. Dammi almeno l’opportunità di difendere il mio onore, e anche il tuo…”
In effetti, credo si tratti più del mio che del suo, ma alla fine riesco a convincerlo.
Sono quasi le dodici, sento ancora il fritto che si dimena nella pancia, l’ultima cosa che voglio è mangiare, ma sono pronta a sedermi a tavola e a ripetere il menù di ieri sera se è necessario. Mi giro verso il lettino di Sergio per tenerlo d’occhio. Sta accendendo una sigaretta e quello è il mio accendino: devo riprendermelo. Con quegli occhiali a specchio diventa difficile capire se stia guardando noi o la Chiesa di Santa Maria Assunta che sta dietro noi, ma sono pronta a scommettere che sia la prima opzione a interessargli di più.
“Ragazzi, io comincio ad avere un po’ di fame, mi sono permesso di prenotare un tavolo al mare, che dite? Andiamo?” ci chiede.
“Andiamo.” risponde Giaco.
Io lo guardo a bocca aperta, non avrei sperato in tanta collaborazione. Si abbottona la camicia, infila le ciabatte e aspetta che sia pronta anch’io. Raggiungiamo il tavolo, ma mentre faccio per sedermi, mi accorgo di non essere passata dal bagno e di avere un fortissimo attacco di pipì. E ora come faccio? Non posso lasciarli soli. Stringo i denti, stringo le gambe e tento di ignorare lo stato ormai compromesso della mia povera vescica. Dopo due minuti, valuto che sia meglio assentarmi un momento, piuttosto che lasciare un inequivocabile lago sotto la mia sedia, sempre di dignità si parla.
“Con permesso, vado un secondo in bagno.”
Giaco mi guarda con un’espressione traducibile in: non dirai sul serio, vero? Ma non sono nella condizione di starlo a sentire, se non faccio pipì muoio, farò più in fretta che posso. Mi alzo con lentezza ed eleganza, ma anche questa farsa si conclude non appena mi allontano dal tavolo, poi mi metto a correre verso la toilette, chiudo la porta e lascio che i miei liquidi trovino la loro via di uscita. Ora mi sento meglio, ora sono pronta a combattere. Mi ravvivo i capelli, metto il rossetto e torno da Giaco. Mi siedo a tavola e mi trovo nel bel mezzo di una discussione.
“Simone, ce la facciamo una bella insalata di polipo?”
“No grazie, io preferisco l’insalata di pomodori, sono ancora pieno da ieri.”
“Dai, su… una bella insalata di polipo…”
“Preferisco l’insalata di pomodoro.”
“Io prendo una fetta di anguria!” intervengo, ma è come se non esistessi.
Sergio continua a fissare Giaco, gli propone il polipo per la terza volta, e per la terza volta, lui lo rifiuta, forse è arrivato il momento che qualcuno faccia chiarezza.
“Sergio, scusa,” dico versandogli da bere. “C’è una cosa che devi sapere…”
Giaco mi colpisce un’altra volta, ma io vado avanti, questa è la mia occasione.
“Simone detesta il polipo, non lo sopporta proprio, ha altri gusti: preferisce l’insalata di pomodori, da sempre. E poi questo accendino è mio”, dico mettendolo nella borsa, “se ora vogliamo ordinare…”
Sergio abbassa lo sguardo, non so se abbia capito la mia metafora, ma se non altro ha smesso di insistere e io mi sento come Lady Oscar dopo aver salvato la sua regina. Lo salutiamo sulla scalinata, fingendoci dispiaciuti della sua partenza, ritorniamo sui nostri lettini e Giaco mi abbraccia.
“Mi hai fatto ridere oggi.”
“Sono contenta di essere riuscita a tirarti su di morale.”
“Hai fatto di più.” conclude dandomi un bacio.
In effetti ha ragione, ma se polipo e pomodori non fossero corsi in mio aiuto, non so davvero come avrei fatto. Meglio non pensarci, ormai è andata. Il sole sta tramontando, noto una coppia di signori abbracciati che si godono il mio stesso spettacolo, e mentre li guardo non posso fare a meno di chiedermi: anche io e Giaco saremo così tra cinquant’anni? Chissà, però mi piacerebbe.

Illustrazione: Valeria Terranova