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3 Apr

Una Nuova Vita Part 3

enrica alessi scrittrice crem's blog

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F

 

elpa rossa sta venendo qui?
E me lo dice così? Come se niente fosse?
Mentre riapre il menù fingendo di avere un dubbio sull’ordinazione?
Sento i suoi passi alle mie spalle, ma credo che la mia agitazione stia ingigantendo la cosa: mi sembrano quelli di King Kong.
“Metti giù quel coso e dammi una mano, che gli dico?” chiedo sottovoce.
Michi scosta il menù dal viso, lasciandomi intravedere i suoi occhi divertiti: “Inizia dicendogli come ti chiami.”
Prendo il tovagliolo sul tavolo e cerco di tamponare quell’enorme goccia di sudore che mi sento sulla fronte, ma prima che possa levarmela dalla faccia, me lo trovo di fianco.
“Eva?” esordisce presentandosi al tavolo.
E come lo sa?
“Sì…” dico con un filo di voce mentre lascio scivolare il tovagliolo sulle ginocchia.
“Ciao, sono Davide, piacere.”
Mi porge la mano e io continuo a guardarlo con una faccia da baccalà — al vapore con purea di verza, come quello che ho visto nel menù.
Michi mi dà un calcio sotto il tavolo: è chiaro che il mio stand by cominci a essere evidente.
“Piacere mio…” dico frettolosamente. Ma mentre la mia bocca si richiude per concludere la frase, mi pento di non aver aggiunto l’elenco di domande che mi è passato per la testa negli ultimi dieci secondi: sei un calciatore? Sei single? E soprattutto, come fai a sapere il mio nome?
Michi ci guarda senza dire una parola e nemmeno io so cosa dire. Questa volta sono io a tirargli un calcio per dargli un segnale: deve aiutarmi a rompere il silenzio.
“Ciao Davide. Sono Michele.” interviene prontamente porgendogli la mano per presentarsi, ma Occhi di cioccolato continua a guardare me:
“Ti ho visto in questi giorni durante il trasloco. Abitiamo sullo stesso piano.”
In quale momento mi si dirà che sono su Scherzi a parte? Questa storia sembra incredibile. Ora o mai più:
“E come sai il mio nome?”
“È scritto sul campanello.”
“Ah, già”, annuisco imbarazzata.
“Vieni spesso qui?” gli chiede Michele cercando di strappargli qualche informazione.
“Sì, sono un calciatore. Gioco nel Modena.”
“Ma pensa! Eva adora il calcio…”
Vorrei sprofondare dalla vergogna. Come può mettermi così in imbarazzo?
“Davvero? Sei appassionata di calcio?” mi chiede divertito.
“Appassionata è un po’ eccessivo. Ma mio papà mi ha svezzato con Novantesimo minuto.”
I miei occhi continuano a osservarlo con aria sognante, perché Michele non lo invita a sedersi con noi?
Ma mentre sto per lanciare un altro segnale da sotto il tavolo, il cameriere arriva per prendere l’ordinazione.
“Vi lascio alla vostra cena. Mi ha fatto piacere conoscervi, ci vediamo a casa.” mi dice sorridendo.
“Certo, ci vediamo a casa”, concludo ricambiando il suo sorriso.
Lui si allontana e raggiunge i suoi amici.
E mentre cerco di ignorare la scena del mio film mentale in cui ci baciamo nell’ascensore del palazzo, su un pavimento ricoperto di integratori e barrette proteiche, Michi scuote la mano che ho lasciato inerme sul tavolo: “Eva? Tu cosa prendi?”
Voglio lui. E un Vodka Tonic formato famiglia.
Gli indico il piatto che ho scelto, Michele ordina per entrambi, e il cameriere ringrazia e se ne va, lasciandoci soli.
“Come sono andato?” mi chiede cercando di riprendersi la mia attenzione.
“Tu? Tu sei stato pessimo! Potevi risparmiarti quello stupido atteggiamento da Cupido.”
“Dovresti ringraziarmi invece, ora hai un papabile fidanzato.”
“Non essere sciocco! Non sarà mai il mio fidanzato.”
“C’è solo una cosa che non mi spiego…”
“Come ho fatto a non accorgermi di lui?”
“No, questo è tipico tuo… la vera domanda è: dove hai trovato il tempo di mettere il nome sul campanello, se hai ancora gli scatoloni in giro per casa?”
“Lo sai che sono una precisa: da fuori deve sembrare tutto in ordine… anche se dentro sono un gran casino.”
“Ad ogni modo, il tuo vestito ha fatto colpo… Sexy e inconsapevole di esserlo: è questo che ti rende irresistibile.”
“Dici davvero?” gli chiedo sottovoce.
“Mai stato più serio.”
“E adesso cosa faccio?”
“Adesso? Potresti rilassarti, smettere di toccarti i capelli e farti un goccio di Vodka: la serata è appena cominciata.” conclude porgendomi il bicchiere per un brindisi.

La luce è spenta, non vedo niente.
Dove sono? E chi è l’uomo nel mio letto che mi tiene la mano?
“Davide…”
“Ti piacerebbe!” dice Michele ridendo.
Non saprei dire se mi sento triste o sollevata. Tasto velocemente il mio corpo sotto le lenzuola: ho addosso solo una t-shirt e un paio di mutandine.
“Michi, dimmi che almeno tu hai addosso un pigiama e che non hai abusato di me.”
“Abbiamo bevuto, non ci hanno lobotomizzato… stai tranquilla.”
Mi scappa una risata. Riesco a mala pena ad alzarmi e appeno sollevo la testa dal cuscino, tutta la stanza gira.
“Ossantocielo! Ma quanto ho bevuto?”
“Si parlava di week-end no limits, questo te lo ricordi, vero?”
“E cosa abbiamo fatto?”
“Di preciso non lo so. Ma non ci hanno arrestati, quindi, presumo niente di illegale”, dice in tono scherzoso accendendo la luce. Ma è la mia che resta spenta: perché non ricordo niente delle ultime dodici ore?
“Lo abbiamo rivisto dopo?” chiedo ansiosa.
“Chi? Felpa Rossa — alias Occhi di cioccolato — ? Non che io sappia. Ma sei sparita per dieci minuti, quindi, non garantisco”, dice lui alzando le mani in segno di resa.
“Sparita? Dove?”
“Non lo so, stavo facendo pipì…” risponde come se la giustificazione più naturale del mondo potesse scagionarlo da ogni colpa.
“Vuoi un caffè?” mi chiede alzandosi dal letto per raggiungere la cucina.
Annuisco, prendo il telefono per controllare l’ora e mi accorgo di un messaggio che ancora non ho letto. È un numero sconosciuto, lo apro e leggo:
“Grazie per la bella serata. Ci vediamo a casa. Davide.”
“Il caffè fammelo doppio.”
“Cosa c’è?” mi domanda avvicinandosi curioso.
“Leggi!” dico eccitata passandogli il telefono.
Lui lo afferra avido, quasi fosse un mocassino borchiato di Louboutin, e legge il messaggio. Alza gli occhi dal display, mi guarda e grida: “Lo sapevo, lo sapevo!”
“Michi aiutami! Cosa ho combinato?” chiedo disperata.
“Quei dieci minuti da sola: cerca lì quello che speri di trovare.”
Mi alzo in piedi tentando di non perdere l’equilibrio e vado in cucina: non riesco a pensare a stomaco vuoto. Ma appena varco la soglia, vedo sul tavolo una bottiglia di vodka.
E questa come ci è finita qui? Ieri sera non c’era.
“Michi hai portato tu questa?” chiedo ansiosa afferrando la bottiglia mezza vuota.
“No…”
“E se non sei stato tu, chi ha portato questa roba in casa mia?”
“Eva, rilassati: non stiamo parlando di un carico di cocaina.”
In effetti ha ragione, ma questo perdita di memoria mi sta facendo impazzire.
“Sto solo cercando di capire cosa abbiamo fatto ieri sera, quanti Vodka Tonic ho bevuto e com’è finita qui questa bottiglia!” dico disperata. “E tu smettila di ridere! È una situazione imbarazzante!”
Sembra che l’incipit della mia crisi isterica, abbia fatto leva sullla sua memoria.
“Ora ricordo! Tu eri già a casa quando sono rientrato e Davide se ne stava andando.”
“Davide era qui?”
“Sì, e credo fosse vestito…”
“Avevi detto di avermi lasciato sola per dieci minuti… quindi hai mentito?”
“L’alcol deve aver influenzato la mia versione dei fatti.” dice cercando una spiegazione.
“E cosa ti ha detto? Sforzati, ti prego!”
Ma lui scuote la testa:
“Ecco, da quel momento in poi, temo di aver spento la luce anch’io.”
“No, no! Cerca di ricordare…”
Michi si gratta la testa in cerca di risposte.
“Credo che abbia detto qualcosa riguardo agli orsetti, ma non ho capito bene. Ecco, sì, ha detto che gli dispiaceva per i tuoi orsetti.”
“Stai vaneggiando, vero?”
“Scrivi e chiedilo a lui, se non mi credi”, mi suggerisce in tono provocatorio.
“Gli orsetti? È assurdo! Dovevi proprio essere ubriaco”, lo rimprovero mentre raggiungo la camera da letto per accertarmi che si sbaglia. E li vedo lì: sul pavimento. Sani e salvi.
Mi chino per raccoglierli, ma le mani affondano in due peluche inzuppati di Vodka Tonic e succhi gastrici. L’odore mi mette al tappeto e un conato di vomito mi assale.
Corro verso il bagno e caccio la testa nel water.
“Come va?” mi chiede Michi mantenendosi a distanza.
“Ora meglio, grazie”, dico mentre cerco di ricompormi. “Ma ho combinato un gran casino”, dico affranta.
“Sì, direi che puoi dire addio ai tuoi orsetti di Missoni.
“Ma non sto parlando di loro!” sbotto alzandomi. “Non ricordo un accidente di ieri notte.”
“Muoio di fame, Tu no?” mi chiede, dirigendosi in cucina, quasi stesse cercando un diversivo.
Carboidrati. Ho bisogno di carboidrati.
E lui, come sempre, mi legge nel pensiero:
“Crackers integrali? Gallette di mais? Pane ai cinque cereali? ” mi chiede aprendo la credenza.
“Crema di nocciola e grissini di kamut!” rilancio.
“Andata.”
Ci sediamo a tavola con il nostro pic-nic break versione bio e fissiamo la bottiglia di vodka misteriosa che ci sta di fronte.
“Chi gli ha dato il mio numero?” gli chiedo sospettosa.
“Credo di essere stato io”, risponde ingenuo mentre cerca di foderare il grissino di simil-Nutella.
“Senza prima chiedermelo?”
“Eri incapace di intendere e di volere. E poi mi sembrava di capire che ti piacesse, non l’ho mica dato a un avanzo di galera.”
“Okay, okay, scoprirò da sola la verità!” dico rubandogli il grissino che ha appena inzuppato.
“Perché non lo chiami? Magari ci aiuta pure a finire il trasloco.”
“Non ci penso proprio, sei il solito opportunista!”
“Che male c’è?” insiste con convinzione.
“Non esiste!”
Guardo l’orologio e mi accorgo che è quasi mezzogiorno.
“Ho promesso alla padrona di casa di renderle le chiavi entro le due. Dobbiamo sbrigarci”, dico chiudendogli il vasetto sotto il naso e alzandomi dalla sedia.
Sono riuscita a liberare tutto. Anche l’armadio è completamente vuoto. Manca solo una cosa per chiudere la valigia e poi dovrò salutare il mio Interno 7.
“Michi, vieni a vedere.”
Lui mi raggiunge in camera da letto, butta un occhio su ciò che gli sto indicando e si mette una mano sulla bocca dallo stupore.
“Ho cercato di sigillarli con i cellophane dei miei vestiti. Li ho anche annusati. Praticamente sono sottovuoto.”
“Fanno impressione: sembrano due piccole Laura Palmer.”
“Devo portarli a casa e farli pulire in lavanderia. Hai un’idea migliore?”
“Direi di no”, conferma scuotendo la testa nauseato.
“E allora aiutami a chiudere la valigia, Agente Speciale Cooper.”
E dopo aver chiuso la porta dell’appartamento di Milano, mi ritrovo ad aprire il portone della casa di Carpi.
Michele scarica le valigie e io mi metto a sbirciare i nomi sui campanelli cercando di non dare nell’occhio.
“L’hai trovato?” mi chiede.
Gli faccio segno di tacere mettendomi l’indice davanti al naso.
“Il suo nome non c’è”, bisbiglio.
Michi si guarda intorno per accertarsi che non ci sia nessuno, afferra le valigie e si avvicina a me.
“Eva…” sussurra. “Solo tu metti nome e cognome. Cosa ti aspettavi di trovare? Un Felpa Rossa a lettere cubitali?”
“No, io stavo cercando Occhi di Cioccolato…” rispondo ironica.
“Dai entra, ti aiuto a sistemare”, conclude lui indicando il portone prima di riprendere in mano i trolley.
Do un ultimo sguardo ai campanelli e infilo le chiavi nella serratura.
Questo è il momento che temo di più: il pensiero di poterlo incontrare mi consuma.
Sospiro e cedo il passo a Michi che varca la soglia.
“Libero!” esclama in tono ironico.
“Smettila!” dico sottraendogli una delle valigie per precipitarmi all’ascensore. Lo chiamo e tengo d’occhio le scale.
“Dovresti rilassarti…” suggerisce.
“Non posso! Ho appena finito un trasloco, domani sarà uno dei giorni più importanti della mia vita e questo non ci voleva!” protesto puntando il dito verso l’alto.
Le porte si aprono: l’ascensore è vuoto.
Una parte di me è sollevata, ma l’altra muore dalla voglia di rivederlo. Entro seguendo Michele e pigio il tasto 3.
Deglutisco, tengo il viso verso il basso, e la scena del sesso grandioso, su un letto di barrette proteiche, ricomincia da capo.
Guardo in alto, cercando di farmi distrarre dalla luce al neon e mi faccio il segno della croce.
“Stai pregando?” mi chiede Michi basito.
“Sì, di non incontrarlo!” rispondo sospirando.
“Ti ricordo che abitate sullo stesso piano… succederà prima o poi.”
“Lo so, ma oggi non ce la faccio. Oggi no!”
L’ascensore si ferma e io sento un brivido lungo la schiena. Le porte si aprono e le le gambe mi cedono. Michele esce per primo, si guarda in giro e mi fa segno di raggiungerlo all’ingresso. Recupero le chiavi dalla borsa e corro verso di lui. Le infilo nella toppa e siamo dentro.
Casa dolce casa. Ora mi sento al sicuro.

SESTO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova