To top
23 Nov

Quando una donna compie quarant’anni

storie di ordinaria follia enrica alessi

 

storie di ordinaria follia enrica alessi

Q

uando una donna compie quarant’anni è tipo la fine del mondo. L’orologio biologico fa tic tac e una volta superati gli anta, per tutto il genere femminile si innesca il meccanismo ‘se non lo faccio adesso, quando mi ricapita?’ Sembra che un domani non esista. E allora via: organizziamo qualcosa di indimenticabile, che ci faccia sentire giovani, che ci faccia dimenticare che siamo mamme, qualcosa che fanno le ragazzine. A inaugurare la saga delle quarantenni sono stata io, due anni fa, con un weekend a Saint Tropez, l’anno prossimo sarà il turno della Claudia, poi quello della Tilla, ma stavolta è toccato alla Secca e forse abbiamo esagerato.

Un concerto dei Måneskin è roba da giovani, esperienze che si concedono le ragazzine — fino a qui i requisiti tornano tutti — ma quando ti accorgi che i cantanti della band hanno appena compiuto diciotto anni, dimenticarti di essere mamma, se potresti essere la loro, diventa un po’ difficile. Ma è comunque un’occasione per uscire tutte insieme, approfittiamone, visto che non succede quasi mai. Il giorno dell’evento, apriamo una chat. Il nome è prevedibile: Marlena. Abbiamo evitato di aggiungere l’altra parte del testo ‘torna a casa’, giusto per non avere ripensamenti, e arriviamo al sodo: cosa ci mettiamo? Più che un look consono, ci serve un buon travestimento. La Claudia — che ha pure partorito l’idea di questo concerto — decide di inviare una foto della band per offrire spunti alla comunità.
“Suggerisco, a partire da sinistra: la Secca, l’Enri, io e la Tilla.”
Quindi: la Secca è Thomas, io sono Damiano, la Claudia è Victoria e la Tilla è Ethan. Alla Claudia è toccato il look più semplice: gonna a fiori, top, giacca di pelle e cappello a tesa larga. Ma per noi si scatena il panico. La Secca: “dove la trovo una giacca di pelle marrone con le frange? 😳
Dopo diciotto minuti, non ha ancora risposto nessuno. In casi estremi come questo, diciotto minuti sono un’eternità, ma posso ancora salvarla:
“Secca, io ce l’ho! 💁🏻‍♀️ in due versioni: come la vedi nella foto o rosso rubino. Quale vuoi?”
“No Enri, grazie. Alla fine metto quella di pelle nera. 😎
“Okay, io non credo che mi vestirò come Damiano — jeans e camicia floreale — ma ho il suo taglio di capelli, quindi per il resto mi inventerò qualcosa.”
La Tilla: “Anche io non mi vesto come Ethan: ho investito ben 60 euri tra Calzedonia e Zara in finta pelle e se non li metto oggi, non li metto più.”
Direi che abbiamo tutte le idee chiare, ora devo concretizzare la mia.

Look definitivo: Pantalone nero in ecopelle (comprato dalla Giusi prima che chiudesse)+ T-shirt nera con applicazione paillettata sulla scritta BOOM + giacca nera con balze di tulle (comprata dall’Angelina che invece ha appena aperto) + cintura passe-partout in velluto nero e fibbia dorata. Pezzo forte: stivaletto in pelle nera borchiata oro. Sono una vera dura. Mi piaccio. Ora, cerco di ridimensionare il mio ego ascoltando il parere delle mie figlie, che hanno tredici e dieci anni. Mi convinco che accetterò la loro sentenza con dignità, e se il giudizio sarà negativo, non contesterò il verdetto e non mi metterò a piangere. Lo giuro. Prima vado da Emma: “bella! Mamma stai bene, non sembri una vecchia!”
Mi inchino — come mi hanno insegnato in Giappone — e raggiungo la Carola nella sua camera, che sta giocando a Barbie. Solleva lo sguardo da quelle creature perfette e riesce a trovare una buona parola anche per me: “mi piaci mamma!”
Il test della figliolanza è superato.

La Claudia ha deciso di guidare e alle 17,40, arriva sotto casa mia con la Secca. L’immagine young prodotta dal mio inconscio si polverizza salendo in auto: il seggiolino di Vittorio, suo figlio, giace sui sedili posteriori. E nonostante sia tentata di toglierlo di mezzo, al pensiero del faccino di Vittorio, mi passa la voglia, mi ci siedo accanto e l’auto riparte.
“Che bella!” dicono all’unisono.”
“Aspettate riga’, mo’ ve faccio vede’ er pezzo forte: o’ stivaletto…”
Ormai sono entrata nella parte: parlo come Damiano. Dopo dieci minuti di tragitto, arriviamo dalla Tilla, che esce dal cancello di casa con un paio di pantaloni di finta pelle, una giacca di pelle e un gilet di pelo di babbuino sintetico. È subito applauso.

Il concerto è alle nove e la Claudia — madrina e madre ufficiale della serata — promette ai passeggeri di mangiare qualcosa prima dell’inizio, ma in realtà ciò non accade. Dopo aver sbagliato strada quattro volte, arriviamo nel parcheggio appena in tempo, e non sono le pance vuote il vero dramma, ma la domanda di uno dei parcheggiatori che, prima di riscuotere i quattro euro della sosta, ci chiede:
“Siete qui per accompagnare o andate al concerto?”
La Claudia gli consegna i soldi senza aggiungere altro, la Secca si mette a ridere e la Tilla protesta:
“Ma ci ha visto bene?”
“Lo sapevo, dovevamo togliere il seggiolino da bambino…” aggiungo io.
Appena scendiamo dalla macchina, capiamo che quello che poteva sembrare un affronto è solo la conferma che l’età media è decisamente più bassa della nostra. Dobbiamo farcene una ragione.

Una volta qualcuno ha detto: tutti i gatti al buio sono i bigi, quando si abbassano le luci e i Måneskin arrivano sul palco, diventiamo bigie pure noi. Siamo a metà dell’esibizione e lì, mentre il brusio eccitato della gente mi avvolge, non posso fare a meno di chiedermi: quand’è che Damiano si toglie la camicia?”
Il pensiero non fa in tempo a esaurirsi mentalmente, che qualcuno, sotto al palco, mi anticipa e grida: “a levate la camicia!”
Lui lo ascolta, si toglie la camicia e se non fossimo già tutti in piedi, sarebbe una standing ovation.

Giunte alla fine, ci mettiamo in auto e sulla via di casa, nelle stessa posizione che avevamo all’andata: la Claudia alla guida, la Secca al suo fianco, io e la Tilla dietro. E mentre lei si chiede quanti passi avrà fatto la bassista, che non è stata ferma un secondo, io ripenso alla serata e al testo dell’ultima canzone. Prendo il telefono e chiamo Giaco:
“Marlena torna a casa, il freddo qua si fa sentire, metti giù la pasta che ho paura di sparire.”

 

Illustrazione: Valeria Terranova