To top
29 Giu

Positano ti entra nel cuore

Enrica Alessi Storie di ordinaria follia

Enrica Alessi Storie di ordinaria follia

P

ositano ti entra nel cuore. Non c’è niente di lei che cambierei. I suoi fiori, i suoi colori e il suo mare fanno di questa piccola città un paradiso in terra. Anche le scale non sembrano essere un problema: un piccolo prezzo da pagare, per arrivare in cima, in alto: su quelle terrazze che offrono un panorama difficile da dimenticare. Il mare: uno specchio d’acqua che si illumina, mentre riflette le luci del paese, arroccato sui monti, pieno di ristoranti, locali, negozi. La musica in lontananza, il chiacchierio della gente. Sussurro alla mia mente di fare un po’ di spazio per ricordare tutto questo: quando sarò a casa, voglio chiudere gli occhi e potermi sentire qui, anche se sarò lontana. Ma fino a domani, è ancora mia e mi assale quel bisogno di fare il pieno di emozioni, di godermi la mia ultima serata nel posto che amo. Dal Marincanto, il centro di Positano si raggiunge a piedi ed è tutta discesa. Le bimbe mi seguono, sembrano felici, o forse cercano solo di camuffare la malinconia che si nasconde dietro quell’arrivederci inevitabile. Ma sembrano anche distratte, incuriosite da ciò che le circonda. Raccomando loro di stare attente: la strada è stretta, ci sono le macchine. Ricordo che non è carino fissare i piatti di chi siede ai tavoli di Bruno. Suggerisco di guardare dritto: davanti a loro. È un ordine. Ridono, si prendono in giro, le guardo e penso che se potessi fermare il tempo, qui, ora, mi piacerebbe. Giaco mi prende la mano e io gli sorrido, trascinandolo dal lato opposto della strada, davanti al negozio di Missoni. Lui ha l’espressione di una povera vittima, io quella di un serial killer. Ma decido di trattenere il mio raptus, facendo un bel respiro e riattraversando la strada, di mia spontanea volontà. Senza ammonimenti. (Pensando: tanto, ci torno da sola domattina, prima di partire. Un souvenir.) Le bimbe sono rimaste ad aspettarci dall’altra parte della strada e segnano la Bakery che sta quasi davanti a me.
Emma dice: “Mamma! Non abbiamo mangiato la frittata di pasta asciutta…”
“Avevi detto che se pioveva, potevamo fare ‘la giornata bollino rosso’ e assaggiare tutto quello che fanno qui.” precisa la Carola.
E mentre il mio colesterolo ringrazia, le raggiungo dall’altra parte, dicendo: “La prossima volta ci andiamo, promesso.”
Arriviamo nel cuore paese, dove non ci sono auto, solo qualche porter, e tante persone che parlano lingue diverse, turisti di tutto il mondo, che hanno sul viso la nostra stessa espressione felice.
Il piazzale della chiesa, dove c’è sempre qualcuno che si è appena sposato, e altri trenta scalini, che conducono a uno dei viottoli più caratteristici, quello degli artigiani, che fanno i sandali su misura. Il martello che batte sulla tomaia, l’odore di citronella e quello della pizza che mette ancora più appetito. La scalinata dei leoni, a destra La Cambusa, Le Tre Sorelle più in basso, il Palazzo Murat, da cui siamo passati poco fa: i ristoranti che ci piacciono. I pittori, con cavalletti e tavolozze, che sono sulla passeggiata dell’Incanto, vicino alla spiaggia, signori sorridenti che ci fermiamo a osservare, mentre sono all’opera. La meraviglia per gli occhi e la soddisfazione dello spirito che trova l’apoteosi quando ci sediamo a tavola, concedendoci i suoi piaceri, i sapori e il gusto di una cucina che vorresti portare via con te, come un piatto di spaghetti alle zucchine. Il caffè, il conto, il “quanto abbiamo speso?” delle bimbe che giocano a imitare Alessandro Borghese in 4 ristoranti. E la fine della serata, in cui ci guardiamo con uno sguardo triste e soddisfatto, dietro cui si cela la domanda implicita che nessuno ha il coraggio di fare ad alta voce: come faremo domani? Senza Gianni, senza la Gigia, senza la Rita, senza le persone speciali che danno un’anima a questa città che ci resterà nel cuore, per sempre.

Illustrazione: Valeria Terranova