To top
19 Giu

Mamme alla riscossa

Enrica Alessi Storie di ordinaria follia racconti

Enrica Alessi Storie di ordinaria follia racconti

A

volte non mi sembra vero che la scuola sia finita, che l’incubo di incastrare i loro impegni con i miei, come in una partita a Tetris, sia finito. E arriva l’estate: la parte più bella dell’anno, in cui posso stare con le mie bimbe, quasi tutti i giorni. Ma quella che può sembrare una situazione idilliaca per ogni mamma del pianeta, per loro ha risvolti drammatici. Il padre è Giaco, questo lo sanno anche i muri: i soli che mi ascoltano, quando faccio le mie raccomandazioni.
“Tanto, sono le stesse cose che ci ripete ogni volta, se me ne frego stavolta, starò attenta alla prossima.”
Ma la prossima non arriva mai. Un giorno, per soddisfare il mio sadismo latente, ho addirittura pensato di registrare un memo vocale con le frasi che ripeto più spesso, da diffondere per casa con un megafono: tipo esercitazione militare.
“Toglietevi le scarpe, appendete le giacche, andate a fare la doccia, lavatevi i denti, datevi la crema, anche in viso. Chi non ha tirato l’acqua? Carola: mettiti gli occhiali. Emma, perché sei scalza? Giaco: il pattume non serve solo a sposarsi, portalo fuori, ogni tanto.”
Frasi così: a raffica, a intervalli di cinque secondi l’una dall’altra, senza ordine, senza logica. Li vedrei schizzare per casa impazziti, con il terrore negli occhi, certi di sapere che hanno dimenticato qualcosa. Le creature avevano il cinquanta per cento di possibilità di ereditare ‘l’ordine’ dal mio patrimonio genetico, è andata male: hanno preso tutto da Giaco. Ma se lui è una boccia persa, le mie figlie possono ancora essere salvate. Di indole, un bambino a mettere in ordine non ci pensa proprio, le regole della mamma rompono le uova nel paniere, ma come convincerle a darmi ascolto? Con il metodo più vecchio del mondo: il baratto. Loro saranno carine con me, io sarò carina con loro. Nell’arco di una giornata i miei bisogni di ordine, rispetto e gentilezza si affiancano ai loro: esigenze vitali, scolastiche, educative e formative, che non possono essere ignorate. E quando mi chiamano ‘mami’: è l’equivalente dell’annuncio del capitano che dice che l’aereo sta precipitando. Dove? Come? Perché? Avevamo tutto, fino a dieci minuti fa, prima di uscire di casa, ma mi sbagliavo. Mi prendono per mano, la stringono e poi, mi fanno quel sorrisetto — guardandomi con quegli occhi che valgono più di mille parole e che si riassumono in: ‘mami ti prego. Mi serve. Non te lo chiederei se non fosse importante. Lo desidero da tutta la vita. Facciamolo dai, quando ci ricapita? Il gelato, la colla, il righello, la gomma, la matita, i colori, il bianchetto, il quaderno a righe di quinta. Il costume, le infradito, gli elastici per capelli, la borsa mare, il gonfiabile dell’orca assassina, un piatto di spaghetti alle zucchine da portare via. Ma se fino a quel momento, ho ceduto su tutto, al “mami prendiamo anche quello!” e puntano con il dito il quadro di Positano in scala 1:1, dico basta. Adesso basta.
“Andiamo a giocare…” suggerisco, cercando di creare un diversivo.
“Mami, l’Emma mi spettina le Barbie.”
“Mami, la Carola mi ha bagnato il libro con il costume.”
“Mami, andiamo a fare il bagno.”
“Mami la Carola mi schizza.”
“Mami, L’Emma mi slaccia il costume.”
La voglia di buttarmi di testa dagli scogli, per mettere fine alla saga dei ‘mami’ diventa sempre più forte, ma poi, ripenso al meno vocale che sta sopra alla lista delle ‘cose da fare prima di morire’, al mio sadismo latente e capisco che è arrivato il momento della formula magica, quella infallibile con cui ripristinare l’ordine. Due frasi, la prima da pronunciare con dolcezza, con la stessa voce di Mrs. Doubtfire, quando butta il telecomando dentro l’acquario: “Non mi contraddite…”
La seconda, più decisa, con un brandello di stoffa legato intorno alla testa come Rambo: “Posso diventare il vostro incubo peggiore.”
La mia interpretazione cinematografica ha prodotto i risultati sperati: le bimbe mi guardano con l’espressione di chi ha capito di aver esagerato, sono dispiaciute e sono pronte a rimediare.
“Mami, hai ragione. Non lo facciamo più.”
Fino a domani, in cui tutto ricomincerà da capo… lo so.

Illustrazione: Valeria Terranova