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17 Lug

L’ abito di Herve Leger

enrica Alessi L'Amore Ai Tempi Supplementari

Enrica Alessi L'Amore Ai Tempi Supplementari

A

pro la porta della stanza adibita a ufficio, guardo a destra, poi a sinistra, ma del presidente dell’associazione neanche l’ombra. Meglio così, mi dico, se si fosse congratulata nuovamente per la generosa offerta, avrei perso altro tempo e a me non ne resta molto: Paolo potrebbe già essersene andato. Ho ancora il telefono in mano, ma mentre faccio per liberarmene, buttandolo nella borsa, ricevo un messaggio di Michele.
“Si può sapere dove diavolo sei finita?”
Esco di corsa e raggiungo il salotto dell’asta. Tanta gente se n’è andata, restano giusto i compratori, i membri del comitato e gli alberi che devono essere ritirati. Mi sento osservata, ma sono tutti sguardi di ammirazione. Michi è in fondo alla sala e sta chiacchierando con Paolo. Il fatto che stia cercando di intrattenerlo, per darmi la possibilità di parlare con lui, quasi mi commuove, ma sono terrorizzata se penso a cosa può essersi inventato per portare a termine la sua missione da Cupido. Mi sistemo la pelliccia afferrandola per il bavero, mi ravvivo i capelli e attraverso la sala per andare dritta verso di loro. Michi sembra captare la mia presenza, si volta nella mia direzione, sorride e dice:
“Allora? Come ci si sente dopo aver fatto una buona azione?”
Il mio sorriso si increspa: da come ha cominciato, sono quasi certa che gli abbia parlato di me, descrivendomi come una giovane Madre Teresa.
“Bene.” rispondo sorridente, sforzandomi di ignorare la vera ragione che ha scatenato il mio atto di bontà.
“Sei stata fantastica!” aggiunge Paolo.
Il sorriso che ho cercato di mantenere fino a ora, per mostrarmi ai suoi occhi nella forma migliore, si increspa di nuovo: da come ha cominciato, sono quasi certa che sia stato Davide a suggerirgli la battuta. Questa situazione non è assurda solo a tratti, direi piuttosto nella sua totalità. Vorrei riavvolgere il nastro e rifare il pezzo che è venuto male: tagliare l’ultima scena e ripartire da quando mi stavo battendo per un albero di Natale griffato. Quando i miei pensieri erano più soffici, quando le mie rivali erano altre, quando non sapevo ancora che Davide vuole rifarsi una famiglia. Mi basterebbe tornare indietro, ricominciare da lì e non sentire più questo peso sul petto, causato dal plurale maiestatis di poco fa. Mi sforzo. Ordino alle mie emozioni contrastanti di fermarsi un momento, di rimanete immobili, e chiedo al cuore di dare tregua al cervello, per lasciarlo pensare. Un respiro, una scrollata di spalle e ricomincio.
“È stato un piacere aiutare quei bambini.” dico pacifica.
Michi dá un colpo di tosse. Sono sicura che darebbe qualsiasi cosa per raccontargli tutta la storia, ma so che non lo farà. È ancora quel giochino psicologico con cui si diverte a studiare i tempi e i modi delle mie reazioni: a volte, mi sento la sua cavia emotiva. Ma adesso non c’è tempo per questo, devo ritirare l’albero, flirtare con Paolo e rimediare un appuntamento per stasera. È qui con i suoi amici, non voglio sembrare la cozza che si attacca allo scoglio monopolizzandogli il pomeriggio: devo fare in fretta. Mi volto verso Michele e con aria complice chiedo: “tesoro, mi faresti un favore?”
“Certo.” risponde strizzandomi l’occhio.
Arrossisco, metto una mano in tasca e gli porgo la ricevuta dell’albero.
“Puoi pensarci tu a ritirarlo?”
“Non aspettavo altro.” dice con spirito. “Lo faccio spedire a casa, vero?”
In realtà, avevo immaginato la classica scena natalizia americana, quando ci si porta a casa l’albero, legandolo stretto al tetto dell’auto, ma sarà per la prossima volta.
“A casa andrà benissimo, grazie.”
Michi prende la ricevuta e si allontana, ma ora, che sono sola con Paolo, l’imbarazzo prende il sopravvento e non riesco a dire niente. Neanche una sillaba. La vodka e i suoi effetti mi hanno abbandonato da un pezzo e senza di loro, devo ammettere che è tutto più difficile. Avrei dovuto ripassare con Michele le regole base del flirt e invece, come al solito, mi sto improvvisando in una cosa a cui non sono più abituata. E se avessi dimenticato come si fa? Mi volto verso Michi che sta indicando il mio albero a uno degli organizzatori, come se osservarlo potesse suggerirmi — per osmosi — una battuta qualunque, e così, dico la prima che mi viene in mente:
“Hai fatto un’offerta anche tu… ma volevi davvero il mio albero?”
“Se non avessi alzato la mano almeno una volta, avresti pensato che ero qui per un’altra ragione… mi serviva una copertura.”
Ecco l’inizio di una conversazione brillante, Paolo non sembra arrugginito quanto me, anzi, a essere sincera, sembra che conosca perfettamente l’ABC del rimorchio. Sorrido, cerco di nascondere l’imbarazzo che ha provocato la sua piacevole allusione, e mi sforzo di guardarlo negli occhi, nella speranza che anche loro possano fare la loro parte, chiarendo che sono lusingata. Ma per qualche strana ragione, sono le sue labbra ad attirare la mia attenzione. Improvvisamente, diventano la meta da raggiungere, dimentico la telefonata di ‘Tutti insieme appassionatamente’ e penso a me.
“I tuoi amici ti avranno dato per disperso…”
“I miei amici sono più persi di me: dormono tutti, ieri è stata una serata impegnativa.”
Le mie emozioni continuano a fare confusione, ma le mie idee sono chiare, chiare quanto le sue. È venuto qui per me, non sembra preoccuparsi dei suoi amici: posso spingermi oltre.
“Sono in partenza, domani torno a casa, ti andrebbe di vederci più tardi? Per un aperitivo?” gli chiedo, dopo aver chiamato a raccolta ogni briciola di coraggio che risiede nel mio essere.
Se una parte di me sta ringraziando i miei piedi di piombo per non aver azzardato un vero invito a cena, l’altra sta rimpiangendo la vena spudorata che avrei dovuto coltivare e che invece non possiedo.
“Ho già un impegno per quell’ora.”
E ora, invece, vorrei che un’altra parte di me arrivasse con un badile e scavasse una fossa per sotterrarmi.
“Oh, peccato. Be’ è stato un piacere rivederti, spero…”
Ma prima che possa aggiungere le parole che dovrebbero concludere la nostra conversazione — forse per sempre — lui mi interrompe:
“Però sono libero per cena, se tu puoi…”
“Certo… perché no?” dico eccitata.
“Fantastico! A che ora passo a prenderti?”
“Io alloggio qui, alle nove va bene?”
“Perfetto. Chiamo il ristorante e ci vediamo più tardi.”
Ci salutiamo solo con un ciao, accompagnato da un sorriso timido. È come se non volessimo bruciare le tappe, come se volessimo evitare qualsiasi forma di contatto, prima dell’ora stabilita, e sento le emozioni lievitarmi nella pancia: sono carica di adrenalina. A interrompere il mio subbuglio ormonale è Michele, che si avvicina rendendomi la ricevuta.
“Fatto. L’albero sarà a casa tua nel giro di una settimana.”
“Grazie tesoro!”
“Grazie un corno: ho risolto le faccende burocratiche per lasciarti sola con lui, quindi? Che succede?”
Non gli ho ancora detto della telefonata di poco fa che mi ha quasi ucciso, e della conseguente presa di posizione nei confronti della mia vita, che mi ha spinto a tagliarlo fuori dalla mia serata. Credo di aver bisogno di fare due passi per raccontargli il mio ultimo quarto d’ora.
“Dobbiamo tornare dalla signora Kraler.”
“A rapire il chihuahua?”
Scoppio a ridere.
“Ho abbandonato l’idea, quando mi hai fatto notare che è senza denti, ma un vestito nuovo può sempre servire, no?”
“Ho creato un mostro: ne sono fiero. Andiamo!” conclude euforico, prendendomi sotto il braccio per condurmi verso l’uscita.

Il mio abito di Herve Leger è steso sul letto: aspetta solo me. Manca un’ora all’appuntamento e mentre lo guardo, penso a quello che succederà. Non solo stasera, ma da ora in poi. I capelli bagnati, avvolti con l’asciugamano a mo’ di turbante, sembrano stimolare il cervello a produrre più domande di quanto immaginassi e le emozioni continuano a fare a pugni.
“Che c’è C***secco?”
Non ho ancora capito se sono io pensare ad alta voce senza accorgermene, o se la sua telepatia telecinetica lo conduca da me, ogni volta che ho bisogno di lui.
“Sto pensando…”
“Così è un po’ troppo vago.”
Sto piangendo. Certe cose, per essere metabolizzate, necessitano di fiumi di lacrime.
“Vieni qui.” dice abbracciandomi.
Le sue mani mi accarezzano il turbante e le mie, strette in un pugno, si appoggiano sul suo petto. Sento il mio pianto che gli bagna la camicia e penso che ricorderò questo momento per sempre. Ora sono pronta. Solo ora. Sono pronta ad accettare ciò che è successo, sono pronta ad accettare che non posso cambiare le cose. Posso solo andare avanti. Mi asciugo le lacrime con il dorso della mano, mi allontano da lui di un passo, e mi tolgo l’asciugamano dai capelli: sto per dire una cosa memorabile.
“Il passato non si cambia, ma posso ancora riscattare il mio presente.”
“L’hai letta sui Baci Perugina?”
Deve avere una tecnica: con sei parole e una forma interrogativa, mi fa smettere di piangere e riesce a farmi ridere.
“Ti evito la storia del ‘tu non sai cosa si prova’, e non perché davvero non ne hai idea, ma perché non è più di alcun interesse.”
Michi sgrana gli occhi.
Un’espressione tipo: ‘Senti senti…’
“Mi hai fatto ricordare chi ero. Cosa desideravo e cosa ho lasciato andare. Ma posso ancora riprenderlo: le uscite programmate con te, lo shopping terapeutico, un po’ di beneficenza…”
Ironia prevedibile la mia: lo capisco dai suoi occhi, che con un guizzo, quasi mi rimproverano per essermi fermata davanti all’ostacolo.
“Non ti manca nient’altro?” mi chiede.
Vuole che lo dica. Anche se lo sappiamo tutti e due.
“Il mio lavoro.”
Michi socchiude gli occhi. Un’espressione alla maestro Miyagi: ‘Sì Sensei’.
“Eva: la vita cambia, così spesso che a volte nemmeno ce ne accorgiamo, la vita ci travolge e cambia anche noi.
Si tratta solo di adattarsi alle nuove situazioni e capire quale ruolo vogliamo avere.”
Gli do un bacio, lo abbraccio e penso che il manuale che Michele non sa ancora di dover scrivere, potrebbe essere tradotto in tutte le lingue del mondo. La sua camicia pulita mi ricorda di non essere ancora passata alla fase make-up, e Paolo sarà qui tra quaranta minuti. Corro a prepararmi. Michi è spaparanzato sul letto, la giornata di oggi lo ha stremato. Tiene le mani incrociate sulla pancia, a mo’ di estrema unzione, ma quando accendo la luce, si rianima.
“Pensa che ho dovuto convincerti a comprare quell’abito… è divino.”
“Lui. E io?”
“Carina.”
“Che cosa?”
“Sei splendida C**osecco! Vai e divertiti.”
È come per magia, dopo la sua benedizione, compare un messaggio di Paolo sul display del telefono.
“Ciao. Sono qui sotto.”
“Arrivo.”
Resto ai piedi del letto, al centro della stanza per lasciare un’immagine indelebile di questa serata che sta per cominciare, e lui mi guarda con complicità.
“Fammi solo una promessa.”
Non vorrà farmi piangere proprio adesso? Ho uno smokey eyes perfetto: non posso rovinarlo.
“Certo, dimmi…”
“Portalo a casa intero il limone, stavolta.”
“Ti odio.”
Mi infilo la pelliccia, gli mando un bacio ed esco dalla stanza.

VENTESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova