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26 Lug

In quella fredda sera di novembre, la stanza diventò bollente

enrica alessi scrittrice romanzo not for fashion victim

enrica alessi scrittrice romanzo not for fashion victim

E

 

in quella fredda sera di fine novembre, la stanza dell’ospedale diventò bollente.
Anche la mia lingua è diventata bollente: un pezzo di mozzarella è addirittura riuscito a fondermi le papille gustative. Ma ho fatto finta di niente, ignorando il dolore, senza staccare gli occhi da lui.
Sembra Apollo, il Dio del sole, ma sempre in versione country: mi piace.
“Allora, mi racconti che è successo?” mi chiede mentre afferra la lattina di Coca rimediata al distributore automatico.
Anche lui tiene gli occhi su di me.
Mi versa da bere, allunga il suo bicchiere di plastica al mio, e fa ‘cin cin’ con la voce.
Finisco il boccone e inizio a parlare.
“Ho solo cercato di scansare un gatto che mi ha attraversato la strada…”
Lui mi guarda, accennando un sorriso.
Un sorriso dolce, a tratti malinconico, e i suoi occhi: sono come quelli che ho visto, quando ho perso i sensi: di una sfumatura indefinita capace di penetrarmi.
“Se può consolarti, avrei fatto la stessa cosa.”
Forse è la botta in testa a farmi leggere un messaggio subliminale in quella frase: avrei fatto la stessa cosa.
Quindi, ne deduco che anche lui sarebbe finito in ospedale e nel magico momento del trauma cranico, avrebbe potuto fare lo stesso sogno hot che ora sta friggendo me. Questa cosa si fa interessante.
Rido. Un po’ perché tra noi potrebbe funzionare e un po’ perché, di solito, il mio aspetto migliora se faccio un sorriso — e in questo momento ‘no make-up’, ne ho decisamente bisogno.
“Appena Nicola mi ha detto dell’incidente, ho sentito il bisogno di venire qui. Dovevo sapere come stai.”
La sua dolcezza mi spiazza, tutto di lui mi spiazza. E nonostante i neuroni rimasti vigili siano pochi, li sento sforzarsi per mettere insieme una frase che possa mantenere il tono romantico che ha preso il discorso.
“Mi hai fatto una sorpresa: sono felice.”
Le parole mi escono da sole, ma fanno a pugni con il desiderio che mi logora.
Non so se mangiare la pizza o lui con gli occhi: l’appetito che sento è di tipo diverso.
Questa è una doppia punizione divina.
Il trauma cranico ha prodotto i pensieri che mi turbano e le mie costole incrinate mi impediscono di acquietarli. Ma cosa ho fatto di male?
“Tu sei una sorpresa.” ribatte senza smettere di guardarmi.
Lo so: truccata ero diversa, il pigiama con l’orsetto di patchwork mi dà un’aria da casalinga disperata e non riesco neanche a sorridere: pendo dalle sue labbra che stanno per dire dell’altro.
“Sono rimasto con te un paio d’ore e da quel momento, ho pensato a te ogni singolo giorno.”
La mia espressione si traduce in modo semplice e conciso: ‘ma che davéro?’
Il trauma cranico deve aver prodotto danni irreversibili, ma il film che sto vivendo è troppo bello per essere interrotto.
In seguito, valuterò la veridicità delle sue affermazioni, ma ora, voglio andare avanti.
“Mi hai fatto sorridere e non mi succede spesso. Specie in questo periodo.” aggiunge.
Potrei dire la stessa cosa. E la dico:
“So cosa vuoi dire. Potrei raccontarti dei miei ultimi dieci giorni e avresti qualcosa con cui consolarti.”
Vorrei ridere: la mia battuta è carina, ma ho paura del dolore al petto che sento già avvicinarsi. Mi trattengo. Appoggio il dorso della mano sulla bocca e lascio la parola ai miei occhi divertiti.
I suoi si sforzano di sorridere, ma quella vena triste che ormai li distingue non fa cenno di andarsene.
“Tu dici?” mi chiede. “E allora racconta: che cosa hai combinato?”
Sono eccitata, felice: vuole davvero i dettagli? Gli interesso così tanto?
Gli racconto di Max, del libro che sta alla base dei miei problemi, del cappotto di Saint Laurent, arrivo fino a Cassandra, poi, mi fermo.
Tutti e due abbiamo smesso di mangiare da un pezzo: la pizza giace fredda sul cartone e forse non c’è altro da dire. Perché quando si arriva a un certo punto, le parole non bastano più: arrivano i baci.
La sua mano raggiunge il mio viso, lui si avvicina e porta le sue labbra sulle mie, io chiudo gli occhi.
La mozzarella avrà anche distrutto le mie papille gustative, ma riesco ancora a riconoscere un bacio bollente.

Il dottor Savastano si è ufficialmente rassegnato all’idea che Lolita e Max non siano fatti per stare insieme e ha firmato le mie dimissioni, nonostante il cartone di pizza abbandonato sul tavolo.
Nessun rimprovero, giusto qualche raccomandazione: non faccia movimenti bruschi, non si affatichi ed eviti qualsiasi attività che possa aggravare le sue condizioni di salute.
Sottolineando le parole ‘qualsiasi attività’, ha lasciato intendere quale fosse il suggerimento che gli stava più a cuore. Ho sorriso, ho annuito, fingendomi quasi estranea alla cosa, ma non è stato facile: il sogno erotico elaborato dalla mia mente, dopo l’incidente, continua a farmi visita, e non riesco a togliermelo dalla testa.
Se non fosse per queste costole incrinate, sarebbe già successo tutto quello che doveva succedere, ma se non ci fossero state, mi sarei persa l’appuntamento più romantico della mia vita.
Sono a casa da due giorni e Max è rimasto accanto a me tutto il tempo, ha persino imparato a moderare la sua irruenza affettiva.
Luca ha continuato a scrivermi, a mandarmi messaggi vocali e la crisalide che sento nella pancia, ha bisogno di uscire di trasformarsi in farfalla.
Non so dire se sia stato il mio aspetto a cambiare ciò che mi circonda. A volte, credo che sia stato ciò che mi circonda a essere cambiato, cambiando anche me. Ma sento di non essere più la stessa.
Anche Cassandra non sarà più la stessa, diventerà mamma e, quasi per osmosi, mi sento contagiata dal suo istinto materno.
Ora tocca a me prendermi cura di lei, come lei, fino a ora, si è presa cura di me.
Sarò una zia fantastica, la migliore del mondo.
Se non fosse per Jerôme, che continua a ignorare la mia esistenza, la mia nuova vita sarebbe quasi perfetta.
La verità è che non so più cosa inventarmi, vorrei gettare la spugna, lasciarmi alle spalle tutta questa storia, ma il pensiero che sia Britney a organizzare qualcosa di speciale per Cassandra, me lo impedisce.
Quella parte di me che si ostina a sorprendere me stessa e gli altri, non vuole arrendersi: né ora, né mai.
Pronuncio quella frase perentoria di fronte allo specchio, mentre controllo il mio aspetto, ancora frastornato dagli eventi.
Il comodino alle mie spalle si riflette sulle ante: vedo il mio rossetto rosso, la sola cosa sensuale che mi è concesso indossare con due costole incrinate, e il libro di Chanel che ho lasciato in sospeso. Sento una voglia irrefrenabile di sapere cosa le sia successo dopo la storia con il Duca di Westminster. Domani continuerò a leggere, ma oggi, devo scrivere a Jerôme e mi restano solo le maniere forti.

“Caro Jerôme, questa è l’ultima volta che ti scrivo. Non è solo la mia dignità a impormi una decisione tanto sofferta, ma il mio stato di salute. Ho avuto un terribile incidente d’auto, le mie condizioni sono critiche e non credo che sopravviverò.
Se dovessi venire a mancare, ti prego: contattata Cassandra al 355 49873221 e lasciale una dedica sul tuo libro.
Addio Melissa.”

Ora devo andare, Luca sta venendo a cena.

DICIOTTESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova