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14 Gen

Il vaso di Pandora

l'amore ai tempi supplementari romanzo enrica alessi

 

 

l'amore ai tempi supplementari romanzo enrica alessi

 

C

inquanta è il numero perfetto, ma solo se si parla di sfumature e le sue, di grigio brizzolato, sono le mie preferite.
Mi sono mancate moltissimo.
Sto qui, abbracciata a lui che ancora dorme, e mentre resto immobile sul suo petto ancora abbronzato, non posso fare a meno di chiedermi: come possiamo conoscerci da così poco — in quel senso — e avere una tale intesa? Comincio a pensare che tenga una mappa dei miei punti erogeni nascosta da qualche parte. Ognuna delle sue molecole mi acchiappa e il suo profumo, sì ecco, il suo profumo riesce ad azzerare le mie difese immunitarie affettive. Una parte di me vorrebbe tirare le briglie per impedirmi di correre, ma l’altra non vuole saperne, mi suggerisce di scioglierle, di lasciarmi andare. Le donne non fanno altro che domandarsi perché, anche quando le cose vanno per il verso giusto, e noi due insieme funzioniamo, è così e basta. O forse sono solo stanca di aggiungere perplessità ad altre perplessità. Specie in questo periodo di sorprese, quando ne arriva una che vorresti rispedire al mittente, ma che sei costretta ad accettare.

È il giorno di Natale, siamo seduti a tavola, Clara è alla mia destra, Sofia alla mia sinistra, di fronte c’è quello che sulla carta è ancora mio marito. Non sembra aver accusato il colpo del mio rifiuto, al contrario, appare splendido splendente nel suo look informale.
Io, invece, mi sono messa in ghingheri, ho il sentore che Andrea ci farà un’improvvisata. Non serve una ragione migliore per sentirsi favolose.
Abito rosso in crepe de chine di Giambattista Valli, cintura alta in vernice nera di Chanel, cappotto panna di Dior, borsa in pelle avorio di Chloé e stiletto di Styletto: il mio pezzo portafortuna.
Siamo quasi alla fine del pranzo e sto già pregustando il momento in cui potrò salutare e andarmene. Fuggire — per essere precisi — da una situazione fin troppo costruita, seppure per il bene di mia figlia.
Ma mentre Clara si alza da tavola per servire la zuppa inglese che da tradizione conclude il pranzo, Davide si alza per recuperare il regalo che Andrea ha comprato per Sofia.
Glielo porge: vorrei complimentarmi per il tempismo. Questo dovrebbe ricordare a sua madre che la tradizione è un tantino cambiata.
Mi sforzo di sorridere di fronte alla meraviglia di mia figlia, mi offro anche di aiutarla a scartare il pacco — giusto per ignorare la competizione che sento crescere in me — e quando la scatola esce allo scoperto, cosa vedo? Lo ski lift del villaggio invernale delle Lego Friends. Qui, invece, mi verrebbe da complimentarmi per l’originalità.
“Mamma è bellissimo!” esulta Sofia. “Ci sono le seggioline che ti portano sui monti.”
Chissà perché ma penso solo a una slavina.
“È proprio bello!” dico fingendomi entusiasta.
“Papà perché non mi porti a sciare?”
Ecco, appunto, così mentre loro saranno in montagna, io non mi sentirò in colpa per aver raggiunto Paolo a Forte dei Marmi.
“Grande idea tesoro! Andiamoci!” la incalza lui. “Mamma vieni con noi?” aggiunge.
Dice a me? O a sua madre?
“Sì mamma vieni con noi, ti prego, ti prego, ti prego!”
Direi che la mamma in questione sono io.
Vorrei avere la prontezza di riflessi, anche solo verbale, per tirarmi fuori da questa pantomima, ma se in condizioni normali la mia faccia direbbe più di mille parole, la presenza di Sofia tende a mitigare la mia espressione, e non resta altro che un fermo immagine su un sorriso di plastica.
Questo è un colpo basso. Anzi, bassissimo. E Andrea? Dov’è Andrea in tutto questo? Se ieri qualcuno mi avesse detto che la sua assenza mi sarebbe pesata così tanto, non ci avrei creduto. E mentre cerco di scansare lo sguardo supplichevole di Clara che sento su di me, il cane fa pipì sul divano.
Questa è colpa mia: lo sanno tutti.
Gli occhi di Clara cambiano colore: da rosa cuore a ‘ti faccio nera’.
Mi precipito a pulire.
“Olivia… qualcuno dovrà pensare a Olivia… non possiamo lasciarla qui, hai visto che guai combina…” dico nervosamente.
“Ci sono tante strutture che accettano gli animali, soprattutto di piccola taglia.” interviene Clara.
Si può sapere da che parte sta?
“Non credo di riuscirci, ho promesso al mio capo che ci saremmo viste domani…”
Okay, lo ammetto, questa è una bugia: devo vedere Paolo, ma è stato Davide il primo a giocare sporco.
“Ma ne avrai solo per un paio di giorni.” mi interrompe lui. “Possiamo cercare un last minute per un Capodanno sulla neve.”
Che idea romantica. Tra poco vomito.
“Mamma ti prego, io non ho mai sciato…per favore… tutte le mie amiche ci vanno.”
Quegli occhi. Quei piccoli occhi blu mi sciolgono, anche se mi portano in Antartide: sono come quelli del pinguino di Happy Feet.
Appunto. E se invece dello sci, provasse il tip tap?
Sono una madre sciagurata.
Il divano sembra pulito, quando si asciugherà rimarrà un piccolo alone, ed è chiaro che abbiamo problemi più grandi a cui pensare. E lì davanti a quella macchia, capisco che non posso cedere. Per l’ennesima volta, Davide sta tentando di piegare il mio volere. Mi vuole di nuovo sotto il suo controllo e sta mettendo in mezzo nostra figlia per ottenere ciò che vuole. Non me ne starò a guardare mentre assiste al film documentario sui suoi genitori: “Quando gli adulti si comportano come bambini.”
“Allora mamma, ci andiamo insieme?”
Questa vicenda va discussa in privato.
“Amore, ne parlo un attimo con papà. Perché non apri la scatola delle Lego Friends e cominci a montare questo bellissimo ski lift?
Quando torno, ti aiuto anch’io e ci giochiamo insieme, okay?”
Almeno potrò buttare dalla rupe la Lego Friends con cui gioca tuo padre.
Simbolicamente significherebbe farli fuori tutti e due in un colpo solo. Non male.
Dannatissime Lego Friends.
Getto lo strofinaccio nel pattume — sui batteri non si scherza — e faccio cenno a Davide di seguirmi.
Mi dirigo nello studio di sua madre, dove Sofia gioca a fare la segretaria. Sto per chiudere la porta, ma mi accorgo che Olivia ci ha seguito.
La guardo con un’espressione traducibile in: è meglio che te ne vai finché sei in tempo.”
Lei mi capisce al volo e fa dietro front.
Chiudo la porta, mi volto e lo vedo sorridere.
“Non so dove tu voglia arrivare…”
“Pensavo a Sankt Moritz…”
“Davide: non cambio idea. Si è rotto tutto. Non c’è niente che tu possa fare, è finita.”
“Ti sto solo chiedendo un weekend con nostra figlia…”
“Certo. E perché fino all’altro giorno ci portavi un’altra donna? Quella per cui mi hai lasciato e che ora vive con te. Che fine ha fatto lei? Dov’è?”
Parla! Sporco traditore!
“E a New York con le sue amiche. Torna il quattro gennaio.”
“Che strano: vi amate così tanto e lei è corsa a New York senza di te…”
Mi ha preso per scema? Questa lo ha piantato e lui vuole tornare a casa come se niente fosse?
“È stato il mio regalo di Natale.”
E anche se gli Occhi di cioccolato non torneranno mai più, quel sorriso dolce non fa cenno di andarsene.
Lo ammetto: ho l’infatuazione facile. E questa situazione comincia a farsi scomoda, anche lo stiletto di Raffaello inizia a starmi stretto.
“Sentimi bene, grande calciatore di serie A, non sono qui a farmi prendere in giro. Vuoi portare Sofia a sciare? Okay, non sarò io a impedirle di vivere un’esperienza felice, ma tu e io non siamo una coppia e non sono disposta a fingere di esserlo.
Dormiremo in camere separate, e in pubblico non ci sarà nessun tipo di effusione.”
“E in privato?”
“Smettila di fare il cretino.”
Alla fine ho ceduto. Ma se non fossi stata mamma, sarebbe stato più semplice.
È solo un weekend per mettere Sofia sugli sci, dormiremo in camere separate, non ci sarà sesso, ci limiteremo all’amore genitoriale. Ci sarà il rispetto degli spazi. Una cosa alla Dirty Dancing: questo è il mio spazio, quello è il tuo spazio. Io non entro nel tuo, tu non entri nel mio.
Sto per andarmene, Sofia mi sta aspettando, ma prima voglio togliermi una piccola soddisfazione.
“A proposito di sincerità, onestà e lealtà, domani non ho un appuntamento di lavoro, vado dal mio ragazzo.”
“Una toccata e fuga…”
Il suo tono provocatorio mi offende.
“Già, ma è il miglior sesso tantrico della mia vita.”

Paolo sta ancora dormendo. Mi domando se i miei pensieri abbiano raggiunto i suoi ancora intorpiditi. Non sarò così fortunata: dovrò essere io a informarlo del mio capodanno sulla neve e non so come la prenderà.
Si muove, mugugna, ma i suoi occhi restano chiusi. Devo trattenermi per non arrampicarmi su di lui. È il mio battito animale. Credo che potrei riuscire a fare l’amore con lui anche senza lavarmi i denti: neanche l’alito del mattino riuscirebbe a fermarmi. E mentre cerco di tenere a bada la mia carica erotica, lui si gira sul fianco e continua a dormire.
In effetti, lavarsi i denti mi sembra il minimo. Meglio così.
Mi sollevo, avvicino le lenzuola alla sua schiena e mi alzo a preparare la colazione.
Raggiungo la cucina nel mio pigiama di seta sexy, guardo fuori dalla finestra e vedo il mare. Ieri sera, quando sono arrivata, si era già fatto buio. Avevo sentito il rumore delle onde, ma non avevo capito che la casa di Paolo si affacciasse su quel pontile.
Chiudo gli occhi, sospiro, e mi rivedo piccina che passeggio con la nonna.
Sento il ticchettio del suo mezzo tacco sulle tavole di legno, sento il suo profumo, la sua voce calma e decisa.
L’immagine si spegne e i miei occhi, umidi di lacrime, si riaprono lasciandomi con un sorriso malinconico.
La colazione. Meglio pensare alla colazione. Dunque, vediamo, in tutti i film d’amore, la mattina si cucinano le uova, devono essere afrodisiache, non c’è dubbio. E allora, cucinerò delle uova.
Apro il frigo, sono fortunata. Le ripongo sul ripiano e al primo colpo trovo la padella. E mentre penso che questa è la mia mattina fortunata, provo a indovinare il cassetto delle posate, apro il primo sulla destra, ma sbaglio, è quello delle tovaglie.
Ne scelgo una per apparecchiare. La più carina è l’ultima della pila. Sollevo le altre
per prenderla e noto che sotto di lei c’è un foglio bianco: potrebbe essere la mappa dei miei punti erogeni.
Non riesco a frenarmi, la tentazione di vedere cosa sia mi divora. È una busta, ma non è sigillata. Questo mi concederà uno sconto della pena, visto che ho seriamente intenzione di aprirla per sapere che cosa c’è dentro.
Una foto in bianco e nero che ritrae un bacio. Paolo ha la bocca appiccicata a quella di una ragazza bionda con la chioma fluente, le accarezza il viso e sorride: lo capisco dalla fossetta sulla sua guancia di profilo. Le sfumature di grigio brizzolato si notano appena, non deve essere una fotografia recente, e non so dire se sia un bene o un male: se è una cosa passata, perché la bionda sta ancora nel cassetto delle tovaglie?
Decido di riporla dove l’ho trovata, ma chiudere quel cassetto è come chiudere il vaso di Pandora. Apro quello che sta più in basso in cerca della forchetta con cui sbattere le uova, e mi viene da pensare che ormai la frittata è fatta. Chi è quella bionda?
Il tradimento è una lettera scarlatta emotiva che ti marchia a vita. Quando succede una volta, vivi nella paura che possa succedere ancora, anche se non ne hai motivo… o invece sì?
“Buongiorno amore mio.”
Sento la sua voce alle mie spalle, vorrei voltarmi e sfoderare il migliore dei sorrisi, ma sono in ansia. Sono in ansia per aver frugato tra le sue cose, sono in ansia perché credo che non riuscirò a tacere.
Non voglio ripetere gli stessi sbagli che ho commesso con Davide, non fingerò che vada tutto bene per paura di affrontare la realtà delle cose, e se quella donna è in quel cassetto, devo sapere se fa parte del passato oppure no.
Mi volto e dico sorridendo: “stavo preparando delle uova per colazione.”
Un incipit ci vuole, mica posso dirglielo subito.
“Strapazzate?” chiedo.
Lo vedo avvicinarsi con quello sguardo e nonostante stia tentando di scansare l’immagine del sesso bollente che sta per consumarsi sul tavolo da pranzo, non posso fare a meno di chiedermi: ma dove sta scritto che il dovere debba per forza anticipare il piacere?
Glielo dico dopo.

Dopo — un po’ dopo — sono seduta a tavola con lui, insieme alle uova strapazzate e a un caffè forte, ora ne ho bisogno.
I miei occhi si alzano dal piatto cercando il coraggio di spostarsi sui suoi, giunge il momento di aprire bocca.
“Paolo, devo dirti una cosa…”
“Anche io.”
“Ah sì? Comincia tu.”
“No tu.”
“Insisto: comincia tu.” dico afferrando la tazza di caffè.
“Se passassimo capodanno insieme?”
La sua domanda e il mio cuore fa ciok.
“Potresti venire qui con Sofia. Mi farebbe piacere conoscerla…” dice sorridendo.
È l’equivalente di una dichiarazione d’amore. E io sto per dirgli che non posso accettare, perché mio marito si è servito di nostra figlia per incastrarmi.
“Non sai quanto vorrei.” mormoro. “Ma Sofia desidera imparare a sciare e Davide vorrebbe organizzare il weekend di capodanno in montagna.”
La sua faccia è perplessa.
“Sofia mi ha chiesto di andare con loro.”
“Okay… okay.” dice abbassando lo sguardo.
“Mi rendo conto che non sia facile immaginarci insieme, ma…”
“Più che facile, direi strano. Non riesco a immaginarti vicino alla ragazza di Davide.”
Ora come glielo dico che Andrea è a New York con le sue amiche?
Penserà che lei lo ha piantato e che lui ci stia provando con me. Il ché, in parte, è anche vero.
“Lei non può venire. È stata chiamata per una serata in un bar di Manhattan.”
Ho camuffato la verità, ma il risultato non cambia, lo vedo dai suoi occhi che ora riesce a immaginarci tutti insieme. E non sembra felice.
“Amore, lo faccio solo per Sofia.”
“Lo so. Me la presenterai un’altra volta.”
Il suo sorriso mi fa capire che si fida da me. Mi allungo verso di lui e lo bacio.
A questo punto della storia, non sarebbe carino rompere il cerchio della fiducia.
Anche io voglio fidarmi di lui.
Che importanza può avere la bionda nel cassetto?

TRENTASETTESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova