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4 Lug

Il gatto fortunato

enrica alessi scrittrice romanzo not for fashion victim

enrica alessi scrittrice romanzo not for fashion victim

L’

ho fatto di nuovo. Sono tornata da Venere e ho comprato ancora. Un cappotto da duemila e quattrocento euro.
In tweed, di Saint Laurent, uguale a quello di Cassandra. E sono tornata dove tutto è cominciato: in quella stalla dall’odore appestante.
Diet Coke viene verso di me.
Gli stivali da cowboy calpestano il pavimento polveroso, che attenua il rumore dei suoi passi, sempre più vicini.
Lo guardo: ha i capelli sottili, biondi come le spighe del grano, e i suoi occhi non sono marroni come ricordavo. Sono una combinazione sublime di verde, grigio e azzurro, che dà loro una luce viva, intensa, eccitante.
Porta una camicia sbottonata dentro a un paio di jeans di colore scuro, e dalla sua scollatura, sbuca un petto atletico e villoso, chiaro come i suoi capelli.
Le mani, grandi e forti, si avvicinano al mio viso: lo sfiorano, lo accarezzano e lo conducono alla sua bocca. Rossa, carnosa.
I baci: prima soffici, poi più audaci.
Mi morde le labbra e sento il desiderio, il bisogno di portare le mie sul suo collo, sul suo petto.
Le mani scivolano giù, verso la vita dei suoi pantaloni, e lui mi bacia di nuovo, mentre il respiro si affanna di piacere.
Non porto nulla sotto il cappotto, solo la pelle d’oca che reagisce al brivido di eccitazione, provocato dalle sue dita, lunghe e affusolate, che scorrono sul mio corpo nudo, facendolo fremere.
Il tweed scivola via, cade a terra sulla polvere, insieme alla sua camicia, ai pantaloni, agli stivali sporchi di fieno.
I baci diventano parole. Parole sussurrate all’orecchio, con una voce che diventa sempre più calda.
Mi guarda, mi bacia, mi prende.
Aiuto. Aspetta. Non vedo più niente.
Si può sapere chi ha spento la TV?
La sfortuna mi sta addosso come un aereo da caccia: non saprò mai come finisce il mio sogno erotico.
Il petto mi fa male. La testa mi fa male e non riesco ad aprire gli occhi. Dove sono?
Sento solo un’odore familiare: medicinali, disinfettante. Forse sono in clinica.
Britney deve avermi sparato. Voleva farmi fuori ed essere sicura che non rovinassi i suoi piani. Dovevo aspettarmelo.
Sento un brusio: qualcuno sta parlando in lontananza. Credo che stia minacciando Giulio con la pistola, per costringerlo a trascinare due taniche di benzina, con cui incendiare la clinica e occultare il cadavere. Ma io sono ancora viva.
È chiaro che devo limitare l’uso di Fox Crime: può avere seri effetti collaterali.
Faccio un passo indietro. Mi fermo, ma solo con la mente: sono così dolorante da non riuscire a muovermi.
E mi chiedo: non sarà che sono finita in ospedale, dopo aver cercato di schivare il gatto di ieri sera?
Il mio corpo sobbalza, apro gli occhi, mi sveglio e vedo Cassandra.
Perché sta piangendo?
“Ehi.” dico con un filo di voce.
Si alza dalla sedia, sembra voglia abbracciarmi, ma si trattiene, forse a causa della fasciatura che sento attorno alla testa. Si asciuga le lacrime e mi prende la mano.
“Amore mio! Come stai?”
“Sto bene. Dimmi solo cosa ho combinato stavolta…”
So che sta pensando in quale ordine darmi le informazioni, per farmi pesare l’accaduto il meno possibile, ma la sua espressione compassionevole mi fa capire che niente servirebbe.
“Almeno il gatto è salvo?” le chiedo.
“Gatto? Quale gatto?”
Il fatto che non ne sappia nulla mi fa pensare che non ci fossero gatti sul luogo dell’incidente. E io sono una campionessa di ‘Schiva il gatto.’
“Un gatto mi ha attraversato la strada: non potevo investirlo.” dico dispiaciuta. “Ricordo solo lo stridere delle gomme sull’asfalto, l’auto che rallenta senza riuscire a evitare l’albero. Lo schianto, il cuscino dell’airbag sulla faccia e poi, più niente.”
“La tua Tiguan si è ‘lievemente’ distrutta, ma tu stai bene: il resto si aggiusterà.”
Sapevo che dovevo fare la kasko.
Un momento: il suo cappotto?
“Che c’è?” mi chiede, preoccupata dal mio stato di agitazione improvvisa.
“Dentro la mia Tiguan, c’era il tuo cappotto di Saint Laurent, pulito e profumato!”
“Me lo hanno già consegnato i due signori che sono venuti a prendere l’auto con il carro attrezzi.” dice sorridendo per tranquillizzarmi.
Carro attrezzi? Ma non era solo ‘lievemente distrutta’?
Fingo di non preoccuparmi dei danni e mi rallegro che il cappotto sia finalmente tornato tra le sue braccia. E anche se avevo immaginato questa scena in modo diverso, voglio sistemare le cose.
“Mi dispiace di averlo preso senza il tuo permesso.”
“Non importa più adesso. So che lo hai fatto per sorprendermi, e in un certo senso, ci sei riuscita…” dice in modo ironico, “ma non parliamone più.”
Come non parliamone più? E la faccenda di Britney? Io voglio sapere.
“Non mi importa nemmeno dell’organizzazione dell’addio al nubilato…”
Quei puntini di sospensione sembrano interminabili, vorrei che fosse lei a chiudere la frase, ma Cassandra abbassa lo sguardo: sembra essere in difficoltà.
“Avrei potuto gestirla in modo diverso…”
“Lo so…” dico, cercando di limitare il suo senso di colpa.
“Lo sai?”
“So solo che Cristina si è offerta di prendere il mio posto…” ammetto delusa.
La delusione si è fermata anche sul suo volto, sospira e ricomincia a parlare:
“Tommy me l’ha presentata un paio di settimane fa, ha cominciato a fare domande, era eccitata al pensiero di questa festa. Mi ha chiesto chi l’avrebbe organizzata, e anche se non ti avevo affidato l’incarico ufficialmente, sapevo che saresti felice di occupartene.”
“Ma…” aggiungo impaziente, desiderosa di conoscere il resto della storia.
“Poi, dopo la cena al Rigattiere, è diventata più insistente. Mi ha detto che sarebbe stato un piacere farlo al posto tuo, che eri presa dal lavoro…”
“E…” aggiungo, incitandola a continuare.
“E dopo averti visto da Amelia, una sua telefonata, dal tempismo perfetto, ha fatto il resto.”
Cassandra abbassa lo sguardo, sembra pentita di aver agito impulsivamente.
“Ero arrabbiata, ero delusa, mi dispiace Melissa, mi dispiace da morire…”
“Non dispiacerti. Al tuo posto, credo che avrei fatto la stessa cosa.”
“Dici davvero?”
Forse no. Conosco Britney più di lei e non le avrei affidato niente di mio. Ma avrà modo di farsi un’idea sul suo conto: è solo questione di tempo.
“Dico davvero.” concludo affettuosa.
Si alza dalla sedia, mi dà un bacio sulla fronte. Forse dovrei chiederle uno specchio per controllare il mio stato, ma lei mi anticipa.
“E c’è un’altra cosa che devo dirti…”
“Cristina vuole portare anche gli anelli all’altare? Non è un po’ cresciuta? Non servirebbe un bambino?” chiedo in tono provocatorio.
“Io aspetto un bambino!”
“Un bambino? Sto per diventare zia?” chiedo in preda a un raptus di gioia.
“Sì!”
“Ma è meraviglioso!”
“Cristina lo sa già, Tommaso ha informato la sua famiglia, e anche io volevo informare la mia: sei come una sorella per me, Melissa, ho bisogno di te.”
E in quel momento, capisco che la parentela è solo una formalità. Sarò io la zia migliore — anche se putativa.
“Non vedo l’ora!” dico eccitata. “Quando nascerà?”
“Sono entrata nel terzo mese…”
“E conosci già il sesso?”
“Ho un’ecografia la prossima settimana.” risponde felice.
“Dopo averlo scoperto, avremo mille a cose a cui pensare: la culla, la carrozzina, il passeggino…”
Vorrei alzarmi dal letto in questo istante e cominciare a darle una mano, ma mi accorgo solo ora di non averle fatto nessuna domanda riguardo alle mie condizioni di salute.
“Camminerò di nuovo? Vero?”
“Certo che camminerà di nuovo…”
Un medico è appena entrato, e a parte la 50 di pantaloni, la calvizie e gli occhiali a fondo di bottiglia, dal tono di voce rassicurante, mi ricorda il dottor Derek Shepherd.
Se valutassi me stessa con gli equivalenti parametri di simpatia, anche io potrei essere la sosia di Meredith Grey.
Il dottore si avvicina, controlla il nome sulla cartella che sta in fondo al mio letto e si pronuncia:
“Dunque, Melissa: si è incrinata due costole, ha perso conoscenza a causa del trauma cranico, ma abbiamo fatto una TAC ed è tutto nella norma. Tra un paio di giorni, potrà tornare a casa.”
Una buona notizia.
Il dottore ci lascia sole e ora, che non c’è nulla di serio di cui preoccuparsi, posso chiedere uno specchio per controllare il mio aspetto.
Cassandra me lo porge, lo avvicino al viso e mi guardo: sembro il gatto Silvestro dopo un incidente: naso rosso, occhi crepati, fasciatura sulla fronte.
“Pensavo peggio.” dico sollevata.
“Sono solo graffi, guarirai in fretta.”
Fretta.
Quella parola fa spuntare sulla mia testa un grosso punto interrogativo.
Il bambino nascerà tra sei mesi e Britney, durante la nostra ultima lite, ha detto che il tempo non le sarebbe bastato: credo che Cassandra abbia anticipato il matrimonio, ma che stia evitando di dirmelo, per non peggiorare la mia ansia da prestazione.
Posso gestirla.
“Hai anticipato il matrimonio, vero?”
“Cristina ti ha detto anche questo?” chiede allarmata.
“Non proprio, me lo ha lasciato intendere, ma so che non sei il tipo da sposarsi con un abito premaman, sbaglio?”
“Ci sposiamo tra due mesi.” conferma.
Timidezza, imbarazzo, tenerezza: leggo questo nei suoi occhi. E anche se il tempo a disposizione per convincere Jerôme è quasi inesistente, sono davvero felice.
“Sarai bellissima.” dico commossa.
“Anche tu.”
Cassandra si porta una mano alla bocca e sgrana gli occhi.
“Melissa! Dimenticavo… ha chiamato tua madre: due volte.”
“Mia madre chiama sempre due volte.”
dico in tono scherzoso.
“Ma non ho avuto il coraggio di rispondere…”
“Ora la richiamo.”
“Ed è arrivata un’altra chiamata: un numero non salvato in memoria.”
“Hai risposto?”
“Certo che no. Non parlo con tua madre, figuriamoci con uno sconosciuto…”
Perché ho l’impressione che mi stia nascondendo qualcosa?
“Ma ha lasciato un messaggio.” aggiunge con uno strano sorrisetto.
“Lo hai letto?”
“No. Sei matta?” risponde fingendosi offesa. “Okay, solo in parte, solo l’inizio, solo di sfuggita… Sì: l’ho letto tutto.” confessa divertita, passandomi il telefono.
Lo afferro, apro il mio whatsapp e inizio a leggere:
“Ciao Melissa, sono Luca, come stai?”

QUINDICESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova