To top
26 Gen

I nomi in codice

storie di ordinaria follia
storie di ordinaria follia
I
 soprannomi esistono per identificare le persone, spesso derivano da caratteristiche fisiche o caratteriali che sottolineano ciò che siamo. Ce li affibbiano i genitori, i parenti, gli amici e sono come dei vestiti cuciti su misura, calzano a pennello come le scarpe fatte dal miglior artigiano. E’ difficile separarsene, perché alla fine ti ci affezioni. Io chiamo tutti con un soprannome, anche il mio cane. Frida ne ha almeno quattro: Friduccia, Nina, Gnigni, Ninigni. E pure il mio fidanzato ha stuzzicato la mia fantasia: Amoru’, Babbu’, Babbuzzo. Sotto casa mia, abita un signore di mezza età. Sembra un personaggio uscito da un romanzo. Quando lo incontro per strada mi colpisce per lo stile: il cappello alla marinara, il foulard intorno al collo, il gilet da Braccio di Ferro, il cappotto militare. Saluta sempre in modo garbato e gentile, si muove con disinvoltura, sembra quasi fluttuare nell’aria. Eppure io lo chiamo ‘il pazzo’. Sì, perché quando è a casa si trasforma. Ci ho addirittura messo un po’ per capire che fosse la stessa persona discreta che vedevo per strada. Di solito urla, se è allegro dice ‘trallallero trallallà che te possino ammazzà’, se invece è arrabbiato, sfodera un repertorio di frasi irripetibili. È un po’ come Dottor Jekyll e Mister Hyde. In palestra, invece, c’è un tizio che ha attirato la mia attenzione, bello non è, fisicato neanche, ma è il tipico maschio alfa che in palestra dà il meglio di sé — sudorazione compresa. L’ho soprannominato simpaticamente ‘il cinghiale’. Non ci siamo mai presentati, non ci siamo nemmeno mai rivolti la parola, lo sento solo mugugnare sotto sforzo. Di solito lo vedo il venerdì, al corso di Omnia delle diciannove. Non so come mai, ma con tanti posti da cui partire per il circuito, si posiziona sempre o davanti o dietro di me: credo lo faccia per sfidarmi e io non mi tiro indietro. Ci guardiamo entrambi come a dire: ‘si, eccomi di nuovo, non ti aspettavi di vedermi ancora, eh?’ E appena si comincia, gli mostro da subito con chi ha a che fare. È un percorso a tempo, io sono già al terzo giro e lui non mi sta dietro, lo guardo con la coda dell’occhio e scivola.  Dentro di me, sento partire la ola del Maracanà e pure quella del San Paolo. Sarai anche un cinghiale, penso, ma Ringhio ti ha battuto. E se non fosse per ‘Alessia’ mica mi chiamerei così. Ringhio è il cane di Tre Uomini e Una Gamba, e descrive una parte di me che esprimo solo in alcune situazioni e con determinate persone. È come un alter ego.  Quando la mia metà ‘carina e coccolosa’ si nasconde, per esigenza esce l’altra più cazzuta, che si manifesta per difendere il territorio. Ma come ho detto, ogni soprannome racconta una storia. Seguo l’ufficio stampa di Enrica detta Alessia da diversi anni, siamo delle outsider controcorrente, e si sa che quella del salmone non è una vita semplice, ma abbiamo sempre cercato di offrire contenuti inediti e intellettualmente stimolanti. Facciamo storytelling — quello vero — e le illustrazioni lo completano: sono questi i nostri tratti distintivi. Ma un bel giorno, ricevo una mail da parte di una società che si occupa di eventi, chiedono ad Alessia, di partecipare per rappresentare un marchio italiano molto conosciuto, ma per la collaborazione non è previsto nessun tipo di budget. Non ci ho visto più e ho risposto da Viterbo con furore, sottolineando che il baratto è un metodo di pagamento ormai obsoleto. Il tempo è una risorsa per tutti e l’impegno professionale deve essere necessariamente retribuito alle giuste condizioni, qualunque esso sia.
L’azienda di cui sopra non solo risponde, ma si scusa e ci offre una discreta somma di denaro. Ecco come ho guadagnato il mio soprannome di cui vado orgogliosa. Ho il bruttissimo difetto di dire sempre ciò che penso, pur mantenendo un aplomb cordiale, disinvolto e pacato: ho imparato che è il modo in cui si dicono le cose a fare la differenza. Il mio fidanzato, invece, mi chiama Sandokan, e anche se dopo otto anni, non ho ancora capito il perché, credo che anche la Tigre della Malesia, a modo suo, sia capace di ringhiare. Tutto torna. Voi che dite?
Illustrazione Valeria Terranova