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6 Feb

Edizione straordinaria

not for fashion victim romanzo enrica alessi

 

not for fashion victim romanzo enrica alessi

 

P

archeggio l’auto davanti a casa di Cassandra, suono il campanello, la porta si apre. Ho un sussulto.
Sto per darle una grande notizia e non vedo l’ora di scoprire la sua reazione.
Infilo la mano nella tasca del cappotto e tasto il biglietto da visita. È un pezzo di carta che supera il valore di qualsiasi banconota, è un pass per il paradiso… sì insomma, quando Cassandra saprà che le sto dando il contatto della direttrice di Grazia, perderà i sensi. Meglio farla sedere prima di dirglielo.
Varco la soglia e la vedo: indossa un tubino stretch a fantasia di Versace Primavera/Estate ‘92, è un vintage.
Ehi… come faccio a saperlo?
Non importa, lo so e basta.
La guardo sorrido. Mi metto a saltellare mettendo le mani davanti alla bocca come farebbe Pollon: non sto più nella pelle.
“Tu non sai che cosa ho in tasca…”
Afferro il cartoncino e mi levo il cappotto.
“Non so cos’hai in tasca, ma so cosa c’è sulla gonna…” ribatte.
La mia testa si abbassa, gli occhi perlustrano l’arazzo e non tornano a mani vuote: al centro, proprio sulla parte chiara, c’è una macchia di sugo. Credo che sia quello delle cozze.
Faccio un sorrisetto per implorare il suo perdono e ricomincio a parlare.
“La porto da Amelia, tranquilla.”
Cassandra mi lancia uno sguardo di sfida.
“Com’è andata piuttosto?” chiede addolcendo la voce. “Lei com’è?”
“Cassandra, tu non ci crederai: lei si è letteralmente innamorata…”
“Della gonna! Lo so! Non avevo dubbi: lei è infallibile. Quel poncho ha un significato simbolico… ti ho detto che ha una storia, vero?”
Sì e non la voglio sapere. Ora tocca a me parlare: voglio gridare al mondo intero che la madre di Luca è la direttrice di Grazia.
“Tesoro, siediti: devo dirti una cosa…”
La prendo per mano, la faccio sedere sul divano della discordia — che trovo proprio carino — e mi siedo accanto a lei.
“Non starai per dirmi che sei incinta?” chiede trepidante
“Sei pazza?”
“Sembrava una cosa importante… ho tirato a indovinare. Ma pensa Mel, immagina…” dice prendendomi le mani. “Quanto sarebbe bello se aspettassimo un bambino insieme?” chiede con aria sognante.
“Sì… partorire insieme, lo stesso giorno, nello stesso ospedale… Ma no… non sono incinta e la cosa che devo dirti è un’altra.”
I polmoni prendono fiato, sto per iniziare il mio discorso, quando Cassandra afferra il mio braccio per stritolarlo.
“Mi si sono rotte le acque! Melissa chiama un’ambulanza!”
Ma se fino a poco fa indossava un tubino attillato di Versace e la pancia si notava appena… com’è possibile?
Sono sotto shock, non riesco a schiodarmi dal divano, non so nemmeno dove mi trovo, figuriamoci se posso sapere dove ho lasciato il telefono, ma in lontananza, sento già le sirene spiegate che ululano nella notte. Mi correggo: è l’alba e la suoneria della sveglia mi ha appena buttato giù dal letto.
Ho il fiato corto, il petto sudato, è stato solo un brutto sogno.

D’improvviso, quel desiderio incontenibile di darle la notizia si è dissolto nel nulla.
Recupero il cellulare sul comodino e trovo la risposta al messaggio che ho inviato ieri al dottore:
“Melissa mi chiami appena Si sveglia, ho la giornata libera, posso tenere Max fino a domani.”
Ecco, una bella notizia.
“Max, vestiti, andiamo da Lolita!”

Mezz’ora più tardi, ho già consegnato Max al dottore e sono sulla via della clinica.
Sto lì, al volante, ripensando al parto prematuro di Cassandra che mi ha letteralmente sconvolto e con un fantastico tempismo, chi chiama? Lei.
“Buongiorno…” dico con voce squillante. “Tutto bene? Come ti senti?”
“Io bene, tu sei strana…”
“No, no.”
“Devi raccontarmi di ieri sera! Voglio ogni dettaglio.”
Il viva voce fa rimbombare il suo entusiasmo per tutto l’abitacolo.
“Se ti raccontassi stasera? Sto andando al lavoro…”
“Certo, Tommy è ancora fuori città, vieni da me, ceniamo insieme?”
Già rivedo la scena del sogno: il divano, il tubino di Versace a fantasia, le acque che si rompono… no, non ce la faccio.
“Perché non vieni tu?” suggerisco.
“No, facciamo da me…”
“Insisto: facciamo da me.”
“Okay, cosa cucini?”
Io non cucino.
“Pizza peripatetica?”
“Buona idea, vuoi che passi a prenderle io prima di venire da te?”
“Fantastico! Ci vediamo alle otto.”
Con lo stesso tempismo, la chiamata si interrompe nel parcheggio della clinica.
Ci metto qualche secondo prima di scendere dall’auto ed è una cosa che mi capita spesso: ogni volta che mi sento emotivamente coinvolta nei confronti di un paziente.
Qualcuno sostiene che i medici siano privi di sensibilità, ma non è proprio così, la realtà è che è difficile mantenersi lucidi senza farsi influenzare dai sentimenti, nonostante sia una condizione necessaria per chi svolge un mestiere come il mio.
Ma ora che sono qui, penso alla gattina di Britney e mi auguro che la terapia abbia prodotto gli effetti sperati.
Scendo dalla macchina, afferro la borsa ed entro. Passo dal mio ambulatorio, mi infilo il camice e vado da lei.
La porta è chiusa, le nocche battono un paio di colpi, lei risponde; afferro la maniglia e faccio il mio ingresso.
È già al lavoro, ha lo stetoscopio nelle orecchie e sta visitando la gattina.
“Buongiorno.” dice sorridendo.
Ha un’espressione felice, ma sul suo viso noto i segni di una notte passata in bianco.
“Hai dormito qui?”
“Be’… volevo monitorare la situazione.”
Al suo posto, credo avrei fatto lo stesso.
“Allora? Come sta?”
“Sta meglio, sembra che gli antibiotici inizino a fare effetto.”
Mi avvicino per controllarla: gli occhi sono decisamente migliorati, ora riesco a distinguerne il colore: verdi, come li avevo immaginati; anche il pelo ha cambiato aspetto, è più lucido, pulito. Le escoriazioni ci sono ancora, ma sono state disinfettate con cura. Cristina deve aver aggiunto una dose extra di cuore in questo piccolo restyling.
“Bene. Ripetiamo gli esami per tenere sotto controllo i valori ematici, ma ho l’impressione che questa gattina abbia la grinta di una leonessa.” concludo soddisfatta mentre sto per andarmene.
“A essere sincera…” aggiunge. “C’è solo una cosa che mi preoccupa…”
“Che cosa?” chiedo voltandomi.
“La festa di addio al nubilato.”
Se dovessi scegliere una colonna sonora per questa scena, direi che la Quinta sinfonia di Beethoven sarebbe la più appropriata: dadadadan!
Sono di fronte a un tipico caso di simbiosi tra medico e paziente, la vecchia Britney è tornata e confesso che preferivo la versione più recente.
“È stato un periodo difficile, non ho avuto molto tempo, ma ci resta solo un mese per definire i dettagli e a parte il dress code, gentilmente suggerito da Karl, non ho idee… a proposito lo hai più sentito?”
“Karl? Oh sì, ci scriviamo tutti i giorni…”
“Davvero? E ti ha detto niente della haute couture che sta preparando?”
Non so di cosa stia parlando. Ma se si chiama ‘hot’ deve essere una cosa bollente: meglio sorvolare.
“No, purtroppo no. È top secret.”
Britney pende dalle mie labbra e sono in serie difficoltà. Devo ammettere che la mia abilità nel dire bugie non è più quella di una volta.
“Sai, ancora stento a credere che conoscerò Karl Lagerfeld…”
Figurati io.
“Ora devo andare…”
“No aspetta, hai detto che mi avresti aiutato con l’organizzazione… quando possiamo vederci?”
Non ci vediamo già abbastanza?
“Fammici pensare, okay?”
“Certo.”
Esco alla svelta, chiudo la porta e mi incammino lungo il corridoio.
Gli effetti collaterali delle mie bugie continuano a perseguitarmi. Forse avrei dovuto ascoltare il mio istinto, avrei dovuto dire la verità quella sera, ma ormai è troppo tardi, devo inventarmi qualcosa. Ma cosa?
Sto rientrando nel mio ambulatorio, quando Federica, la receptionist, mi chiede di passarmi una telefonata.
“La prendi qui?”
“Okay.” dico afferrando il portatile. “Pronto?”
“Sei Melissa?”
Riconosco questa voce, ma non riesco ad associarla a un nome.
“Sì, chi parla?”
“Sono Monica, la padrona di Benji.”
Ci mancava lei.
“Che succede?” le chiedo.
“Abbiamo un problema…”
Ora che sono al telefono con lei, ce l’ho anch’io.
“Sono qui, ti ascolto.”
“Ti ricordi la prima volta che sei stata da noi?”
E chi se la scorda? Credo di averla archiviata in un’ala del mio cervello alla voce: momenti indimenticabili.
“Assolutamente sì.”
“Ecco, allora ricorderai che mio marito non aveva riparato la rete del giardino — nonostante glielo avessi ripetuto mille volte — e che Ben era riuscito a fuggire per raggiungere Susy, la cagnolina dei vicini, e che Ralph, il cane degli altri vicini, lo aveva morso?”
Mi verrà un’emorragia nasale, lo so.
“Sì, ricordo tutto alla perfezione, quindi?”
“Quindi… mio marito non ha ancora riparato la rete, Susy è in calore e Ben, sì ecco, il piccolo Benji… ora…”
“Ha cercato di accoppiarsi?” chiedo stremata nella speranza di mettere fine a questa agonia.
“Bravissima.”
“E…”
Anche le mie mani la stanno implorando di andare avanti.
“Non so come spiegartelo…”
“Lo ha morso?”
“No, no anzi. Ecco, per essere chiara… credo abbia gradito il suo corteggiamento: sono ancora attaccati. Il mio Ben è un tutt’uno con Susy: sembra un cane a due teste…”
Non so se ridere o piangere. Sì insomma, com’è possibile che il mio ex fidanzato abbia rinunciato a me per trascorrere il resto dei suoi giorni con questa? Certo che la vita è assurda.
“Monica: calmati, può succedere. Devi solo aspettare che si dividano…”
“Ma sono così da cinque minuti ormai.”
“Allora suggerirei di usare dell’acqua tiepida.”
“Devono berla?”
“No! Devi versarla sulla parte del contatto.”
Se potessi descrivere il mio sguardo direi che è una fedele riproduzione di quello di Regan, la bambina dell’Esorcista — in avanzato stato di possessione.
“Oh! Guarda: si sono staccati.”
Dio ti ringrazio.
“Okay… allora posso andare?”
“Sì, sì, grazie e…”
Riattacco, non ho nemmeno la forza di salutare. Rendo il portatile a Federica e mi chiudo nel mio ambulatorio.

Questa giornata lunga ed estenuante ha definitamente rimosso ogni paura legata al mio incubo di stamattina.
Ho bisogno di rifarmi, ho bisogno di passare una bella serata con Cassandra.
E mi è tornata la voglia di darle quel biglietto di visita.
Eccomi a casa.
Entro: mi fa uno strano effetto non essere assalita da Max, ma so che è in buone mani. Ho sentito il dottore, oggi li ha portati a fare una bella passeggiata nel parco, Lolita è in forma, si sono divertiti.
Il campanello suona, ora tocca a me.
Apro la porta e assisto a una fantastica performance di Cassandra: le braccia tengono elegantemente in equilibrio i cartoni fumanti, mentre il piedino sinistro chiude con grazia il cancello. Pazzesca.
Si dirige verso di me e il profumo che la accompagna mi mette appetito.
“Vuoi una mano?”
“No, ma tieni a bada Max: non voglio che mi spalmi sul pavimento.”
Mi metto a ridere per come lo dice.
“Tranquilla, Max è da sua moglie.”
“Che bravo papà!”
Appoggia i cartoni sul piano della cucina che è sempre stato il suo.
Si toglie il piumino: noto con piacere che non indossa un tubino a fiori di Versace, ‘anno non mi ricordo’, ma una maglia abbandonante con un paio di F — di cui una rovesciata.
Inizia a parlare: “Melissa: siediti. Devo dirti una cosa.”
Anche io.
Apre lo sportello dei piatti e ne tira fuori due grandi. Mi piace come si muove, si sente ancora a casa. Li mette sulla tavola che ho già apparecchiato e ci fa scivolare sopra le pizze: la cena è servita.
“Allora, sei pronta?”
“Spara!” dico impugnando le posate.
“Sono andata da Cristian e sai cosa mi ha detto?”
“No…”
“Lui e Cristina si sono lasciati.”
La mozzarella è già in bocca, non riesco a dire niente.
“Sei stupita eh? Però, sinceramente: Cristian e Cristina suonava come il nome di un duo romagnolo che canta la mazurca. È stato meglio così.”
Scoppio a ridere.
“Da quando sei diventata così cinica?”
“Gli ormoni forse? Comunque… la parte più eccitante deve ancora arrivare: è stata lei a lasciarlo e lui crede che ci sia di mezzo un altro.” bisbiglia.
Vorrei ricordarle che siamo da sole: non ci sente nessuno.
“Tu come l’hai vista in questi giorni Diversa?”
Sì: questa settimana, ha abbandonato per un attimo il concetto Britney, mostrando una versione più vicina a quella di Madre Teresa — di cui stavo per innamorarmi — ma poi è tornata quella di sempre.
“Ha trovato una gattina di colonia in condizioni pessime, l’ha portata in clinica e si offerta di curarla sostenendo le spese.
Mi ha fatto tenerezza, ma a parte questo, mi sembra la solita di sempre.”
“Ci racconterà… ma dimmi tu piuttosto, come è andata ieri sera? Lei com’è?”
Sento la sagoma del bigliettino in tasca e sto per esplodere di gioia.
Cassandra è seduta, io le sono accanto: se dovesse svenire, interverrò prontamente.
“Cassandra, tu non ci crederai: lei si è letteralmente innamorata…”
“Tesoro!” mi interrompe, “Io non avevo dubbi! Tu sei fantastica, sapevo che ti avrebbe adorato!”
“No, io le sono piaciuta — o almeno spero — ma non quanto…”
“Non quanto la gonna, lo so! Lei è davvero pazzesca. Quindi ho indovinato? È una signora dallo stile country?”
“Non proprio, era più sul genere Diane Lane nell’Amore Infedele, ma ha saputo apprezzare ugualmente. Tanto che…”
“Ti ho detto vero che quella gonna ha una storia?” Devo raccontartela…”
Ecco: questa parte c’era anche nel sogno, devo dirglielo prima che le si rompano le acque. Forza, decisa.
“Oh! Mi fai parlare?”
“Ti ho interrotto?”
“Giusto un paio di volte.” dico ridendo.
“Scusa… dimmi.”
Cassandra copre la risata con il palmo della mano e mi sta a sentire.
“L’ho dirò tutto d’un fiato, non interrompermi. Promesso?”
“Promesso.”
“La mamma di Luca è la direttrice di Grazia e vuole conoscerti.”
Ora sì che mi sento meglio.

 

TRENTACINQUESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova