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3 Ott

Cercasi Max disperatamente

enrica alessi not for fashion victim

enrica alessi not for fashion victim

È

mezzanotte passata, Luca mi tiene per mano, Cassandra mi aspetta sulla porta.
Sembra il mio specchio: ha gli occhi gonfi, una smorfia di dolore sul viso e sulla bocca, qualcosa che vorrebbe dire e che non dirà. Rimane in silenzio, abbassa lo sguardo, piange.
Vorrei correre da lei, abbracciarla, consolarla. Vorrei dirle che tutto andrà bene, che Max tornerà a casa, ma il pianto me lo impedisce.
Non riesco a fare nemmeno un passo per raggiungerla, resto immobile, fatta eccezione per le spalle, che in modo repentino e incondizionato, seguono il movimento provocato dai singhiozzi.
Luca mi stringe a sé, io stringo i pugni sulla sua camicia, mi abbandono. Anche le costole sono stremate dal mio pianto, ma non riesco a smettere.
Nel frattempo, Cassandra ha trovato la forza di raggiungermi, sento le sue braccia avvolgermi e una parola: “Entriamo.”
Mi prende per mano e mi conduce in casa.
La porta si apre e vedo la sala da pranzo ancora intatta, nessuno ha toccato niente: la tavola è apparecchiata, il profumo di parmigiana è svanito e gli invitati sono nella stessa posizione in cui mi sembra di averli visti l’ultima volta.
C’è silenzio. Un silenzio che non si rompe per esigenza comune, ma come ho detto: sono sfinita.
“Scusatemi, vado a dormire.” sussurro.
Tengo gli occhi sul pavimento con l’intenzione di sfuggire ai loro sguardi, voglio chiudere la porta della mia stanza per stare sola, ma Britney apre bocca:
“Mi dispiace.”
Alzo la testa, la guardo e nonostante la mia lucidità stia barcollando, sembra sincera. So che la reazione classica prevederebbe una sfuriata in grande stile, eppure non ne ho la forza.
Se non avesse dimenticato di chiudere il cancello, ora Max sarebbe qui, ma a cosa servirebbe ricordarglielo? È scappato e devo pensare a come ritrovarlo.
“Lo so.”
Sono le sole parole che mi vengono. Poi torna il silenzio. Il suo mantello mi avvolge, è lungo quanto uno strascico che mi segue e gradino dopo gradino, diventa sempre più pesante.
Voglio piangere, piangere in santa pace.
E finalmente la vedo: la soglia della mia stanza. Afferro la maniglia della porta, apro, chiudo.

È stata una lunga notte, trascorsa pensando che la mia vita senza Max non sarà più la stessa.
La stanchezza e il pianto mi offuscano la vista, ma il soffitto annebbiato continua a essere lo schermo su cui proietto le immagini di Max.
Come posso vivere senza i suoi occhi?
Senza i suoi assalti affettuosi?
Senza il suo amore? Come?
E mi sembra di impazzire al pensiero di fare a meno dei suoi guai.
Il telefono sta lì, in carica sul comodino, lo afferro, con la speranza che Max sia stato ritrovato da qualcuno che abbia notato la medaglietta del collare, su cui sono incisi il suo nome e il mio numero di telefono, ma non c’è nessuna chiamata, nessun messaggio e sono di nuovo in preda alla disperazione.
Premo i palmi delle mani sugli occhi per trattenere l’ennesima scarica di lacrime, lascio andare il respiro e cerco di calmarmi.
Riprendo il telefono e mi accorgo di una notifica su Instagram, apro e leggo:

“Cara Melissa, come stai?
Sono onorato per la faccenda del nome, non immaginavo che Cassandra avesse questa adorazione per me.
Sono commosso.
In quale giorno è stata fissata la sua festa? Compatibilmente ai miei impegni, sarei felice di esserci.
Resto in attesa di tue notizie
A presto
Jerôme.”

Certo che la vita è assurda: il messaggio che desideravo ricevere non mi interessa più. Non mi importa del libro, non mi importa della festa, non mi importa nemmeno di Jerôme.
Ora sono io a non rispondere: senza Max, niente ha più senso.
Mi alzo dal letto lentamente, Luca è rimasto con me e dorme ancora, non voglio svegliarlo, mi vesto e scendo di sotto.
Mi avvicino all’ingresso: il cuore batte all’impazzata. Trattengo il respiro per la quantità di preghiere che il cervello recita in modo quasi involontario. Sospiro, apro la porta, guardo fuori: lui non c’è.
Esco, faccio tutto il vialetto e raggiungo il cancello che è rimasto aperto, mi affaccio sulla strada e grido il suo nome.
Quel richiamo assomiglia più a un guaito disperato, fa eco nella mia testa e mi fa sentire ancora più sola. E spinta dalla forza della disperazione, rientro in casa.
È tutto diverso senza di lui… non mi capacito: devo ritrovarlo, non può finire così.
Perlustrerò ogni angolo della città, la sua foto sarà affissa a ogni albero del quartiere, la diffonderò usando tutti i canali social disponibili e fisserò una ricompensa: Max non è un cane che passa inosservato. Un bobtail è un bobtail, chiunque si accorgerebbe di un bobtail. E mentre sciolgo questa dose di speranza nel caffè che ho appena preparato, Cassandra entra in cucina.
“Ciao…”
Il tono di voce riassume il suo stato d’animo: triste, impotente, preoccupato, e nonostante lo giustifichi, mi deprime ancora di più.
“Vuoi un caffè anche tu?” le chiedo.
“Faccio io, grazie.”
Appoggia la sua tazza sul tavolo e si siede
accanto me, afferrando la mia mano, ma d’istinto la ritraggo: la voglia di fare uscire la rabbia che ho tenuto a bada fino a ora, è diventata incontrollabile. In quel momento, non mi importa più delle buone maniere, del parentado, penso solo a me, al fatto che una sfuriata mi farebbe stare meglio.
“Sono arrabbiata.”
Mentre pronuncio il mio incipit, tengo gli occhi sulla tazza, non voglio che a frenarmi sia il suo sguardo preoccupato, ora che ho cominciato, devo finire.
“Sono arrabbiata con Cristina: se avesse chiuso il cancello, Max sarebbe ancora qui.”
“Lo so, lo capisco, ma non lo ha fatto di proposito… anche lei è dispiaciuta per ciò che è successo.”
Sono in questa situazione a causa di Britney e lei la difende?
“Dispiaciuta? Be’, mi sembra il minimo. E perché non è qui a darci una mano?”
“Forse credeva di non essere la benvenuta, forse è impegnata con il lavoro…”
“Già… gioca a fare il dottore nella mia clinica veterinaria, ma è solo una stagista che pulisce le gabbie.”
Cassandra ha un’espressione triste, non riesco a capire se sia causata dal mio stato o dalle mie parole, mi guarda e non dice una parola.
“Forza, di’ qualcosa!” grido.
“Vuoi che ti dica che anche io ce l’ho con lei? Ti farebbe sentire meglio?”
Anche lei sta urlando: mi sembra evidente di aver sottovalutato il suo dolore.
“Sì, mi farebbe sentire meglio.” rispondo mentre abbasso lo sguardo.
Nonostante il bisogno disperato di piangere, trattengo le lacrime. È come se una parte di me mi stesse implorando di non interromperla, di lasciarla parlare.
“Melissa: sono stata io a regalarti Max. Volevo che avessi un compagno speciale che ti amasse come meriti, che ti stesse vicino nei momenti di sconforto, che sapesse coccolarti e farti sentire importante: Max è riuscito a essere tutto questo.”
Io sto per piangere. Lei sta per piangere, ma entrambe rimandiamo e lei va avanti:
“Quindi, come posso non odiare Cristina per averti tolto tutto questo?”
Ora sì che cominciamo a ragionare.
“Non posso sbarazzarmi della sorella del mio fidanzato, ma ti prometto che ritroveremo Max. Guardami:” dice sollevandomi il mento, “ ti prometto che ritroveremo Max!”
Le lacrime aspettano solo il segnale, ma ora, che sembra essere il momento giusto, Luca entra in cucina e ci dà il buongiorno.
Io mi ricompongo. Lei si ricompone, lui mi bacia sulla guancia.
“Vado fuori a sistemare la buca.” bisbiglia.
Esce di casa, lasciandoci sole.
Bevo l’ultimo sorso di caffè, mi alzo dalla sedia e prendo in mano la situazione:
“Devo stampare la sua foto e fare dei volantini, devo usare tutti i profili social a disposizione e assegnerò una ricompensa a chi lo ritroverà, che ne pensi?”
“Mi sembra un ottima idea, vengo con te!”
“Non vai al lavoro?” chiedo sorpresa.
“Ho preso la giornata libera.”
Chiedere un giorno di permesso durante il periodo natalizio non deve essere stato facile: è evidente che Max sia diventato una priorità anche per lei.
Ci infiliamo la giacca e facciamo per uscire, ma qualcuno suona alla porta.
La apro e trovo Britney sotto il portico.
Che diavolo ci fa qui?
Mi faccio quella domanda e rimpiango di non aver indossato gli occhiali da sole: il mio sguardo dice tutto quello che ieri sera ha preferito tacere. Vorrei che sparisse, che se ne andasse per sempre: ha lasciato scappare il mio migliore amico, non la perdonerò mai.
Ma mentre sto per scansarla, lei inizia a parlare:
“Melissa, ascoltami: mi dispiace tantissimo, è colpa mia, è solo colpa mia se Max è scappato…”
Perché non riesco a dire niente?
“Non ti chiedo di perdonarmi, so che mi odi per quello che ho fatto, ma ti prego, permettimi di aiutarti a cercarlo…”
In condizioni normali le chiederei di andarsene, di non farsi vedere mai più, ma le sue parole mi spiazzano almeno quanto
il suo sincero rammarico.
Cassandra, che sta dietro di me, sembra essersi accorta di qualcosa che a me è sfuggito.
“Cos’hai lì?” chiede indicando una pila di foglie che Britney ha tra le mani.
“Ho stampato dei volantini con la sua foto e ho usato il mio profilo Facebook per fare un appello. Se uniamo le forze, possiamo ritrovarlo.”
Cassandra fa un passo avanti, mi guarda e non ci vuole un genio per capire che stiamo pensando la stessa cosa: non è questo il momento di litigare.
“Non devi andare al lavoro?” le chiedo
“Ho preso la giornata libera.”
Anche lei.
La mia voce, rigida e severa, si contrappone alla sua, gentile e disponile. Se ho una squadra di ricerche, sarà tutto più semplice, non posso rinunciarci: Max è più importante di tutto.
“Andiamo!” dico decisa.
Chiedo loro di aspettarmi e raggiungo Luca sul retro, che ha quasi finito di sistemare la buca di Max.
“Grazie.” sussurro.
“E di che? L’ho fatto volentieri: quando tornerà a casa, saprà da dove cominciare.” dice in tono scherzoso.
“Vado a cercarlo. Cassandra e Cristina vengono con me.”
“Hai fatto pace con il nemico?” mi chiede sorridendo.
“Si è offerta di aiutarmi…”
Quella frase, pronunciata con così tanta
accondiscendenza, suona strana a tutti e due, ma è come se non avessi scelta, approfittare dell’aiuto di Britney sembra incredibile e invece…
“Sono fiero di te.” dice baciandomi.
Sorrido, lo guardo ancora con quell’espressione da migliorare, quella di chi non crede di meritare un ragazzo tanto speciale.
Faccio per allontanarmi, un po’ per nasconderla, un po’ perché le ragazze mi aspettano, ma mi viene una domanda:
“Non vai in fattoria?”
“Sarei dovuto essere lì da un pezzo, ma ho chiamato e ho preso la giornata libera.”
Anche lui.
Sono commossa. Di nuovo.
La cosa comica è che questa terribile storia mi fa addirittura sentire fortunata.
“Io resto qui, se dovesse tornare, ti chiamo.” conclude.
Torno verso di lui, le mie mani accarezzano il suo viso, le mie labbra si appoggiano sulle sue e i miei occhi lo congedano con la promessa di non tornare a mani vuote.

 

VENTUNESIMO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova